Roberto Loddo
Esistono persone capaci di risolvere una situazione difficile e dolorosa in qualcosa di positivo. Persone coraggiose che riescono a cambiare un evento drammatico sfavorevole in un’occasione di crescita per loro stessi e per tutti gli esseri umani. Più il momento è doloroso e più queste persone coraggiose diventano forti e dimostrano alla società che le circonda che la loro sofferenza può essere sconfitta. Una di queste persone è Ivano Argiolas, cagliaritano di 39 anni, è il primo sardo insieme ad altre quattro persone al mondo che oggi si trova a New York per tentare una nuova cura sperimentale e innovativa. Ivano oggi è il punto di riferimento di oltre mille persone in Sardegna e oltre settemila nel resto dell’Italia che vivono l’esperienza della thalassemia.
ThalassAzione nasce nel 2011 e oggi con i suoi seicento iscritti è una delle associazioni con piu iscritti in Italia. Quali sono i vostri obbiettivi?
Lavoriamo su molti aspetti, dal sociale all’assistenza. Cerchiamo di essere dei buoni partner per le istituzioni in modo da ragionare insieme a loro per tutte le questioni che ci interessano, dai centri di cura alle leggi di settore. Gli obiettivi sui quali ci concentriamo maggiormente sono almeno 4: 1) sensibilizzazione alla donazione del sangue con conferenze, campagne mediatiche e “raduni del cuore” (i raduni sono incontri che facciamo coi gruppi culturali, sportivi, aziende e perfino autorità militari e politiche nei quali loro vengono a donare per noi. In questo modo favoriamo l’incontro tra donatori e riceventi); 2) sensibilizzazione e raccolta fondi per la ricerca; 3) assistenza di vario tipo ai nostri associati; 4) attenzione ai luoghi di cura. Collaboriamo inoltre con uno studio legale di Cagliari per la questione dei risarcimenti del danno derivante dalla somministrazione del sangue infetto.
Esistono alternative al trapianto di midollo osseo?
Per guarire dalla thalassemia al momento non esistono terapie diverse da quella del trapianto di midollo osseo che in 30 anni ha guarito migliaia di persone nel mondo, ma che presenta alcuni rischi legati sopratutto ad un trattamenti chemioterapico massiccio. Inoltre non tutti possono accederei per una questione di compatibilità tra il donatore ed il ricevente. Al momento esiste però un protocollo di sperimentazione di trattamento genico attraverso l’auto trapianto di cellule staminali e con un vettore lenti virus. Questo protocollo si sta svolgendo in questi mesi a New York, dove mi trovo proprio in questo momento poiché sono uno degli unici 3 al mondo su cui si sta testando questa tecnica innovativa.
L’italia non fa ricerca. Eppure gli USA hanno una percentuale di talassemici molto bassa, ma hanno un ricerca avanzatissima, mentre in italia con una percentule più elevata, sopratutto in Sardegna, c’è il deserto della ricerca e della sperimentazione di nuovi protocolli. Perché?
Anche in Italia si fa ricerca ma non come negli USA. Nel caso specifico qui a New York, e precisamente al Memorial Sloan-Ketering Cancer Center c’è una équipe che studia da anni su questa tecnica. C’è da dire che a questo studio abbiamo partecipato anche noi dall’Italia attraverso l’impegno della Fondazione Giambrone che ha sempre creduto al “progetto guarigione”, sostenendo la ricerca con tanti soldi. Inoltre alcuni medici Italiani, tra i quali i nostri ricercatori Professor Antonio Cao, Renzo Galanello (entrambi recentemente scomparsi ndr), e Professor Paolo Moi, tutti dell’Ospedale Microcitemico di Cagliari. Un dato: in tutti gli Stati Uniti d’America (300.000.000 di abitanti) ci sono circa mille persone affette da thalassemia, gli stessi numeri li abbiamo in Sardegna, a fronte di una popolazione di 1.650.000 persone.
Durante la conferenza stampa hai dichiarato che i nuovi protocolli sperimentali potrebbero portare al superamento delle trasfusioni. E’ possibile guarire dalla talassemia?
Il protocollo sperimentale è costituito da 2 fasi. La prima serve a capire se la tecnica di modificazione e infusione delle cellule staminali siano sicure su l’uomo, la seconda serve a testarne l’efficacia. Ancora è presto per poter affermare se sarà possibile guarire definitivamente dalla thalassemia, certo è che la stismo mettendo seriamente in discussione ed io sono convinto che siamo sulla buona strada. Se questo protocollo sperimentale dovesse funzionare ci aspettiamo un diradamento delle trasfusioni fino ad arrivare, nell’arco di un anno a non averne più bisogno.
Quali sono i rischi dell’operazione?
Ancora non abbiamo sufficienti numeri per poter parlare di rischi e/o benefici poiché per ora l’auto trapianto è stato eseguito solo su 2 persone, io sarei il terzo. Tuttavia questa tecnica è stata utilizzata in altri pazienti NON Thalassemici e in alcuni ha provocato il manifestarsi di patologie tumorali. Ci si aspetta che sulla thalassemia non ci sia questo rischio.
Questo è il tuo secondo viaggio negli Usa. Questa volta per il trapianto vero e proprio. Riprodurre le cellule staminali nel midollo e poi da lì in tutto il corpo in modo da produrre emoglobina. Ma non è un’operazione semplice. Dove trovi la forza e il coraggio per fare questo salto nel buio e rischiare?
Alcuni dicono che sono coraggioso, altri che sono folle. Può darsi tutte le cose messe insieme. La motivazione maggiore però me la danno i bambini. Sapere che un giorno loro potranno guarire anche grazie al mio piccolissimo contributo mi ha dato quella spinta in più per continuare su questa strada, nonostante i rischi.
22 Luglio 2013 alle 21:45
Sei unico e quel coraggio lo sai lo hai sempre avuto, fa parte di te del tuo essere particolare e con una grande voglia di vivere. Forza sei vicino al traguardo…ciao amico….
29 Luglio 2013 alle 17:19
Vorrei che queste bellissime dichiarazioni risuonassero come un forte monito e sollecito per ognuno di noi e soprattutto per chi ha una responsabilità nella gestione delle politiche sanitarie a concentrare un impegno maggiore nella ricerca. La globalizzazione, quella sana, dovrebbe consentire una stretta collaborazione con centri internazionali all’avanguardia come quello statunitense, permettendo, tra l’altro, ai nostri giovani laureati di crescere professionalmente nella propria terra.