Il contesto. Chiose post e pre-elettorali
16 Marzo 2019[Gianni Loy]
Tra le complicazioni della politica, un posto di rilievo è sicuramente occupato dalle riserve mentali. Ricordo ancora che da ragazzo, quando tale tecnica mi è stata spiegata, ho provato disappunto, un moto di ribellione verso quella raffinata teologia cattolica che le maneggiava sapientemente e, almeno così mi sembrava, le giustificava con eccessiva disinvoltura.
E sia.
Se alcuni recenti segnali, in politica, non fossero condizionati dalla riserva mentale di chi li esprime, ipotesi che rimane da verificare, si potrebbero avanzare alcuni ragionamenti, magari utili anche per l’imminente futuro.
Ragionamenti utili se si concorda sul fatto che l’avvio della legislatura, con la tormentata esperienza di un governo ancora una volta ispirato ad un contratto, ci restituisce l’immagine di una paese allo stato attuale, anche se non irrimediabilmente, diviso in due. Ciò non significa che sia venuta meno quella ricchezza di idee, di differenze, anche se a volte solo ideologiche, che hanno caratterizzato l’esperienza italiana e soprattutto il post-sessantotto. I principali schieramenti politici, del resto, diseredando la prima repubblica, si sono affannati a costruire un meccanismo di governo, a partire dal sistema, o meglio dai sistemi elettorali, improntato al bipartitismo. Un sistema elettorale in continua evoluzione, nella dichiarazione di intenti, finalizzato a garantire la governabilità ma. in realtà, costruito sugli interessi della maggioranza di turno, disposta a modificarlo in corso d’opera, magari anche con un pizzico di trasversalità, persino tenendo conto delle previsioni di voto.
Rapidamente, tuttavia, quando le regole del gioco sembravano definite, son venuti meno i presupposti che le avevano ispirate.
I partiti sino a qualche tempo fa egemoni nei due schieramenti, Forza Italia e l’attuale P.D., hanno rapidamente perduto consensi. Se Forza Italia ne ha già preso atto, e si accontenta, oggi, di tirare la giacca al nuovo vincitore nella speranza di essere riammesso ad un Governo purchessia, il PD, da parte sua, ha stentato a prenderne atto, anche perché, a differenza di quanto avviene in campo avverso, nonostante una significativa perdita di consensi, rimane pure sempre, e di gran lunga, la principale forza dell’area progressista e la sua leadership non è, al momento, insidiata. Semmai, fatica a comprendere che, al momento, non può ambire, con nessun sistema elettorale, a governare in solitario e dovrà farsene una ragione. L’intransigenza verso il dialogo non paga.
In secondo luogo, proprio quando sembrava che la Repubblica potesse finalmente trovare pace in un sistema bipolare di alternanza tra i due schieramenti che, da oltre vent’anni, si sono effettivamente avvicendati al potere, ha fatto irruzione sulla scena un terzo incomodo, il Movimento 5stelle, portando in dote una carica di innovazione e di alternativa al sistema, grazie soprattutto ad originali regole di autogoverno, che nel giro di poco tempo hanno trasformato la rappresentanza politica da bipolare a tripolare. Il sistema elettorale, pensato per altri scenari, è risultato inidoneo e, soprattutto nelle elezioni che prevedono il ballottaggio, persino premiante per l’intruso.
A livello nazionale, nonostante il ritocco dell’ultim’ora, volto ad impedire che il Movimento 5 stelle potesse beneficiare di un premio di maggioranza, la nuova legge elettorale ha prima fatto temere l’assoluta ingovernabilità e poi portato ad una alleanza innaturale, garantita da reciproche ipoteche e, soprattutto, resa possibile da numerose riserve mentali. Per intenderci sia da quelle che la teologia cattolica definisce “proprie”, cioè sostanzialmente bugie, ma soprattutto da quelle definite “improprie”, che non sono peccato perché il senso delle parole, anche se ovvio, “tuttavia è afferrabile se si considerino tutte le circostanze”. Non credo occorrano esempi.
Ebbene, in terzo luogo, questa è la mia ipotesi, proprio la squinternata esperienza di governo dimostra che non siamo affatto entrati in un sistema tripolare, cioè caratterizzato da tre distinte correnti di pensiero che si confrontano. Senza niente togliere alle novità, anche positive, che hanno accompagnato l’irrompere nelle istituzioni del Movimento 5 stelle, mi pare che i contrasti tra i due alleati di governo, in fin dei conti, dimostrino che il riferimento alle categorie tradizionali della politica, pur con tutti i distinguo, le varianti, le possibili trasversalità, ne venga rafforzato.
L’attuale governo non è un affatto un terzo polo, piuttosto la schizofrenica convivenza tra forze politiche che, volta per volta, esprimono opzioni di destra o di sinistra. Per chi insista nel ripudiare tale classificazione, l’antitesi non meno evidente, potrebbe essere rappresentata da altri binomi: diseguaglianza versus uguaglianza, secondo l’insegnamento di Bobbio; solidarietà versus egoismo; liberismo versus socialdemocrazia, e così via. Insomma: tra destra e sinistra.
Possiamo metterci dentro tutte le varianti che si voglia, perché queste due grandi visioni culturali, sia da un lato che dall’altro, non sono affatto omogenee al loro interno, ciascuna sopporta quasi infinite sfumature di colore, gradi di radicalismo. Possiamo considerare altre variabili, come in Sardegna il tema dell’autonomismo, o dell’indipendentismo, che, tuttavia, non alterano lo schema di fondo. Questi movimenti possono tirarsi fuori dal gioco, “correndo da soli” rispetto ai due schieramenti, oppure venire a patti, come fa il PsdAz, ora con l’uno ora con l’altro, risultando determinati una volta per chiudere l’esperienza di Soru, un’altra per garantire al sindaco di Cagliari la riconferma già dal primo turno, un’altra ancora, la più recente, per riportare le destre al governo della regione.
Ma rappresentano, tuttavia, militanti, elettori ed elettrici, che continuano ad appartenere, pur con tutte le sfumature, ad una certa visione di società. Non è un caso che tutte le volte che il Partito Sardo d’Azione sceglie l’opzione dell’alleanza con la destra, una parte dell’organizzazione entra in fibrillazione e talvolta paga qualche prezzo.
Possiamo augurarci che una presidenza sardista garantisca obiettivi di rilancio dell’autonomia, di un obbiettivo comune ad una più ampia platea di sardi. Tuttavia, è evidente che il governo regionale (posto che la domanda politica non è limitata all’opzione autonomista) risponderà ad una cultura e ad interessi che, per semplificare, continuiamo a definire di destra.
In questo contesto, che non è affatto manicheo, rappresenta solo uno scenario generale, è evidente che ciascuno dei due schieramenti sopporta, al proprio interno differenze di non poco conto. Al suo interno si confrontano visioni più o meno radicali. Un unico partito, proprio per tali differenze, non è in grado di canalizzare tutte le aspettative. Ed anche all’interno del principale partito della sinistra, o del centro-sinistra, del resto, le differenze sono così marcate da far temere il rischio di nuove scissioni.
Tuttavia, se alcuni recenti segnali non sono frutto di riserva mentale, si possono leggere indizi di come le tante sfumature politiche potrebbero trovare una sintesi, magari anche a partire dall’ormai imminente rinnovo del Consiglio comunale di Cagliari.
Ad esempio: Luigi Di Maio che dichiara che l’isolazionismo del Movimento 5 stelle può essere rimesso in discussione. E’ una novità di non poco conto. Ad esempio: Massimo Zedda, futuro capo dell’opposizione in Consiglio regionale, che apre al dialogo con lo stesso Movimento 5 stelle. Apertura opportuna ed apprezzabile. Ad esempio: la straordinaria partecipazione alle primarie del Partito democratico, con un esito inconfutabile, che lascia ben sperare per un superamento delle tensioni interne e dei recenti arroccamenti. Ad esempio: il risultato, purtroppo negativo, delle aggregazioni nazionalitarie che si sono presentate alle ultime elezioni regionali conferma, ancora una volta, che le attuali regole elettorali, ma anche i fenomeni di polarizzazione, non consentono la rappresentanza democratica nelle istituzioni di organizzazioni che non siano non fortemente strutturate. L’analoga esperienza consumatasi nelle ultime elezioni comunali lo conferma.
Al di là dei distinguo tra diversi soggetti politici, ciò che è in gioco oggi è il mantenimento di un governo della città ispirato ai valori dell’uguaglianza, della solidarietà, della giustizia sociale, attento ai bisogni sociali, rispettoso della persona e dell’ambiente, e contrario a quelli di un liberismo sfrenato, della speculazione, della devastazione del territorio.
Credo che il momento fondamentale debba essere quello della scelta della persona capace di rappresentare quei valori ed allo stesso tempo capace di aggregare consenso. E credo che, allo stesso tempo, tale esigenza non debba paralizzare l’azione di chi intende legittimamente rimarcare le proprie peculiarità e le proprie differenze. Ciò, tuttavia, andrà fatto non con la presentazione di una pluralità di improbabili candidati sindaci, bensì proprio rinunciando a tale velleità, affidandosi a liste che, proprio grazie a tale rinuncia, potrebbero persino veder crescere la possibilità di portare loro rappresentanti in consiglio comunale.
Occorre quindi distinguere, concettualmente, il momento della scelta di un candidato sindaco che aspiri a rappresentare un’istanza generale da quello della legittima aspettativa delle aggregazioni che puntano a portare nel governo della città proprie istanze e rappresentanze. Presentare proprie liste, da parte di chiunque intenda presentare una proposta politica e programmatica per la città, non implica automaticamente anche la presentazione di un candidato sindaco.
La procedura di scelta del candidato sindaco, nell’attuale contesto, dovrebbe avere una sua autonomia, che è quella di verificare, nel confronto con il corpo elettorale, il gradimento del candidato in una fase che precede il momento elettorale, ma che già fa parte del processo elettorale.
Non alchimia, quindi, ma accettazione di un modello che stenta ad affermarsi, per motivi legati non tanto ai meccanismi elettorali, quanto alla permanenza della cultura della politica propria della passata esperienza politica.
Ciò che si chiede, in definitiva, è l’apertura di un processo politico di scelta del candidato sindaco, concordato tra tutti gli schieramenti che appartengono ad una sinistra genericamente intesa, dai più radicali ai più moderati, agli indipendentisti, che coinvolga ed appassioni gli elettori, concedendo a tutti, con limitati e ragionevoli filtri di sbarramento, di presentare un’idea ed un programma. Una consultazione aperta, quindi, espressione di una logica fondata sul superamento dei particolarismi e fondata sulla presenza di valori comuni e fondanti che, di volta in volta, potrebbero portare alla scelta di un candidato o di una candidata espressione di una delle tante differenze che compongono l’unità di quanti ci sentiamo partecipi dell’ansia di far prevalere valori comuni.
Di quest’area, a mio avviso, potrebbe far parte anche il Movimento 5 stelle, senza neppure tradire i suoi programmi, visto che la partecipazione a tale, ampio, processo di consultazione non farebbe venir meno il principio da essi sempre affermato (e peraltro in via di superamento) di non stringere alleanze. Il movimento potrebbe continuare a presentare proprie liste ed un proprio programma, dopo aver partecipato, anche con propri candidati, alla consultazione pubblica per la designazione del candidato sindaco. Del resto, forse che a livello di governo i 5 stelle non stringono già alleanze con una forza politica, peraltro portatrice di valori (per noi di disvalori) in gran parte incompatibili con quelli proclamati dal Movimento stesso? E non è forse vero che la Lega è solidamente alleata, in tutti i momenti elettorali e di governo (come in Sardegna) con il variopinto mondo delle destre, sociali o liberiste che siano? E se applicassimo la proprietà transitiva?
Insomma, si tratta di ritrovare un’unità di intenti che non soffochi la libertà di nessuno: tutti insieme, e ciascuno per suo conto, rappresentati da un unico candidato o candidata, per partecipare ad un esercizio di democrazia (quasi) diretta che potrebbe esaltare la sovranità popolare e facilitare l’affermazione di un variegato patrimonio di organizzazioni (strutturate o meno), accomunate da valori condivisi, quali l’uguaglianza, la soddisfazione dei bisogni sociali, il lavoro, la difesa dell’ambiente, la solidarietà, l‘autonomia.
Pur sapendo che, invece, sono già incominciate le manovre per il procedimento inverso: quello di concordare, in altri luoghi, non sempre chiaramente individuabili, l’indicazione di un nome da imporre ai futuri elettori, o per inventarsi improbabili candidati di sparute pattuglie destinate a durare neppure lo spazio di un mattino.
Eppure sarebbe bello che, senza alcuna riserva mentale, in un contesto persino favorevole, si vada tutti assieme ad una consultazione preliminare che, del resto, tutte le volte che è stata realizzata con trasparenza e senza riserve mentali, ha talora sovvertito pronostici dati per scontati e, in definitiva, portato buoni frutti.