Il treno dei desideri
3 Agosto 2023[Carlotta Usàla]
Si parla tanto di mobilità sostenibile, si parla di un futuro in cui le persone debbano abbandonare il mezzo privato in favore di quello pubblico, magari elettrico, magari comodo, magari bello.
Magari sarebbe utile soffermarsi sul termine sostenibile, mutuato dal latino sustinere, che significa far durare, esattamente come fa il “sustain” del pedale sinistro di un pianoforte, che permette alle note di durare a lungo. Magari queste sono le condizioni per treni fiammeggianti, di nome freccia, di cognome rossa e argento. Questo sicuramente non è l’orizzonte ultimo del parco macchine di Trenitalia in Sardegna, dove di “sostenibile” non c’è granché se non la durata eterna, quella sì, dei viaggi; in particolare modo quelli in partenza da Cagliari e in direzione Sassari e poi Olbia (in tutto circa 200 km) con temperature interne al di sopra dei 30 gradi durante le tante ondate di calore, con treni che impiegano a tratta dalle tre alle quattro ore, se non di più in caso di malfunzionamenti e ritardi. Per non parlare del diritto alla mobilità pubblica da sempre negato agli abitanti della Barbagia, dell’Ogliastra, della Gallura e del Sarrabus. In questi casi la durata degli spostamenti con i mezzi pubblici è talmente proibitiva, da far preferire l’uso dell’automobile.
Noi sardi sappiamo di non essere mai la priorità in nessuna agenda politica; diventiamo priorità – se non emergenza- nel momento in cui non si rende a disposizione la nostra isola come bagnasciuga per lorsignori paganti, l’ingresso del loro parco giochi estivo con pochi servizi ma colmo di tanti servitori. Siamo speciali, lo sappiamo. Tanto che il nostro tormentone estivo non ha bisogno nemmeno della musica perché tutto questo, dicono, “ci dà da mangiare”; ci accontentiamo anche di molto meno signora mia. È sufficiente che parta il treno, magari non con 30 gradi al suo interno, che ci siano almeno i treni e corriere per raggiungere le aree interne della Sardegna e magari che non impieghino quanto un volo per Reykjavík.
Sembrerà banale l’argomentazione, ma il problema di fondo, è che per potersi preoccupare della mobilità pubblica, nel senso latino del termine cioè di “occuparsi prima”, bisogna innanzitutto servirsene e se ciò non viene fatto nemmeno dalla classe politica che per dovere istituzionale deve amministrarla e gestirla anche nella vita quotidiana di una piccola città, difficilmente si crea il bisogno di una nuova gestione della stessa. Negare che ci sia il problema da parte dei nostri decisori politici è più semplice di rimboccarsi le maniche per cercare di risolverlo.
Forse è proprio per questo che è necessario smetterla di stracciarsi tanto le vesti nel chiedersi perché la gente scelga o sia costretta ad abbandonare le aree interne della Sardegna, ed in generale l’intera isola, se non si fa un discorso sulla qualità degli spostamenti che devono avere i sardi che scelgono di non usare l’automobile o che non vogliono o non possono permettersi di acquistarne una. Perché è facile parlare di mobilità sostenibile, di biciclette, di passeggiate e domeniche a piedi se questi sono i passi che solo la parte fortunata (e finanziata) del mondo può permettersi il lusso di accedere. La felicità di un popolo si misura anche nell’accesso ai servizi essenziali e non deve essere, per citare una canzone dei Bandabardò, “un fatto di geografia”; ma nemmeno, aggiungo, una gentile concessione. Perché se ciò accade significa che siamo non più, semmai ci siamo mai stati, in uno Stato di diritto ma in uno Stato di privilegio.
Se questo è l’incentivo graduale ad abbandonare il mezzo privato in favore del mezzo pubblico, in ottica di diminuzione delle emissioni dei gas climalteranti da parte dell’intera umanità, di cui si parla tanto in maniera astratta, come se ci debba essere un “deus ex machina” a regolarne o no le emissioni, non ci siamo proprio. Perché quelle emissioni, che lo vogliamo oppure no, le produciamo noi.
Forse per i sardi il lusso della mobilità sostenibile è ancora lontano da ottenere, ma nel frattempo il diritto a muoversi dentro e fuori dalla Sardegna in modo dignitoso non può attendere ancora.