Il talento e la resa

16 Febbraio 2010

cubeddu

Mario Cubeddu

Nel paese dell’informazione problematica può capitare che uno veda in un programma come “Le Iene” un efficace servizio televisivo sui viaggi dei giovani africani verso l’Italia. Non all’altezza del libro di Giomaria Bellu sui fantasmi di Portopalo, ma forse di impatto altrettanto forte.  Quei camion da cui pendono, debordando, sacchi, taniche, vite umane, che strisciano a 20 all’ora nel deserto. Le storie degli uomini che per dieci anni aspettano in Libia e poi tornano a casa sconfitti, le storie delle ragazze; che si intuiscono, perché loro nella loro straordinaria semplicità non credono forse di avere il diritto di raccontarle. Intorno migliaia di chilometri di sabbia. Condotto dalla leggerezza svagata del loro stile televisivo, eri portato a pensare alle centinaia, migliaia di giovani africani che trovi nelle piazze, nei parcheggi. Uno dopo l’altro a offrirti un nastrino, un DVD taroccato, un ombrello, delle calze, e non sai cosa fare. “Le Iene” hanno raccontato una parte della nostra vita di oggi. In una rete di Berlusconi.  E arrivi al dibattito su Paolo Nori. Che scrive su “Libero”, giornale orribile. La libertà dell’artista, Marshall Mac Luhan, quanto messaggio sopravvivrà al mezzo? Quando tutti vogliono fare i giornalisti, tutti sognano di essere nel sistema della comunicazione e i mezzi sono in mano al nemico. Un bel dibattito, tutti ci fanno una bella figura, anche Pierluigi Battista. Ma siamo già al Giorno della memoria. A proposito della quale sarà il caso di chiedersi che tipo di memoria celebrino i quotidiani sardi con gli articoloni dedicati all’uscita del libro autobiografico della camerata Pasca Piredda. Scherzi della Storia (qui la maiuscola è d’obbligo, visto che parliamo di cose grandi e importanti, il fascismo, il nazismo, Salò, Mussolini, il principe Borghese, mica quelle nullità insignificanti di contadini e pastori sardi): un bel nome, un cognome sardo rispettabile, una bella faccia di ragazza sarda. Un’altra pagina triste della nostra vicenda. Per cui non crediamo ci sia affatto bisogno di una nuova storiografia. A meno che il giornalista che ha scritto di Pasca non ritenga che la razzia degli ebrei a Roma, i campi della Repubblica di Salò, le rappresaglie contro i partigiani, il tentativo di creare uno Stato nazifascista in Italia si possa ridurre ad “una scelta di coerenza e onore”. A quando la celebrazione degli “scienziati” sardi che cercarono servilmente di dare basi alla teoria della razza italiana? Pur sapendo benissimo di non avere titoli sufficienti per farne parte. E menomale. Non illuda il sorriso, la messa in piega, il doppio giro di perle, il tailleur di Pasca Piredda. Una sarda che si era inserita nel sistema sociale italiano accettando pienamente il ruolo che la Grande Guerra aveva inventato per i suoi conterranei . Lo zio procuratore a Genova, l’essere al di sopra della miseria generale, i privilegi, il credersi parte di una grande storia. Intanto non vedi i treni che partono per i campi di concentramento tedeschi, pieni di tuoi concittadini, ebrei, militari renitenti alla “difesa dell’onore” al fianco di Hitler. Lei dice che non si trattava di politica. Il Borghese non faceva politica, né nel 1944 né nei primi anni Settanta, quando attentava alle libertà di una fragile repubblica democratica! Era un gioco estetizzante. “La ragazza della Decima” vive e combatte a fianco di “romantici combattenti” che non avevano niente da obiettare se gli ebrei venivano deportati in massa. O se i partigiani, i giovani di vent’anni costretti alla guerra dal loro ”romanticismo”,  venivano torturati dai loro camerati. Nella pagina della cultura di un quotidiano sardo si può leggere una esplicita riabilitazione di una sostenitrice del nazifascismo. Questo non meraviglia chi, passando per le strade di Cagliari, vede da anni appesi e costantemente rinnovati  i manifesti dei nostalgici del fascismo. Viene a volte da pensare che certi quartieri cagliaritani siano come i quartieri del Sud Tirolo in cui gli italiani coltivano la loro rabbia per non essere accettati come i naturali padroni del territorio. Come se nei quartieri “italiani” delle città sarde si coltivasse un’idea di superiorità anche sui sardi, oltre che su altre sfumature, considerate ignobili, del colore della pelle. Ma il caso di Pasca Piredda è uno dei tanti che ci ricordano che i sardi non sono stati solo oppressi. Hanno anche partecipato con leggerezza, incoscienza, entusiasmo, agli orrori della storia italiana passata, a cominciare dalle feroci avventure coloniali, e sembrano disponibili a partecipare a quelli del presente. Non a caso abbiamo tra noi sostenitori, e non pochi, di Forza Nuova, dei Savoia, della Lega.

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