Il Natale di Salvatore Cambosu
14 Dicembre 2024[Francesco Casula]
Ricorre quest’anno il 70^ anniversario di Miele Amaro, il capolavoro di Salvatore Cambosu, il grande scrittore e intellettuale di Orotelli, ingiustamente poco conosciuto dagli stessi sardi. Eppure, ci sarebbero molti motivi per studiarlo e apprezzarlo.
Possiamo considerare infatti Miele Amaro un bastimento carico di essenze e pimpirias di filosofia, arte e architettura, storia e paristoria, d’immagini preziose e di racconti, di miti e credenze e pratiche popolari. Ed anche una enciclopedia e un labirinto di segni e simboli, filastrocche e aneddoti e dicios, esprimenti la nostra antica sabidoria. E insieme un breviario di tutto ciò che un sardo può (e deve) conoscere e amare della sua Terra; un mosaico, insomma, della vita della Sardegna intera.
In essa, Cambosu, ora come etnologo e antropologo, ora come demologo e storico, ma soprattutto come narratore e poeta, racconta dall’interno, dal sottosuolo, facendosi portavoce del popolo, una sardità non mitizzante ma ancorata alla realtà.
Fra i tanti temi a lui molto cari e tra i più frequentati vi è il Natale. Ecco cosa scrive in proposito nel capitolo Poesie Natalizie liete e tristi: «Certo, ci vuole proprio un villaggio perché un bambino come Gesù possa nascere ogni anno per la prima volta. In città non c’è una stalla vera con l’asino vero e il bue; non si ode belato, e neppure il grido atroce del porco sacrificato, scannato per la ricorrenza. In città è persino tempo perso andar cercando una cucina nel cui cuore nero sbocci il fiore rosso della fiamma del ceppo. E infine, con tante luci che vi oscurano le stelle, è troppo pretendere attecchisca la speranza che, alla punta di mezzanotte, i cieli si spalancheranno e dallo squarcio s’affaccerà una grotta azzurra…».
Riporta quindi una serie di gosos e poesie legate alla Natività:
Celesti tesoru/ d’eterna allegria/ dormi vida e coru/ riposa anninnia/
Dormi cun riposu /dormi fillu miu/ divinu pippiu/ de su mundu gosu/ fillu graziosu/ de s’anima mia.
Su veru redentore/ passat da-e sas alturas/ cagliadebos creaturas/ ca dormit su Segnore.
E ancora:
Otto dies est a como/ chi su Segnore est naschidu/ a cantare est bessidu/ minoreddu e tantu abbistu/ In nomen de Gesù Cristu e de sa mama Maria…
E invece in un Racconto, Il Natale in Sardegna scrive «Nei miei ricordi non c’è posto per un Natale senza neve. Il Bambino nasceva ogni anno, in quella chiesa pisana, intiepidita dal calore della folla, tra una sparatoria, un abbaiare e uno scampanio frenetico. Nevicava. Le donne, inginocchiate sul pavimento nudo, cantavano. Tutto ormai era a posto. La stella d’Oriente, che aveva viaggiato per gioco di fili dal portone al tabernacolo, dove c’era il presepe nascosto da una tendina, adesso era a perpendicolo sulla testa del celebrante. La tendina rimossa, il Bambino sgambettava nudo, e Maria era china sulla culla di paglia.
La felicità poco durava. Di punto in bianco le donne intonavano, in nome suo, un’altra ninna nanna: il cuore materno, a tanto breve distanza dal primo vagito del Bambino, già presagiva tra i ceri accesi e il profumo degli incensi, l’ombra della Croce sul nudo Calvario».