Tuvixeddu. Il rosso e il nero

1 Marzo 2008

Tomba dell’Ureo
Marcello Madau

Non c’è solo il bianco calcareo, talora abbacinante, della pietra di Tuvixeddu: c’è un rosso intenso, poco noto, nascosto, prezioso. Dipinto a grande profondità circa 2300 anni fa, nella penombra, forse alla luce di qualche torcia. Destinato a proteggere per sempre donne e uomini benestanti dell’antica Krly.
Apparentemente poche fra le migliaia esistenti, le tombe dipinte della grande necropoli punica e tra queste in particolare la Tomba dell’Ureo e la Tomba di Sid arricchiscono di inediti aspetti decorativi profondi e quasi inaccessibili sepolcri.
La pittura decorativa figurata, su parete come su ceramica, non è certo frequente nel mondo punico, diversamente dalle tradizioni greche ed etrusche. Nella missione di scavi archeologici a Tharros, una ventina di anni fa, con Paolo Bernardini trovammo molto singolare – oltreché divertente per la bozzettistica rappresentazione – il rinvenimento di un frammento di ceramica punica con il veloce e rosso disegno di una civetta, ad imitazione di quei vasi greci che, documentati anche nella città fenicia del Sinis, portavano su fondo nero lucido il rapace notturno simbolo della dea Atena.
Le due celebri tombe dipinte di Tuvixeddu, che illustrano con alcuni capisaldi il mondo magico dei punici di Cagliari, furono scoperte una trentina di anni fa, dopo i grandi nuclei che ci trasmisero nell’Ottocento Giovanni Spano e Pier Francesco Elena e nel primo Novecento Antonio Taramelli.
L’insieme di decorazioni rappresentano una sinossi davvero mirabile dei temi, dei sincretismi e delle contaminazioni di un’arte orientale progressivamente fattasi occidente, eredi della straordinaria, antica contaminazione dell’orientalizzante rivisitata, in età tardo-classica ed ellenistica, da inediti apporti dell’Italia meridionale..
Nella Tomba di Sid l’iconografia di un combattente crestato rimanda al dio orientale ben noto nell’isola, in particolare nella valle di Antas. Anche i tre betili presenti nei riquadri della stessa tomba riportano al mondo fenicio e punico. In questo caso il colore, intenso, è il blu.
Nel segreto della profondissima camera della Tomba dell’Ureo si erge un cobra regale, motivo di origine egiziana che diventa fenicio grazie all’arricchimento di immaginifiche ali, come negli scarabei dei preziosi bracciali d’oro di Tharros e Cartagine. Ma su tutti appare, altro incrocio fra oriente ed occidente, la magnetica presenza di due gorgoni. L’orrido ghigno del viso tondeggiante, dai capelli resi con stilizzatissimi motivi a forma di serpente, riporta all’uso della classica maschera apotropaica tombale. I decoratori punici di Tuvixeddu scelsero la più orribile di tutte, legata al mito di Perseo, gli occhi sbarrati e la lingua penzolante, a proteggere chi riposava nella tomba a camera. La resa certo appare corsiva, la dimensione opera una rottura di equilibri formali evidentemente non centrali nell’atelier (né, con molta probabilità, per l’ignoto committente): ben altra importanza dovette assegnarsi alla forza protettiva, ricercata con l’efficacia di un segno forse non padrone dell’iconografia, almeno secondo i criteri classici, ma deciso nella sua umoralità e nel posizionamento attento rispetto agli spazi tombali, come mostra la direzione degli occhi.
La lineare e arcaica simbologia trasferisce non ancora chiarite complessità storiche: forse vi è la vicenda di uomini punici che, negli eserciti cartaginesi, si mossero in un’Italia meridionale dove non mancavano, nelle maniere decorative, né guerrieri né ‘strane’ rese delle maschere gorgoniche.
Queste due tombe dipinte basterebbero per sottolineare, come detto all’inizio, il pregio della fondamentale necropoli: ma altre sembrano doversi segnalare, e soprattutto ipotizzare.
E se non fossero le sole? Ferruccio Barreca, soprintendente a Cagliari negli anni ‘70 e indimenticato pioniere della topografia della Sardegna fenicio-punica, ne indica almeno un’altra, chiamandola delle Ruote. Antonio Taramelli, nel suo straordinario rapporto del 1912 sulla necropoli, scriveva:
“In molte si conservano le tracce di una colorazione in rosso, come si ebbero nella necropoli dei Rabs; si ebbe anche talora, al momento della scoperta, una decorazione a fasce orizzontali (n. 36); nella tomba 111 si ebbe una decorazione a Croce di S. Andrea sulla parete di fondo e su di una architrave, a metà della celletta, dove si aveva un abbassamento del soffitto”. Ed è ancora il colore che emerge dai resoconti del Taramelli nella notazione della rossa argilla che orlava le stuoie funebri appoggiate sul pavimento.
Il rosso e talora il blu, a illuminare quindi la notte infinita di camere dove il colore non era, una volta chiusa la sepoltura, per occhi vivi. Cromie originarie che andrebbero capite e recuperate, offerte al godimento pubblico e alla riflessione. Patrimonio scientifico e storico irripetibile.
E allora proteggere Tuvixeddu diventa proteggere anche il diritto all’esistenza di un mondo policromo, sotterraneo, che può emergere. Non precludersi la possibilità di altri cromatismi.
Capire che i colori non muoiono ‘semplicemente’ per l’attacco di cementifici, palazzinari, ruspe, o per la loro intrinseca delicatezza rispetto all’esposizione agli agenti atmosferici ed inquinanti, ma scompaiono soprattutto nella smemoratezza urbana e nella sua ostinata opacità.

2 Commenti a “Tuvixeddu. Il rosso e il nero”

  1. Paolo Maxia scrive:

    Penso che chi sa dovrebbe parlare di piu’ non facendo il tam tam tra gli addetti ai lavori ma promuovondo iniziative capaci di coinvolgere la cittadina a una forte sensibilizzazione della salvaguardia del proprio patrimonio

  2. Suddu Gonario scrive:

    abbiamo un patrimonio archeologico in queste opere che si sono salvate nel tempo e ancora c’è gente che insiste per distruggerle, per cementificare la zona, ma io al posto loro avrei bonificato e ceduto le aree gratuitamente alla cità di Cagliari affinche le sappia valorizzare diffonderle e conservarle come un bene universale.
    anche i nostri figli nipoti e pronipoti ecc.ecc. devono poter conoscere e ammirare questo immenso patrimonio che ci appartiene.
    come si prospetta non sono le uniche, spero che qualcuno illumini i proprietari e riflettano, andate da un’altra parte a cementificare.

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