Il conflitto russo-ucraino e la mancanza di un ordine mondiale stabile
16 Giugno 2015Gianfranco Sabattini
Eugenio Di Rienzo, professore di Storia moderna e condirettore della “Nuova Rivista Storica”, ha pubblicato di recente un saggio sul conflitto russo- ucraino: “Il conflitto russo-ucraino. Geopolitica del nuovo dis(ordine) mondiale”.
Nel saggio sono indicate le responsabilità dei Paesi più industrializzati dell’Occidente, con in testa gli USA e la Germania, per avere indotto la Russia a riproporsi come potenza mondiale, secondo modalità e comportamenti propri della Guerra fredda del secolo scorso. L’obiettivo russo, ora, sarebbe quello di opporsi ai tentativi di conformare ai dogmi del libero mercato e della globalizzazione molti spazi post-sovietici.
In altre parole, nonostante i molti limiti, dovuti all’insufficiente modernizzazione tecnologica, all’arretratezza dei settori manifatturieri e al fatto d’essere ancora un’economia fondata sull’esportazione di risorse energetiche, la Russia di Putin sarebbe costretta a frustrare i tentativi occidentali di penetrare nella “cittadella ex-sovietica” utilizzando, come cavallo di Troia, l’Ucraina.
Quest’ultima, dopo essersi costituita come Paese indipendente a seguito del crollo dell’URSS, non era riuscita ad avviare un processo di crescita economica, per gli effetti negativi dell’instabilità politica interna, causata dalla diffusa corruzione e dalle continue svalutazioni monetarie; fatti, questi, che, tra l’altro, le impedivano di ottenere prestiti sui mercati finanziari internazionali. In queste condizioni, Kiev ha iniziato una lunga marcia, per allinearsi con i Paesi occidentali e, in particolare, con i Paesi dell’Unione Europea.
Ciò ha condotto l’Ucraina in un “cul de sac”; al fine di ottenere gli aiuti necessari alla sopravvivenza del Paese, il presidente Viktor Janucovich ha cercato di stabilire relazioni più strette con l’Unione Europea, sino ad avviare la stipulazione con essa di un accordo di associazione. Dopo la mancata firma dell’accordo, dovuto principalmente alle pressioni esercitate dalla Russia, nel febbraio 2014 sono scoppiati nella capitale Kiev diversi episodi di violenza, culminati con la cacciata del presidente in carica.
Il periodo successivo è stato caratterizzato da una serie di cambiamenti nel sistema socio-politico dell’Ucraina, interpretati dalla Russia, osserva Di Rienzo, “come il tentativo degli Stati Uniti di spingere l’Ucraina nella NATO e, quindi, di preparare il terreno per la definitiva disintegrazione della Russia come grande potenza”. Dopo i fatti del febbraio del 2014, Putin ha rifiutato di riconoscere il nuovo governo ucraino e, dopo aver dichiarato che la Russia è un protagonista indipendente, attivo e sovrano nella dinamica internazionale e che, come “tutti gli altri paesi, essa ha i suoi propri peculiari interessi che devono essere tenuti nel debito conto e rigorosamente rispettati”, ha “preso” il controllo della penisola di Crimea e sostenuto la secessione degli ucraini filorussi delle regioni sud-orientali di Lugansk e Donetsk.
Secondo Di Rienzo, per formulare un giudizio di legittimità sulla risposta politico-militare della Russia alla politica di Kiev, occorre “ricordare che la maggiore responsabilità per la creazione dell’”imbroglio ucraino” appartiene a Stati Uniti e Germania e in subordine agli altri ‘soci di minoranza’ della NATO”; è una responsabilità, questa, che viene da lontano, considerando che la “marcia verso oriente” dell’Alleanza Atlantica è stata intrapresa “al prezzo di una sistematica manomissione degli impegni contratti con Mosca prima della riunificazione tedesca”. Infatti, come nota Di Rienzo, all’inizio del 1990, il ministro
degli esteri della Germania e il segretario di Stato degli USA, consapevoli che Mosca non avrebbe ritirato le sue forze dalla Germania orientale senza adeguate garanzie, avevano dichiarato formalmente che, dopo la riunificazione delle due Germanie, la NATO non si sarebbe espansa verso Est; a ciò va anche aggiunto il tentativo, compiuto sempre nel 1990, di legare la Russia all’Europa, compiuto da François Mitterand, con l’assenso di Helmut Kohl, con la creazione di una “Confederazione Europea” inclusiva di Mosca. Il tentativo sarebbe stato “bloccato” dagli USA, i quali avrebbero sostenuto la creazione, in sua vece, di un “Direttorio” composto dagli USA stessi, dalla Germania e dalla Francia, egemonizzato però da Washington.
Le decisioni del Direttorio sarebbero state discordi rispetto agli impegni assunti precedentemente, in quanto principalmente indirizzate ad un rafforzamento della NATO, giustificato dai presunti pericoli connessi alle guerre di secessioni iugoslave, e a dare il “via
libera” per l’adesione all’Alleanza Atlantica a “tutti i vecchi satelliti europei dell’URSS”. Oggi, a parere di Di Rienzo, la soluzione della crisi ucraina dipenderebbe pertanto dal Direttorio euroatlantico, ormai poggiato sull’asse tedesco-staunitense, con delega della “gestione della crisi alla Merkel, la quale, “sotto il mantello di un’aggressiva retorica atlantica, pare volersi muovere in realtà per riallacciare le fila del dialogo con Putin, seppure nell’ambito di una dimensione transatlantica e non più eurocentrica”. Alla politica aggressiva USA-UE, Putin ha risposto con contro-sanzioni incentrate, da un lato, sulle restrizioni delle esportazioni di petrolio, destinate a creare difficoltà ai Paesi della zona meridionale dell’euro e al comparto industriale della “locomotiva tedesca”; dall’altro lato, su un patto di cooperazione per legare Mosca ai Paesi (del Medio Oriente e di altre aree mondiali) esportatori di greggio (Qatar, Iran,
Sudafrica, India e Cina). In particolare, con la Cina Putin ha sottoscritto un contratto per la fornitura di gas per i prossimi trent’anni; fornitura che verrà pagata inizialmente in dollari, nella prospettiva però della creazione di un’area valutaria alternativa al dollaro, per poter denominare i debiti in yuan/renminbi; ciò al fine di consolidare una stretta partnership con Pechino, non solo per contrastare la politica statunitense nell’area del Pacifico, ma anche – secondo Di Rienzo – per assicurarsi un socio geopolitico col quale “condividere i rischi che la crescente tensione con la NATO ha provocato”.
In conclusione, Di Rienzo, osserva che, dopo la sostituzione di Janucovich, nei rapporti internazionali tra le massime potenze si è aperta una crisi che rischia di trasformarsi in una nuova Guerra fredda, nella quale l’azione della Russia, solo apparentemente espansionistica e aggressiva, risulterebbe ispirata a una strategia eminentemente difensiva. In realtà, più che a un ritorno alla logica duopolistica della Guerra fredda, l’instabilità attuale delle relazioni internazionali, dopo il crollo del Muro di Berlino, è dovuta alla ricerca della divisione del pianeta in nuove zone d’influenza, egemonizzate, non più da due, ma da diversi Stati; la ricerca delle nuove zone d’influenza può evitare il ritorno alla Guerra fredda del passato, solo se ogni potenza egemone all’interno della propria zona rinuncia a far valere la propria forza contro altri soggetti più deboli, in nome del rispetto di un “ordine internazionale”, giudicato legittimo in funzione dell’evoluzione di una “realpolitik” condivisa dai popoli, pena il prevalere di un ordine internazionale instabile e gravido di pericoli per l’umanità.
Secondo Henry Kissinger, l’ex segretario di Stato statunitense (che di realpolitik se ne intendeva), la differenza tra un ordine internazionale stabile ed uno instabile non sta nella possibilità di mutare l’ordine mondiale esistente, ma nel modo di realizzare il mutamento. La prima forma di “ordine” assicura un’organizzazione mondiale che non esclude il mutamento, mentre la seconda forma impedisce qualsiasi organizzazione delle relazioni internazionali che tenga conto dei diritti storici dei singoli Stati. Solo all’interno di un ordine politico mondiale che non comprenda in sé una potenza propensa a trovare conveniente la realizzazione di un ordine instabile, le relazioni internazionali possono svolgersi spontaneamente, fuori dal pericolo di stravolgimenti catastrofici. Considerate la massime potenze oggi presenti nel mondo, vien fatto di chiedersi: qual è quella tra di esse che può considerarsi al di sopra di ogni sospetto? Non certo gli USA, che pur di conformare tutti i Paesi
del mondo alla logica della globalizzazione, non rinunciano ad usare la forza, direttamente o per procura, per eliminare qualsiasi soggetto che non intenda essere globalizzato; non la Confederazione degli Stati indipendenti, ovvero la Russia, che pur di tornare all’antica grandeur sovietica non esita a destabilizzare gli Stati limitrofi nati dal disfacimento dell’ex URSS; infine, non la Cina, che dopo il suo exploit economico, si è trasformata in un vicino pericoloso e aggressivo per molti Paesi dell’Asia, perché alla ricerca continua di risorse primarie per alimentare la sua crescita. E l’Europa? Che fa l’Unione Europea? Per il momento è al carro della Germania, la quale non brilla certo per la sua propensione a realizzare un ordine mondiale condiviso, ma, allineata con i profeti della globalizzazione, con al “guinzaglio” François Hollande e senza l’ingombrante presenza della Signora Pesc, cerca solo di imbonire Putin.