Il governo Meloni distrugge il soccorso in mare
18 Gennaio 2023[Carlo Augusto Melis Costa]
Il 28 dicembre il Consiglio dei ministri ha approvato un nuovo decreto-legge che regola il lavoro delle organizzazioni umanitarie che compiono soccorsi in mare, in continuità con il cosiddetto decreto sicurezza bis.
Secondo il decreto le navi devono fare ciò che in parte fanno già ed è stabilito dalle diverse norme internazionali che concernono il diritto del mare: comunicare tempestivamente alle autorità ogni soccorso effettuato, coordinarsi con loro nella richiesta di un porto di sbarco, avere tutte le autorizzazioni e gli equipaggiamenti previsti per il soccorso.
Tuttavia, le navi che fanno soccorsi devono “aver richiesto all’autorità competente, nell’immediatezza dell’evento, l’assegnazione del porto di sbarco; il porto di sbarco individuato dalle competenti autorità è raggiunto senza ritardo per il completamento dell’intervento di soccorso”.
Questo in realtà è già previsto dalle leggi del mare e di fatto già avviene. Il decreto impone però alle navi di avviare “tempestivamente iniziative volte ad acquisire le intenzioni di richiedere la protezione internazionale”, cioè di avviare le procedure per la richiesta di asilo a bordo. Questo però è contrario alla legge, infatti le prescrizioni internazionali e le linee guida delle Nazioni Unite escludono espressamente che i comandanti delle navi siano tenuti a ricevere le domande di asilo.
La novità della norma – varata d’urgenza dal governo tra Natale e Capodanno – è il tentativo di mettere fuori legge i trasbordi (che avvengono quando una nave più piccola compie un soccorso e poi trasferisce su una nave più grande i naufraghi per continuare a operare altri soccorsi) e i soccorsi plurimi, cioè quelli successivi al primo. “Nel caso di operazioni di soccorso plurime, le operazioni successive alla prima devono essere effettuate in conformità agli obblighi di notifica e non devono compromettere l’obbligo di raggiungimento, senza ritardo, del porto di sbarco”, riporta ancora la norma. Questo perché “le modalità di ricerca e soccorso in mare da parte della nave non devono aggravare situazioni di pericolo a bordo né impedire di raggiungere tempestivamente il porto di sbarco”, spiega il decreto.
Per chi è ritenuto non in linea con la legge sono previste multe fino a 50mila euro (per il comandante e per l’armatore) e sanzioni che prevedono la confisca della nave per due mesi. Contro il fermo amministrativo della nave “è ammesso ricorso, entro sessanta giorni dalla notificazione del verbale di contestazione, al prefetto che provvede nei successivi venti giorni”.
“Il decreto sicurezza votato dal Consiglio dei ministri riduce drasticamente le possibilità di salvare vite in mare, limitando l’operatività delle navi umanitarie e moltiplicando i costi dei soccorsi per tutte le ong in mare”, afferma in un comunicato Emergency. “Il 2022 si chiude con delle cifre drammatiche: quasi 1.400 persone hanno perso la vita nel Mediterraneo centrale solo quest’anno. Di fronte a questi numeri terribili, le disposizioni contenute nel decreto sono inaccettabili perché – imponendo alle navi umanitarie di portare immediatamente a terra i naufraghi – di fatto riduce le possibilità di fare ulteriori salvataggi dopo il primo soccorso”, continua l’organizzazione che da poco è arrivata in mare con una nave.
Oscar Camps, fondatore dell’ong Open Arms, ha commentato: “Questo è l’ennesimo decreto immaginato per fermare il soccorso in mare. Ci hanno provato tutti, con mezzi e metodi differenti, ma l’obiettivo è sempre stato lo stesso: fermare le navi umanitarie. Gli avversari dei salvataggi affermano di voler così interrompere ogni possibilità di traffico di esseri umani. È un ottimo esercizio di retorica sofista, ma, come molti esercizi di retorica sofista, è una falsità.
I salvataggi, è bene dirlo subito, non sono la causa, ma la conseguenza. Stanno a valle di un tragico mutamento planetario che ha nelle guerre, nelle carestie, nei mutamenti climatici le cause ultime. Inoltre, le missioni di salvataggio appaiono pericolose perché appaiono testimoni inconfutabili delle violazioni dei diritti, quotidiane e reiterate, che l’Europa compie in accordo con stati illiberali, con dittature, con regimi, ai quali peraltro continua a dare un mucchio di denaro pubblico.
“Nessun governo può impedire a una nave di soccorso di sottrarsi all’obbligo di soccorso e nessuna nave si rifiuterà di accogliere chi chiede aiuto nel Mediterraneo”, scrive correttamente in un comunicato l’ong tedesca SeaWatch. “La strategia del 3governo di vietare la collaborazione tra ONG e di indicare quali porti sicuri sedi assai lontane dal salvataggio ha l’obiettivo di ostacolare le attività di ricerca e soccorso delle ong e non fa che aumentare in modo esponenziale il rischio di morte per migliaia di persone”, ha aggiunto Juan Matias Gil, capomissione per le operazioni di ricerca e soccorso di Medici senza frontiere (Msf).
L’indirizzo politico del nuovo decreto-legge è evidente: un codice di condotta imposto per legge, per creare i presupposti di violazioni il cui accertamento, affidato discrezionalmente ai prefetti, potrebbe portare alla confisca delle navi, e forse anche a nuove denunce penali.
Ma siccome il diavolo si annida dei particolari, è curioso notare che le nuove previsioni normative – se non saranno modificate prima della firma del presidente della repubblica nel corso dell’iter parlamentare per la conversione del decreto – smentiscono le basi della difesa di Salvini nel processo Open Arms a Palermo, che si gioca per intero sulla legittimità del divieto di ingresso imposto dall’ex ministro dell’interno nell’agosto del 2019. Il decreto in definitiva riconosce, come peraltro impongono le convenzioni internazionali di diritto del mare, che il transito attraverso le acque territoriali per sbarcare i naufraghi in un porto sicuro è inoffensivo, e quindi non è legittimo imporre divieti di ingresso, come fece Salvini nel 2019.
Ma vi è di più. È allo studio del Governo un disegno organico di riforma della materia. Si compone di 18 articoli e si occupa di soccorso in mare e di riforma del Codice penale in particolare, per quanto riguarda la gestione dell’ordine pubblico durante le manifestazioni. Nell’articolo 1 si stabilisce che il ministro dell’interno “può limitare o vietare l’ingresso il transito o la sosta di navi nel mare territoriale” per ragioni di ordine e sicurezza, ovvero quando si presuppone che sia stato violato il testo unico sull’immigrazione e in particolare si sia compiuto il reato di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”.
All’articolo 2 si prevede una sanzione che va da un minimo di 150mila euro a un massimo di un milione di euro per il comandante della nave “in caso di violazione del divieto di ingresso, transito o sosta in acque territoriali italiane”. Come sanzione aggiuntiva è previsto anche il sequestro della nave. È previsto anche l’arresto in flagranza per il comandante che compie il “delitto di resistenza o violenza contro nave da guerra, in base all’art. 1100 del codice della navigazione”.
All’articolo 3 si modifica l’articolo 51 del codice di procedura penale per cui la procura distrettuale diventa competente per tutte le indagini che riguardano il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. All’articolo 7 si prevede di inasprire le pene per chi compie una serie di reati: “Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale”, “Resistenza a un pubblico ufficiale”, “Violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti”, “devastazione e saccheggio”, “Interruzione di ufficio o servizio pubblico o di pubblica necessità”. Sono inasprite le pene per oltraggio a pubblico ufficiale. Un reato, si badi bene, già dichiarato incostituzionale. Ma è il risultato finale a lasciare sgomenti. In materia di immigrazione si assiste ad una progressiva degiurisdizionalizzazione e favore di un’attività di tipo eminentemente amministrativo.
Questo non può non destare preoccupazioni nel momento in cui si noti come tale fenomeno , di riesumazione del diritto penale amministrativo , privi gli interessati delle garanzie giurisdizionali ed affidi a soggetti di nomina politica, come i prefetti, il confezionamento e l’esecuzione di provvedimenti che possono essere affetti dai peggiori vizi , non esclusi quelli di straripamento e sviamento di potere. Con forte, fortissima diminuzione delle garanzie difensive.