In nome delle donne e della sanità sarda
2 Settembre 2020[Daniela Spada]
Una paziente oncologica che sia affetta da tumore al seno, qui in terra sarda, sa bene di quanta “pazienza” si debba armare, lungo il proprio percorso di cura.
Sa anche che vorrebbe affrontare in modo definitivo il problema, sia che abbia la possibilità di ricorrere solo ad una asportazione parziale, sia che decida per una mastectomia totale, anche se le mammelle non sono entrambe affette da tumore (mastectomia curativa e preventiva).
Ma sa anche che qui in Sardegna è difficile essere ascoltata, essere compresa nelle proprie individuali aspettative.
Spesso infatti sono i chirurghi a pensare di doversi sostituire alle pazienti nell’esercizio di una decisione così importante, come se la donna non fosse più in grado, dato il suo stato di “fragilità”, di esercitare in piena coscienza il libero arbitrio.
Il tono per lo più assunto dai luminari è di impronta paternalistica, pensando che la donna che ha davanti sia lì lì per trasformarsi in una bimba spaurita e bisognosa di conforto.
Sino a qualche anno fa (io sono stata operata all’IEO nel 2015) non esisteva a Cagliari la possibilità di recuperare chirurgicamente un grave errore commesso in sede di intervento primario; per rimediare occorreva pagare.
Recentemente però si era mosso qualcosa, grazie all’intraprendenza e al profondo senso di umanità di un chirurgo dal curriculum impeccabile e dalla forte determinazione.
Il professor Andrea Figus, Direttore di Chirurgia Plastica e Microchirurgia all’ Università degli Studi di Cagliari e Docente Universitario, ha iniziato ad applicare nella ricostruzione mammaria (IRMA, intervento restitutivo della mammella) un innovativo metodo (DIEP) consistente, grosso modo, nel trasporto di tessuto proprio della paziente (autotrapianto) allo scopo di restituire alla donna mastectomizzata un aspetto esteriore che si avvicini il più possibile a quello desiderato.
La ricostruzione con lembo “DIEP” (deep inferior epigastric perforator) preleva un’ellisse di cute e grasso addominale al di sotto dell’ombelico e lo utilizza per ricostruire la mammella senza rischio di rigetto.
Il grande successo di tali interventi ha donato alla struttura ospedaliera in cui venivano eseguiti, il Policlinico “Duilio Casula” di Monserrato, una risonanza mondiale per la metodologia applicata e il grado di competenza professionale dimostrato.
La voce si è sparsa rapidamente tra tutte quelle donne che, come me, si erano sentite abbandonate a se stesse dopo la dichiarazione di impossibilità di miglioramento di un errore di ricostruzione ad opera del chirurgo di primo intervento (quello asportatorio).
Così, il numero delle richieste essendo cresciuto esponenzialmente, è nata una équipe composta da tre chirurghi, di cui il formatore è stato proprio il prof. Figus.
Recentemente sull’ Unione Sarda è stata pubblicata una commovente e nello stesso tempo esaltante testimonianza di una paziente che ha voluto ringraziare in questo modo chi aveva saputo soddisfare pienamente le sue aspettative di pieno recupero psico-fisico.
Ma la lista delle aspiranti all’intervento ricostruttivo secondario ha subito una netta battuta d’arresto, complice l’emergenza COVID 19 con tutte le problematiche da essa derivate nell’ambito dell’assistenza sanitaria pubblica.
Davvero non si può far niente per superare questa grave impasse? Mi sembra che questa situazione sia di notevole gravità sostanzialmente per due motivi: innanzitutto perché si assiste all’ennesima profonda delusione vissuta dalle pazienti oncologiche che, già traumatizzate da una ricostruzione mal riuscita o del tutto errata,
speravano di poter finalmente porre rimedio al danno subìto, più psicologico che fisico, senza dover spendere cifre per loro del tutto insostenibili.
In secondo luogo, ma non meno importante, il gravissimo danno di immagine subìto dalla città di Cagliari, dall’intera Sardegna, e nello specifico dalla struttura ospedaliera del Policlinico Universitario: le recenti ed ulteriori restrizioni finanziarie e di personale hanno reso impossibile all’équipe chirurgica di tener fede ai propri impegni presi con pazienti inserite in una graduatoria già di per sé tanto lunga da prospettare la possibilità di intervento con un’attesa di almeno 360 giorni dal momento dell’iscrizione.
A nome di tutte le altre centinaia di pazienti di nuovo abbandonate a se stesse,mi rivolgo alla comunità cagliaritana e ancor più alle autorità competenti chiedendo con forza un serio ed improrogabile impegno al fine di ovviare quanto prima a questo gravissimo disagio.