Il razzismo ridà fiato al fascismo e ai governi xenofobi

1 Maggio 2018

Foto di Roberto Pili

[Guido Viale]

La ricorrenza del 25 aprile ci impone di aprire una riflessione sul rapporto tra fascismo e razzismo. Fascismo e razzismo non sono la stessa cosa, ma sono parenti. Il razzismo era in auge anche prima dell’avvento del nazifascismo: il colonialismo venivalegittimato con la pretesa superiorità dell’”uomo bianco”. Ma èstato il nazismo, prima, e il fascismo, dopo, indipendentemente uno dall’altro, a fare della difesa della razza, poi dell’assoggettamento e infine dello sterminio delle razze inferiori le loro bandiere. 

Oggi però quel rapporto si è invertito. Non è il fascismo a promuovere il razzismoE’ un razzismo ormai diffuso in tutta Europa, e particolarmente virulento in Italia, che coincide con il rigetto e la fobia nei confronti dell’immigrato, del profugo, dello straniero, a dar fiato alla nostalgia di fascismo e nazismo. Per le destre sovraniste e nazionaliste si è rivelato una “gallina dalle uova d’oro”, da alimentare e “pompare”, grazie anche al sostegno di quasi tutti i mass media; per la maggioranza di coloro che lo condividono, anche se non lo praticano, è uno stato d’animo, una risposta “facile” e immediata che “spiega” il peggioramento e la precarietà della propria condizione.

L’establishment è riuscito a scaricare sul capro espiratorio immigrati la “colpa” dei danni che l’alta finanza sta inferendo a tutto il resto della popolazione con una crisi che vienepresentata ormai come un dato naturale. Ma è sbagliato sostenere, come fanno alcuni, che fascismo e antifascismo sono solo fattori di “distrazione di massa”, perché il vero fascismo è quello delle politiche imposte dalla finanza globale, per lo più indicate con il termine, del tutto inappropriato, di “neoliberismo”. Perché, in caso di “necessità” – per loro – quelle politiche non sono incompatibili con qualche forma di fascismo. Ma è altrettanto sbagliato invocare un fronte comune (o un governo di salute pubblica) che faccia argine a fascismo e nazionalismo, senza vedere che a promuoverli e “pomparli” è proprio quel razzismo, per lo più negato a parole, che ispira le politiche di respingimento, di disumanizzazione e di sopraffazione di profughi e migranti, condivise dalla maggior parte dei governi e dei partiti.

Luigi Manconi mette in guardia dal chiamare razzista chi nel razzismo sente di star precipitando perché non ha argomenti da contrapporgli, ma vorrebbe evitarloGli argomenti oggi correnti, spesso basati su falsi infami, nascondendo la realtà, sono solo quelli che promuovono il razzismo: quelli diffusi tutti i giorni da media e web che hanno spalancato le porte all’onnipresenza di Salvini e alle “ragioni” del “così non si può andare avanti”. Mentre agli argomenti e alle pratiche di coloro che giorno dopo giorno affrontano in condizioni sempre più precarie un’ostilità sempre più diffusa nei confronti di profughi e migranti non viene prestata alcuna attenzioneQueste posizioni non hanno voce nei partiti, dove si assiste a una corsa alla criminalizzazione sia deiprofughi che di chi esprime o pratica la solidarietà nei loro confronti.

Per alcuni il razzismo apertamente professato è un modo per recuperare una propria identità, distrutta dalla precarietà, dalla mancanza di prospettive e dall’ignoranza; facile che in queste condizioni si approdi al fascismo. Ma per i più è solo un modo per “sfogare” il proprio malessereperò è un piano inclinato, lungo cui è facile scivolare, ma è sempre più difficile tornareindietro.

Ma che cosa succederà quando il razzismo avrà mani libere sia a livello politico che istituzionale? In parte lo abbiamo già visto con le politiche messe in atto da Minniti: più morti in mare grazie alla criminalizzazione e all’allontanamento delle navi della solidarietà; più respingimenti – effettuati e rivendicati dalla Guardia costiera libica con i mezzi forniti dal Governo italiano – per riportare i profughi “salvati” in mare alle stesse violenze, torture, ricatti, schiavitù da cui cercavano di fuggire; qualcherimpatrio forzato (altro che 600mila!)fatto a scopo mediatico, perché farli tutti costa troppo e richiederebbe accordi con i paesi di destinazione che non hanno alcun interesse a farli, anche “oliando” i regimi corrotti da cui quei profughi sono fuggiti. 

Respingere non significa solo restituire dei fuggiaschi disperati alle vecchie schiavitù, ma anche esporli al reclutamento delle bande che hanno reso invivibili loro paesi: così tra pochi annil’Europa sarà circondata da guerre e bande armate da est a sud. E dopo il Niger forse andremo, non invitati, e in puro stile colonialea fare la guerra ai migranti in altri paesi; per ridurre anche loro come sono stati ridotti Libia, Siria, Iraq eAfghanistan, dove una volta messo il piede è sempre più difficile andarsene. E certo questo non arresterà, anzi moltiplicherà, il flusso di chi fugge da terre rese inospitali da degrado e disastri ambientali o da guerre e dittature feroci. Ma anche gli “stranieri” e i profughi che sono già arrivati negli anni o nei decenni scorsi, e che continueranno ad arrivare anche più numerosi in futuro, condannati per legge a essere “clandestini”, o trattati come intrusianche dove si erano inseriti, o avrebbero potuto inserirsi, costituiranno sempre di più un “problema” per tutti. Un problema che si cercherà di affrontare stringendo il cappio della repressione non solo su di loro, ma su tutta la popolazione. Perché i migranti non sono che un “alibi per imporre a tutti restrizioni e dispotismo: sul lavoro, a scuola, nella spesa pubblica, nella vita quotidiana, sulla possibilità di associarsi e di lottare: ecco da dove nascerà il nuovo fascismo.

Autorità e governi dell’Unione europea sono ben contenti che l’Italia adotti politiche sempre più feroci verso i migranti: gli “risolve” un problema che non sanno e non vogliono affrontare. Ma in questo modo trasformano l’Italia (e la Greciaquando Erdogan riaprirà le dighe che ha eretto, a pagamento, per trattenere i profughi che l’Europa non vuole accogliere) in quello che è oggi per noi la Libia: un campo di concentramento in cui bloccare – e massacrare – quelli che da Ventimiglia, Como e al Brennero non devono più passare.

Esistono delle alternative? Sì, ma solo se si guarda lontano: oltre i confini della nazione e dell’Europa, a tutti i paesi che circondano il Mediterraneo, dal Medio oriente al Sahel. Perché quel flusso oggi inarrestabile si potrà invertire solo se quei profughi verranno accolti, inseriti nel lavoro e in una comunità, messi in condizione di contribuire non solo al PIL e alle casse dello Stato, ma anche alla nostra cultura, alla nostra vita quotidiana, al risanamento ambientale del nostro territorio, alcontenimento della catastrofe climatica che li ha costretti a fuggire dal loro; e poi messi in condizione di far ritorno, se lo desiderano, nelle loro terre di origine; se ci adopereremo per liberarle dalle armi che vendiamo, dalla guerra e dalle dittatureche sosteniamo, dallo sfruttamento delle loro risorse che arricchiscono solo chi è già molto ricco, dal degrado del loro ambiente di cui siamo in gran parte la causa.

(Articolo uscito sul manifesto)

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