Il successo di uno sciopero scomodo e le prospettive di lotta in Sardegna
17 Dicembre 2021[Roberto Loddo]
Lo sciopero generale della Cgil e della Uil contro la legge di bilancio presentata dal Governo Draghi è stato un grande successo. Un successo nonostante lo spaventoso Esercito di Mordor composto dall’Autorità garante sugli scioperi, dalla Cisl, dalla maggior parte degli organi di informazione e dei talk show, da quasi tutti i partiti di maggioranza e opposizione dell’arco costituzionale, ad eccezione di Articolo Uno, Rifondazione e Sinistra Italiana. Il manifesto è stato l’unico quotidiano a sostenere le ragioni politiche dello sciopero che, come scrive oggi la direttrice del manifesto Norma Rangeri, sembra solo l’inizio di un percorso di un conflitto sociale molto più ampio e profondo.
Il no alla manovra si è sentito forte e chiaro dai numeri dell’alta adesione e dalle piazze piene nelle cinque maggiori città italiane. Da piazza del Popolo a Roma fino ad arrivare a piazza dei Centomila a Cagliari da dove sono intervenuti sul palco i segretari regionali sardi della Cgil e della Uil insieme ai segretari nazionali in collegamento sul maxischermo con Roma. “Insieme per la giustizia” è lo slogan scelto dai sindacati per sintetizzare la contrarietà a una manovra che aumenterà le disuguaglianze e penalizzerà le fasce sociali più escluse e più deboli della società. Per questo motivo per Maurizio Landini «Lo sciopero rappresenta l’avvio di una mobilitazione perché pensiamo che il Paese vada cambiato, con una riforma fiscale e delle pensioni degna di questo nome e cancellando la precarietà. È l’inizio di una battaglia».
Da sottolineare la forte risposta delle tute blu allo sciopero: il primo dato fornito dai due sindacati confederali registra un’adesione dell’80% tra le metalmeccaniche e i metalmeccanici. Per citare solo qualche fabbrica, si è toccato il 70% alle Acciaierie Italia di Genova; alla Electrolux di Pordenone il 70%; il 90% tra gli operai e il 60% tra gli impiegati e le impiegate alla Lamborghini di Bologna. 90% anche alla Ast di Terni e all’Almaviva di Roma, alla Marelli di Napoli adesione al 95%. Nelle piazze non c’erano solo le lavoratrici e i lavoratori, anche il movimento studentesco e i comitati per la democrazia costituzionale hanno sostenuto lo sciopero e vivacizzato le piazze.
Chiedere maggiore giustizia sociale per la Cgil e la Uil significa dirottare gli otto miliardi destinati al fisco a tutte le categorie sociali più colpite dalla pandemia. Dai lavoratori ai pensionati, a partire dai redditi più bassi ingabbiati da forme di lavoro sempre più intermittente e precario soprattutto tra i giovani, le donne, nel Mezzogiorno e nell’isola delle disuguaglianze, la Sardegna. L’auspicio è che lo sciopero di ieri attivi anche in Sardegna un percorso permanente di lotte connesse con tutti i conflitti sociali esistenti.
Perché nella nostra isola il lavoro non può essere slegato da un reale processo di riconversione ecologica. Il sindacato in Sardegna, a partire dalla Cgil sarda, deve maturare il coraggio di incalzare la politica nell’individuare percorsi che segnino una radicale rottura con fallimentari e dannose esperienze industriali. Soprattutto dentro una pandemia che ha devastato tutti i settori economici più vicini alla vita delle persone la riconversione delle attività produttive può rappresentare una soluzione possibile per restituire valore al nostro patrimonio ambientale, storico e culturale gravemente compromesso dall’industria predatoria, dall’economia di guerra della fabbrica di bombe di Domusnovas e dell’occupazione militare delle basi in Sardegna.
Difendiamo il lavoro in Sardegna favorendo l’ambiente e i beni comuni. L’attuale sfera economica su cui si basa il nostro presente con strutture industriali dannose per la nostra salute, non servirà più nel futuro. Per questo motivo oggi non ha più senso difendere un modello economico divenuto nemico della nostra cultura, della nostra gente e dei nostri territori. È necessario cambiare rotta.