Immagini
1 Agosto 2016Gianfranca Fois
Di colpo non ne ho potuto più. Mi sono rifiutata di guardare o postare video o foto che in questi giorni stanno imperversando su Facebook e su internet: in particolare un video sulla strage di Nizza, la foto dei prigionieri turchi in una palestra, il video di Salvini con la bambola gonfiabile.
Sono immagini che non aggiungono una virgola a ciò che sappiamo ma con la loro pervasività e il loro continuo apparire scatenano il voyerismo morboso di molti (le prime due), amplificano episodi e volgarità che senza internet e i social sarebbero state confinati ad essere conosciuti da poche decine di persone (la terza).
Il flusso continuo delle immagini, spesso decontestualizzate, banalizza e ci fa assuefare al dolore, alla violenza, le stesse immagini non sono più strumenti di conoscenza, non ci interessano più le analisi dei processi storici ma esiste solo la dimensione emotiva. E questo predominio delle immagini porta nella nostra società a una diminuzione della razionalità a favore appunto di una sorta di commozione perenne ma epidermica, le nostre capacità critiche vengono dunque meno e non siamo più capaci di assumere consapevolezza e responsabilità di fronte all’invasività delle immagini.
Solitamente, ci dice il sociologo V. Codeluppi, la mente umana nel processo di lettura ricostruisce al suo interno eventi e azioni, lo schermo del computer invece ci presenta oggetti che non sono solo mentali ma anche sensoriali perché possiedono l’evidenza delle immagini. In quella che viene chiamata l’oralità terziaria lo schermo si presenta come uno strumento di comunicazione che svolge un ruolo fondamentale.
Si verifica inoltre quello che lo storico dell’arte Didi Huberman ha sottolineato, due sono i modi per rendere un problema invisibile: tacerlo o moltiplicarlo, il niente o il troppo. Mentre il presente prodotto dai media è privo di storicità e rende sempre più difficile distinguere la realtà dalla sua riproduzione. Non solo ma si ha l’illusione che solo ciò che viene ripreso da un telecamera o da una macchina fotografica e immesso su internet possa essere la realtà mentre la realtà vera è quella che spesso le telecamere non riprendono ed essendo quindi fuori dagli schermi “non esiste” per il grande pubblico.
L’ambiguità delle immagini è data dal fatto che non solo non riproducono la realtà ma, a seconda del contesto storico e culturale, possono essere utilizzate a sostegno di cause opposte.
Lo storico F. Rousseau ad esempio ci ha indicato come l’album di foto preparato dal generale Juergen Stroop, capo delle SS e della polizia del distretto di Varsavia, per testimoniare agli alti gerarchi a Berlino il suo successo come responsabile della liquidazione definitiva del ghetto di Varsavia sia stato poi utilizzato come capo d’accusa al processo di Norimberga contro i nazisti.
E’ evidente quindi l’ambiguità delle immagini, la foto dei soldati turchi se da una parte può denunciare le violenze di Erdogan dall’altro, sostengono alcuni, può essere un messaggio dei torturatori per far capire chi è che comanda, per degradare la dignità delle persone ritratte. Lo stesso accade con le immagini propagandistiche mostrate dall’Isis che sotto questo aspetto dimostra di possedere raffinate capacità nell’utilizzo dei media.
Non è quindi un caso che proprio in questi giorni alcuni giornali in Francia abbiano deciso di non mostrare l’orrore delle esecuzioni dell’Isis o degli attentati di matrice islamista né i volti di chi ha commesso le stragi per evitare una “glorificazione postuma” Questo può essere un modo per sottrarci all’orrore, non amplificandolo. Perché proprio su questo contano sia i dittatori che l’Isis, seminare terrore, mostrare da che parte sta la forza e la potenza.
Queste immagini contribuiscono inoltre a dare spazio a quanti lucrano sul terrore: i movimenti di destra in termini politici ed elettorali e quanti guadagnano dalla vendita e dalla installazione di apparecchiature di sicurezza sempre più sofisticate, tanto che il loro giro d’affari raggiunge, e talvolta supera, quello delle armi.
Si tratta sicuramente di dubbi e di problemi complessi che ci impediscono di essere sicuri delle nostre scelte. Bisogna però cercare di rifletterci perché ci sia una presa di coscienza da parte dell’opinione pubblica, tenendo presente che il termine “coscienza” in latino richiama il “sapere insieme”, il sapere da condividere con gli altri.
Immagine: particolare del dipinto ‘Al limite’ [di Giovanni Gasparro]