Il Prossimo e le ronde anti elemosina
1 Maggio 2015Gianfranca Fois
A Tubingen, città della Germania meridionale, non esiste una chiesa cattolica. Una chiesa protestante del centro della città viene prestata ai cattolici la domenica alle 18 perché possano celebrare la loro Messa. Ricordo una donna, un’alcolista che chiedeva l’elemosina davanti all’ingresso, che al momento della Comunione si presentò al sacerdote con un bottiglione di vino tra le braccia. Il celebrante interruppe la cerimonia e spiegò che non le avrebbe dato l’ostia se prima non avesse deposto la bottiglia in fondo alla chiesa. Cercò di convincerla con tono suadente e paziente, anche qualche fedele dai banchi intervenne, sino a quando, con soddisfazione di tutti, la donna fece quanto le veniva richiesto per poi prendere la Comunione con un viso sorridente.
Questo episodio mi è tornato alla memoria leggendo la notizia delle ronde anti-elemosina chiamate dai parroci per impedire che i mendicanti si avvicinino o entrino nelle chiese, come quella di S. Paolo ma anche di altre chiese di Cagliari.
Dapprima sono rimasta senza parole ma presto l’indignazione ha avuto il sopravvento, indignazione di cristiana e di cittadina.
La religione cristiana ha a suo fondamento proprio l’amore per il prossimo, e l’amore verso Dio è legato strettamente all’amore verso gli altri, concetto espresso con parole che rimandano alla tradizione ebraica. Anche la fede non può prescindere da ciò, la fede infatti è relazione, relazione con l’altro, basta leggere il Vangelo per capire che l’altro per Cristo non è il potente ma chi è povero, è emarginato.
Pensare di rivolgersi a dei “vigilantes” per tenerli lontani è quindi quanto di più anticristiano possa esserci.
Come è stato possibile arrivare a tanta ignominia anche da parte di persone che si ritengono uomini di chiesa?
La nostra è una società che tende a de-umanizzarsi, la globalizzazione, il dominio feroce ma invisibile del grande capitale finanziario che crea profonde ingiustizie sia a livello planetario sia all’interno dei singoli stati, la comunicazione in rete che apparentemente avvicina tutti ma in realtà ci impedisce di vederci come corpi reali, hanno determinato quello che Luigi Zoia chiama “la morte del prossimo”, cioè la mancanza di visibilità e di attenzione verso che ci sta vicino, con un ritorno ad atteggiamenti egoistici e talvolta tribali.
Siamo così spinti a vedere qualsiasi problema in chiave repressiva e di sicurezza. E’ sconsolante doverlo ammettere ma la visione reazionaria del mondo ha vinto facendo strame di idee e comportamenti di solidarietà, syn-patia, uguaglianza che avevano caratterizzato la storia dei Cristiani, più che della Chiesa, e il pensiero della sinistra. Basta vedere ad esempio come si vuole “affrontare” l’arrivo per mare dei migranti: con il bombardamento dei barconi nelle coste della Libia, quindi con un atto di guerra, con Triton che ha come obbiettivo il controllo delle frontiere non il soccorso ai migranti, tutte misure inerenti la sicurezza non la ricerca di soluzioni per chi tenta di sfuggire alla fame, alla guerra, alla violenza, alla dittatura, situazioni spesso create dagli interessi delle multinazionali e dei nostri paesi.
Non nego che in questo contesto la presenza, talvolta insistente, di persone che chiedono l’elemosina e che in alcuni casi possono avere un atteggiamento irriguardoso nei confronti di un luogo sacro o di persone anziane possa essere percepito con timore.
Ma nello stesso tempo sottolineo che non è certo quello escogitato da alcune chiese cagliaritane il modo di risolvere la situazione. Mi chiedo anche che cosa stia facendo la politica, visto che è alla politica che i cittadini danno il mandato di risolvere razionalmente i problemi sociali. Che cosa sta facendo l’Assessore alle politiche sociali del Comune di Cagliari? Quali passi sono stati fatti per risolvere queste situazioni? I sacerdoti e i fedeli hanno cercato di parlare e riflettere con quanti si trovano in una posizione fragile e di bisogno? Sono intervenute le forze dell’ordine non per minacciare ma per creare un circolo virtuoso insieme a amministratori, parroci, fedeli e questuanti? L’amore per il prossimo, che è un farsi prossimo, richiede “di assumersi la responsabilità dell’altro”, come ci ricorda Enzo Bianchi, e siamo perciò chiamati al dialogo, all’accoglienza reciproca che è un momento che può creare anche timore e incertezza ma, se vogliamo dirci cristiani, dobbiamo decidere di viverlo per creare una comunità fondata su relazioni vitali fra individui.
Mi sembra invece che tutto venga lasciato incancrenire, creando uno stato di incertezza che vede solo nell’uso della forza e nella ricerca di un capro espiatorio in chi sta peggio la risposta.
*Nell’immagine: Gino Paolo Gori – Dopo la questua