Teologia della donna
1 Settembre 2013Silvana Bartoli
Ha ragione Cécile Kyenge: tutte le donne devono essere libere di mostrare il volto e i capelli, anche le suore.
I seguaci di “Christus Rex” possono affermare, scandalizzati da Kyenge, che “il velo delle suore cattoliche non copre il volto, ed è simbolo della scelta religiosa”, ma la divisa monastica resta il burqa occidentale pensato per dire al mondo che il corpo femminile è un peccato ambulante, un oggetto lussurioso che deve essere accuratamente nascosto per non indurre in tentazione le preziose anime maschili.
Janua diaboli dice Tertulliano: la donna è la porta attraverso la quale il diavolo entra nel mondo. Soltanto l’abito pensato dal clero consente alle anime che hanno avuto la disgrazia di incarnarsi in un corpo femminile, di rendersi gradite a Dio.
Perché:
-L’uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio; la donna fu creata per l’uomo, quindi deve portare sul capo un segno della propria dipendenza (Paolo, I Cor. 11, 7-10)
-L’uomo è fatto a immagine di Dio, non la donna (Ambrosiaster, PL 17, 253)
-È contro l’ordine della natura che le femmine parlino in pubblico (Gerolamo, PL 30, 794)
-Ogni donna cristiana, dopo aver preso coscienza della propria condizione di femmina, dovrebbe desiderare di andare in giro coperta di stracci, per meglio espiare ciò che a lei deriva da Eva (Tertulliano, PL 1, 1418-1419)
-Le nostre azioni sono femmine o maschi: se ciò che facciamo è vile e carnale, allora è femminile; se invece contempliamo le cose eterne e abbiamo l’animo attento alle cose migliori, allora produciamo frutti dello spirito che sono tutti maschi (Origene, PG 13, 1819)
-La parola vir (uomo) deriva da virtus animi (fortezza d’animo), la parola mulier (donna) deriva da mollities mentis (debolezza della mente); perciò fornicatrici e fornicatori possono essere tutti chiamati donne, a motivo della debolezza che si fa corruzione e lussuria (Graziano, Decretum in Corpus Juris Canonici, v.I, col.1145)
-Un tempo i canoni conoscevano gli ordini delle diaconesse, le quali avevano accesso all’altare. Ma poi l’immondezza del mestruo espulse il loro ministero dal divino e santo
altare (Th. Balsamon, PG 138, col. 987)
-Dio assegnò la funzione più utile e più necessaria all’uomo, l’inferiore e più vile
alla donna (G. Crisostomo, PG 51, 231)
-La donna serve all’uomo solo per la procreazione, infatti ogni uomo trova migliore aiuto in un altro uomo che nella donna (T.d’Aquino, Summa Theologiae, I, q.92, a.1)
-La donna è causa del male, origine del peccato, via che conduce alla morte, sepulchri titulus, inferni janua, tutto in lei porta danno (Pietro Crisologo, PL 52, coll. 422-423)
-La parola femina (donna) deriva da fe minus (fede minore) per questo le donne, a causa del loro intelletto inferiore, sono per natura predisposte a cedere alle tentazioni di Satana (Malleus Maleficarum, libro I)
Da questa cultura derivano l’abito delle monache e quella strage di donne che va sotto il nome di caccia alle streghe, raffigurate immancabilmente con i capelli sciolti, esattamente come Maria di Magdala trasformata in prostituta.
Inoltre lo studio parallelo del tradizionale insegnamento ecclesiastico sulla subalternità delle donne e sulla schiavitù è illuminante:
– La schiavitù non ripugna minimamente alla legge naturale divina, perché il dominio che il padrone ha sullo schiavo dev’essere inteso come nient’altro che il diritto perpetuo di disporre, per il proprio tornaconto, del lavoro dello schiavo (Collectanea S.C. de Propaganda Fide, 1907, Roma I, n.1293, 715-719)
Poiché Gesù non volle donne tra i Dodici e non volle condannare la schiavitù, la tradizione dei Padri della Chiesa esortava donne e schiavi alla sottomissione:
-Non si conceda mai la parola alle donne, benché rispettabili e pie, nelle riunioni cattoliche e sia vietato alle donne cantare in chiesa, in quanto incapaci di ufficio liturgico (Motu proprio De musica sacra, 18 dicembre 1903)
E via di seguito… forse è per questo che capita di incontrare suor Gerolamo o suor Sant’Ambrogio e mai fratel Teresa d’Avila o fratel Caterina da Siena? Sempre per aiutare coloro che hanno avuto la disgrazia di nascere donne ad uscire dalla condizione femminile?
Ultimi gioielli:
– Gli sforzi della Chiesa a favore di un salario sufficiente al sostentamento dell’operaio e della sua famiglia, avevano ed hanno anche lo scopo di ricondurre la sposa e la madre alla sua propria vocazione nel focolare domestico (Pio XII, Discorso alle operaie cattoliche, 15 agosto 1945)
– Chiamando solo uomini tra i suoi apostoli, Cristo ha agito in modo del tutto libero e sovrano. La vocazione femminile è di essere madre o vergine; il paradigma biblico della donna culmina nella maternità della Madre di Dio (Giovanni Paolo II, Mulieris Dignitatem, 1988)
Ovvero: “Chi sono io per giudicare”, dice papa Francesco quando si tratta si sessualità maschile ma, se si tratta di donne, stiano nel posto che il clero ha pensato per loro, cioè nel definire la vocazione femminile, il clero detta legge al suo Dio, dicendogli chi e come può chiamare. La felicità degli integralisti di ogni fede e colore che, quanto a “teologia della donna”, sono parenti stretti in tutto il globo.
Gli autori dei passi citati o sono stati santificati dalla Chiesa, o sono in via di santificazione, dunque offerti alla venerazione dei/delle fedeli, o proposti come testi di studio nei seminari, cioè il clero cattolico è formato su questi modelli di pensiero, è dunque molto difficile che cambi qualcosa nell’immaginario sul femminile finché il ceto religioso avrà parte integrante, o direttiva, nella struttura della nostra società.
È vero che nella religione cattolica è presente anche Maria di Nazareth, ma la ragazza madre dei Vangeli ci mette un po’ a diventare la madre-sempre-vergine: diventa Madre di Dio nel 431, concilio di Efeso, e Sempre-Vergine nel 553, secondo Concilio di Costantinopoli.
Ovvero il genio dei Padri della Chiesa ha costruito pezzo per pezzo una figura utile a far pesare la distanza tra lei e le altre donne: nessuna può essere contemporaneamente vergine e madre, dunque le devote possono soltanto contemplare contrite la propria imperfetta natura femminile e inginocchiarsi davanti all’immagine della Madre-Immacolata e al clero che ne gestisce il culto.
Il velo monastico è il prodotto di una religione pensata al maschile e ossessionata dal corpo femminile; il fatto che molte donne si adeguino per rendersi gradite a Dio, e confondano l’umiltà con l’umiliazione, esprime più il bisogno di avere un padrone terreno che la scelta di vivere il Vangelo.
Quando le donne d’Oriente e d’Occidente smetteranno di indossare veli o burqa per seguire le regole stabilite dai padroni della religione, quando altre donne smetteranno di esibirsi nella lap dance in abito da suora per rallegrare il padrone, quello sarà un giorno di emancipazione per tutte e tutti.
Se invece ci sono donne che hanno bisogno di veli, burqa, lap dance per realizzare se stesse, allora è necessario arrendersi a un atto di fede che, come scrisse un’altra donna più di due secoli fa, è “credere tenacemente in ciò che non si capisce”.