In Europa i partiti di “sinistra” non rappresentano più il lavoro

16 Novembre 2016
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Vittorio Capecchi

In questo numero di Inchiesta i testi si interrogano sulla scomparsa del lavoro dalla politica e dalle istituzioni. Francesco Garibaldo ricostruisce il processo di aziendalizzazione delle relazioni sindacali e di involuzione aziendalistica dei sindacati in Europa.

Come scrive Garibaldo, “se i lavoratori possono essere rappresentati solo come parte dell’azienda, allora non esiste più un punto di vista, una ipotesi sul lavoro che sia rappresentativa del mondo del lavoro come soggetto collettivo; il che non significa che non vi siano più conflitti tra manager e lavoratori, ma essi riguardano quel mondo chiuso e quindi hanno sempre come limite la comune esigenza di combattere, come sottolinea Marchionne, per sopravvivere contro le altre imprese”. L’aziendalizzazione arriva a inglobare le materie del welfare e prepara “un’ulteriore escalation di privatizzazione dei servizi sociali”. Come sintetizza Garibaldo “il lavoro è depoliticizzato e de-istituzionalizzato”.

Il lavoro esce in Europa dai partiti di “sinistra” e come analizza Alessandro Somma, è profetico l’ultimo testo di Peter Mair (politologo irlandese morto nel 2011) che descrivere la politica che “governa il vuoto” avendo lasciato il potere all’economia delle banche e delle multinazionali. L’immagine di questa politica è quella descritta da Bruno Giorgini nell’incontro a Maranello: l’alleanza tra un Renzi a capo del “partito della nazione”, la Merkel, Marchionne ed Elkann. Luigi Vinci si pone l’interrogativo utilizzato per questo editoriale “Come è potuto accadere?” e parla di una politica europea “populista”, basata “sulla movimentazione di atteggiamenti e comportamenti popolari, sulla sfiducia nella politica e negli assetti istituzionali, sul rapporto diretto tra seguaci e leadership, sulla banalizzazione del discorso politico e sulla centralità del richiamo emotivo”.

Sono avvenute profonde trasformazioni sia nel rapporto capitale/lavoro che nel rapporto capitale/natura. Sul primo di questi rapporti Umberto Romagnoli sottolinea le difficoltà di un diritto del lavoro che si trova in una fase con prospettive, come in Italia, di “crescita zero” che coesistono con i successi di Industria 4.0 descritti da Matteo Gaddi. Le ricadute sulla salute e sulla sicurezza di chi lavora sono descritte da Gino Rubini. Marco Assennato, che analizza il quadro sindacale francese e le lotte che attraversano Parigi, vede la situazione attuale come risultato di una non convergenza delle lotte, convergenza “da cercarsi direttamente sul terreno metropolitano, nei servizi, nella logistica, sul territorio”. Da tener poi presente che quando si cerca di uscire dal modello neoliberista i contraccolpi politici sono immediati, come spiega Railidia Carvalho che descrive il veloce retrocedere dei diritti del lavoro nel Brasile del golpe portato avanti contro Dilma Rousseff da parte dell’apparato di potere industriale, che vuole un ritorno trionfale del neoliberismo messo in discussione da Lula.

Sulla relazione capitale-natura sono importanti le considerazioni di Mario Agostinelli dopo il Forum Sociale Mondiale di Montreal a cui ha partecipato e in questa direzione è anche il dossier curato da Laura Corradi che riflette sul libro scritto da lei insieme a Raewyn Connell, Il silenzio della terra, che rappresenta il punto di arrivo di una esplorazione ventennale nelle teorie sociali dei paesi non occidentali e nelle realtà aborigene, nel tentativo di imparare da esse mettendo al centro la terra.

Esiste ancora una sinistra?

Le analisi storiche e le diagnosi presentate nei saggi prima ricordati sembrerebbero convergere verso una risposta negativa, ma sia al livello internazionale che al livello nazionale vi sono risposte che mostrano scenari politici, economici e culturali alternativi al neoliberismo dominante.

Al livello internazionale sono importanti le iniziative e proposte che provengono dal Forum Sociale Mondiale descritto da Mario Agostinelli: cambiamenti nelle fonti energetiche, spostamento verso un sistema agricolo più localizzato ed ecologico, abolizione dei trattati commerciali che interferiscono con i tentativi di ricostruire le economie locali, accoglimento di rifugiati e migranti che cercano sicurezza e una vita migliore, introduzione di un reddito minimo universale, interruzione di sussidi ai combustibili fossili, tassazione sulle transazioni finanziarie, tasse più elevate per le corporation e per i ricchi, una tassa progressiva per il carbonio.

In questo scenario si collocano le iniziative politiche italiane di sinistra. La scomparsa di partiti che si riferiscano al lavoro come base sociale aumenta le responsabilità politiche del sindacati e della Fiom in particolare. Gianni Rinaldini delinea “un Sindacato Confederale, autonomo, indipendente e democratico, espressione di un progetto di cambiamento della società (..) che non può che essere fondato su un proprio progetto di cambiamento della società, da cui derivano le proprie compatibilità nella stessa iniziativa rivendicativa

Un Sindacato democratico nella vita dell’Organizzazione, nella forma e nella modalità di elezione dei gruppi dirigenti e nel rapporto democratico con l’insieme dei lavoratori e delle lavoratrici. Da qui dovrebbe cominciare una vera discussione, senza ipocrisie ed infingimenti”. In questo scenario si muovono le iniziative della Fiom in materia di formazione raccontate da Giuseppe Ciarrocchi e Gabriele Polo e quelle descritte da Bruno Papignani (intervistato da Tommaso Cerusici) che analizza quattro temi di grande rilevanza: l’accordo raggiunto in Fincantieri, il rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici, i referendum promossi dalla Cgil contro il Jobs Act e il referendum costituzionale.

Sull’esistenza di una sinistra in Italia e in Europa si muovono poi le interviste fatte in questo numero da Luciano Berselli a Paul Ginsborg e Sergio Labate (autori del libro Passioni e politica, uscito recentemente da Einaudi) e da Sergio Caserta a Laura Urbinati, impegnata nella campagna per il NO, da lei considerata una lotta essenziale “per la difesa della democrazia costituzionale”. La sinistra esiste ed è impegnata su più fronti.

Ordinare se stessi per governare il mondo

Questa frase proviene da un antico testo cinese di recente pubblicato in italiano, il Neiye (Neiye, Il tao dell’armonia interiore a cura di Amina Crisma, Garzanti 2016) ed è anche il senso profondo dell’intervento di Emilio Rebecchi in questo numero che ci invita a guardare dentro di noi se si vuole affrontare la complessità del reale e distinguere tra il buono e il cattivo. Il disegno riportato in questo editoriale è quello della mappa Loshu (una delle due mappe dell’Yijing, il Classico dei Mutamenti) impressa sulla tartaruga (simbolo di longevità) che naviga in acque difficili. E’ il mio personale augurio di longevità e cambiamento (Yi) per la sinistra.

Questo articolo è stato ripubblicato da Il manifesto di Bologna, è l’editoriale di Inchiesta 193 (luglio-settembre 2016)

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