Il mondo al tempo del tecnocapitalismo

1 Giugno 2024

[Amedeo Spagnuolo]

Il mostro capitalista si sta trasformando ancora e quando ciò accade bisogna preoccuparsi seriamente poiché significa che esso intende diventare ancora più potente e pervasivo e continuare nella sua scellerata opera di demolizione della dignità umana e del pianeta che ci ospita.

Concretizzando le preoccupazioni del grande filosofo tedesco Hans Jonas, che oltre quarant’anni fa aveva già individuato i pericoli insiti nell’aggressione capitalista al nostro pianeta, delineando in maniera estremamente chiara le sue preoccupazioni, nella sua opera forse più conosciuta, “Il principio responsabilità”: “Agisci in modo tale che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la sopravvivenza di un’autentica vita umana sulla Terra”.

Si parlava di una mutazione in atto del capitalismo, ma di fatto non è una mutazione recentissima, infatti, possiamo dire che la trasformazione che sta subendo il capitalismo va di pari passo con lo sviluppo delle nuove tecnologie, soprattutto di quelle informatiche che stanno offrendo strumenti molto sofisticati a quello che ormai è universalmente conosciuto come tecnocapitalismo.

La trasformazione di cui si parla si è resa necessaria perché le nuove tecnologie informatiche stanno mettendo a disposizione del sistema capitalista una “potenza di fuoco” che mai si era osservata nei decenni precedenti. L’obbiettivo primario, come sempre accade per il capitalismo, è la continua e smodata accumulazione di capitale, bisogna però precisare che se questo è uno dei motivi che hanno spinto i neoliberisti verso il tecnocapitalismo, l’altro aspetto, non meno importante, riguarda la volontà dei capitalisti di far credere al mondo intero che con le loro nuove modalità lavorative hanno definitivamente sconfitto l’alienazione che colpisce la maggior parte dei lavoratori di questo mondo.

Secondo questa impostazione, il tecnocapitalismo, con le sue nuove risorse digitali, offrirebbe finalmente all’individuo la possibilità di emanciparsi da un lavoro noioso, ripetitivo e poco redditizio per trasformarsi in un imprenditore individuale che con l’aiuto delle piattaforme digitali potrebbe trasformarsi, come d’incanto, in un uomo ricco e felice. La realtà, purtroppo, è molto diversa perché è sufficiente osservare con un po’ di attenzione quello che accade nella dimensione tecnopolitica per rendersi conto che tutti coloro che tentano quella strada, in poco tempo, vengono trasformati in quelli che già Marx definiva dei “frammenti di uomini” ovvero persone alle quali è stata strappata via non solo la dignità ma lo stesso lavoro che non ha più nulla a che vedere con la creatività e il benessere anche fisico del singolo lavoratore.

Pensiamo, giusto per fare un esempio, alla cosiddetta gig economy ovvero quel tipo di economia che si basa sul lavoro a chiamata, temporaneo e di breve durata che sta diventando una costante per tanti giovani che oggi riescono a svolgere solo delle attività precarie che non garantiscono al lavoratore alcun futuro. Tutto questo al tecnocapitalismo non interessa nulla, il cinismo di questa ideologia economica è talmente vasto e crudele da non porsi assolutamente il problema di quale sarà la sorte futura di questi giovani assunti in questo modo scandaloso.

A loro interessa esclusivamente il profitto, poi come lo si accumula è un problema secondario. A questo punto si capisce meglio perché per questa forma di capitalismo sia importante mascherare il concetto di alienazione con una presunta ideologia del lavoro resa libera e gratificante dalle nuove tecnologie. Questi capitalisti senza scrupoli hanno bisogno di dire che l’alienazione, con le nuove tecnologie, non esiste più perché altrimenti ci potrebbero essere ancora dei lavoratori che potrebbero resistere alla retorica del lavoro imprenditoriale e “singolare” sbandierato da questi neoliberisti di ultima generazione. Per fortuna c’è la filosofia, possiamo ben dirlo e anzi, in questo caso, dobbiamo dire, meno male che c’è la filosofa Rahel Yaeggy che in un bellissimo libro intitolato appunto “Alienazione”, ha dimostrato quanto fossero false le affermazioni dei tecnocapitalisti relativamente alla presunta scomparsa dell’alienazione dei lavoratori.

Essa, al contrario, è ben presente e sta provocando una preoccupante diffusione di fenomeni collegati all’alienazione come Bornout, depressione e, addirittura, suicidi. D’altro canto che il fenomeno dell’alienazione sia vivo e vegeto, lo dimostra anche la quantità enorme di opere letterarie e cinematografiche dedicate a questo tema come, ad esempio, il bellissimo film di Ken Loach intitolato “Sorry we missed you” che racconta la storia di Ricky che, attratto dalla falsa promessa del tecnocapitalismo, verrà rovinato economicamente e umanamente proprio da chi gli aveva prospettato una vita ricca di successo e di ricchezza.

Il tecnocapitalismo basa la sua potenza su alcuni strumenti tecnologici molto sofisticati come gli algoritmi predittivi e l’intelligenza artificiale che con questo articolo non s’intende demonizzare, il fatto è che qualsiasi tecnologia che cade nelle mani dei capitalisti viene usata esclusivamente per arricchire ulteriormente il gruppo ristretto degli ultraricchi che dominano il mondo rendendolo, per miliardi di persone che non usufruiscono degli stessi privilegi, un vero inferno.

Osservando, dunque, l’inquietante trasformazione che sta subendo il sistema capitalista, è più facile comprendere la modernità di Carlo Marx che già nel XIX secolo affermava: “Se il denaro, secondo Augier, viene al mondo con una macchia di sangue sulla guancia, il capitale nasce grondante sangue e fango dalla testa ai piedi”.

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