Il coraggio della coerenza di Marco Ligas
17 Aprile 2022[Jacopo Onnis]
Millenovecentosessantasei. Se debbo ricordare l’inizio della mia amicizia con Marco penso a quell’anno.
Fu in occasione di una tavola rotonda dedicata ai problemi della Rinascita, del lavoro, della istruzione professionale. Intervenivano i rappresentanti dei movimenti giovanili dei partiti autonomisti. Sede del dibattito il Comitato regionale del PCI. Marco era il padrone di casa come segretario regionale della Federazione giovanile comunista (FGCI). Io rappresentavo il movimento giovanile del neonato Partito socialista italiano di unità proletaria (PSIUP).
Dapprima una amicizia cordiale ma molto formale anche per l’appartenenza a diverse formazioni politiche. Diventerà molto più profonda nel corso degli anni.
Il 1966 è molti importante nella vita di Marco. Segna l’incontro con Luigi Pintor, arrivato in Sardegna subito dopo l’XI Congresso del PCI e la sconfitta della sinistra ingraiana.
Era una punizione, un esilio. Con notevole perfidia il partito lo mandava nell’isola perchè –questa la motivazione – la sua formazione politica diventasse «meno astratta» attraverso un rapporto diretto con la base e con la realtà sarda. Doveva insomma occuparsi di contadini e pastori come responsabile della Commissione Agricoltura del partito.
A Cagliari, nella sede del Comitato regionale, Marco e Luigi avevano le stanze di lavoro l’una di fronte all’altra. Si stabilì subito una forte sintonia politica, culturale, umana. Durerà tutta la vita.
Nel 2015, in occasione dei novant’anni dalla nascita, avevo curato un libro dedicato a Luigi Pintor. Era una raccolta di testimonianze di compagni, amici, colleghi di lavoro. Dopo iniziali ritrosie ero riuscito a ottenere da Marco un ricordo di quegli anni. «Pintor ha influito molto sulla mia formazione umana e politica» aveva dichiarato senza esitazioni. Ecco perché oggi parlare di lui significa inevitabilmente parlare anche di Luigi Pintor.
Tommaso Di Francesco, condirettore del «manifesto», ha ribadito come Marco avesse un legame indistruttibile, quasi una venerazione per Luigi Pintor :« Del resto come dargli torto? E non perché fosse sardo. O meglio, non solo per questo. Ma perché gli assomigliava, nel rigore, nella ricchezza delle emozioni e nella apertura divertita al positivo». Filippo Maone, tra i fondatori del «manifesto», ha ricordato che a parlargli per la prima volta di Marco fu proprio Luigi Pintor , nei brevi rientri romani dal suo esilio cagliaritano «dove era stato distaccato per peccato di ingraismo».
Per Marco la sincerità e la schiettezza di Luigi non rappresentavano un atteggiamento puramente formale. «Era uno dei pochissimi dirigenti del partito con cui veniva meno la separatezza tra il rapporto politico e quello personale. Stabilire relazioni nuove tra gli uomini significava per lui non separare i sentimenti dalle idee e le idee dai comportamenti: chiedeva, voleva capire, si informava su come si svolgesse la vita quotidiana».
Le qualità politiche e umane di Marco gli avrebbero consentito di percorrere agevolmente tutte le tappe del cursus honorum, dal Consiglio comunale alle aule parlamentari. Bastava adattarsi ai compromessi e spegnere ogni critica. Ma troppo salda era per lui la virtù della coerenza.
Ha combattuto sino in fondo la battaglia per il rinnovamento del partito, perché non fosse una struttura anchilosata, tutta chiusa nelle istituzioni e in difficoltà nel cogliere le domande e i bisogni della gente.
Il dibattito all’interno del PCI in Sardegna fu durissimo ed ebbe Pintor tra i protagonisti. A Cagliari la sezione Lenin, molto vicina alle sue posizioni, riuscì a raggiungere i 1300 iscritti prima della radiazione del gruppo del «manifesto». Non una semplice sezione di partito ma un centro di cultura: ai dibattiti non intervenivano solo gli iscritti o i simpatizzanti ma anche semplici cittadini che venivano ad ascoltare e a partecipare convinti che quella sede fosse una opportunità per affrontare i diversi problemi della città e dell’isola.
Durissimo lo scontro politico al momento della radiazione: accuse di scissionismo, frazionismo, rottura di amicizie che duravano da decenni, messa in discussione della condotta morale dei singoli. «Chi li paga?» arrivò a titolare «l’Unità» allora diretta da Giancarlo Pajetta.
Dopo le accuse, le autocritiche. Nel 2003, in una intervista a «la rivista del manifesto» Pietro Ingrao ammetteva:« Il mio errore grave fu nello schierarmi quando, giunti allo scontro in Comitato centrale votai a favore della radiazione del gruppo del Manifesto e, a guardarlo oggi da lontano, nulla davvero mi costringeva a quel gesto di capitolazione. Agì qualcosa di profondo: l’idea di una politica non solo concentrata rigidamente, nelle sue scelte fondamentali, in un ristretto gruppo dirigente, ma vista come un blocco compatto, che non sopportava la divergenza e chiedeva ai suoi adepti il riconoscimento pubblico della sua santità».
E nel2015, intervistato per il mio libro dedicato a Luigi Pintor, Emanuele Macaluso doveva riconoscere: «Oggi, a mente fredda, a tanti anni di distanza, ritengo che, tenendo fermo il no alle correnti organizzate e fissando regole all’interno del centralismo democratico, consentire una libera circolazione delle idee anche attraverso una rivista avrebbe favorito un nuovo modo di essere del partito evitando quello che poi sarebbe avvenuto: il PCI non riuscì a reggere di fronte alla caduta del muro di Berlino».
Marco ha attraversato con lucidità e coerenza queste tempeste .
Si è battuto fino all’ultimo contro ogni forma di sfruttamento, contro i ricorrenti attacchi alla nostra Carta costituzionale, contro le fabbriche di armi e le basi militari nella nostra isola, contro la guerra. Ha dato vita a uno strumento di dibattito e confronto come il« Manifesto Sardo» on line.
In un libro del 2018 Una storia. La Sardegna e il mondo negli scritti del Manifesto Sardo ha raccolto le sue riflessioni, le analisi, le ricerche di tutti questi anni. Un patrimonio prezioso per chiunque, in Sardegna e fuori, voglia cercare le vie per una società più giusta.
Tra gli insegnamenti ricevuti da Luigi Pintor ricordava soprattutto la coerenza: riconoscere le persone non da ciò che dicono ma da ciò che fanno. Non apparteneva certo alla schiera di coloro che non potendo cambiare la realtà avevano preferito cambiare se stessi.
Valgono anche per lui le parole di Brecht:« Il mondo è cambiato, ma il tempo delle rivolte non è finito: rinasce ogni giorno sotto nuove forme».
Foto di Dietrich Steinmetz