In Sardegna e in Italia non esiste nessuna cultura dei diritti e della dignità della persona

15 Dicembre 2022

[Aldo Lotta]

Il mio proposito qui è di tentare di condividere delle considerazioni sulla realtà politica e sociale in Italia e, soprattutto, nella nostra regione.

E porre tali questioni (all’interno di una fotografia lacunosa e, certo, da completare) a confronto con un quadro normativo di diritti e di un impianto etico che risale a quanto stabilito attraverso statuti e convenzioni solennemente proclamate alla fine degli anni ’40 nella nostra nazione e nel mondo (dopo le tragedie delle due guerre mondiali) a salvaguardia futura della vita e dignità dell’essere umano. Proviamo a soffermarci a riflettere sulla direzione che oggi sta prendendo la nostra società. Intento non facile, ma è d’obbligo il confronto con alcuni articoli e passaggi della nostra Costituzione, che risale al dicembre ’47 e alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, del dicembre ’48.

Salute. Riflettendo sul settore della Sanità, sappiamo che negli ultimi anni, in coincidenza con l’aziendalizzazione del comparto e con l’esaltazione della competizione tra pubblico e privato, specialmente nella nostra regione si sono sempre più diradati e impoveriti i servizi anche essenziali per la salute e la sopravvivenza. Ne è esempio la scomparsa di reparti o di interi ospedali e in molti casi l’assenza della medicina di base nel territorio. Di conseguenza, negli ultimi tre anni sono scomparsi quasi 21000 specialisti (pensionamenti non sostituiti e fughe verso strutture private o addirittura altri Stati.

Si tratta di una spaventosa retromarcia rispetto al 1978, quando la legge 833, tra le più avanzate al mondo, si confaceva pienamente all’art. 32 della costituzione affermando che la salute va intesa come fondamentale diritto della persona e interesse della comunità, e garantendo le cure gratuite agli indigenti dava fondamentale importanza, accanto alla cura, alla prevenzione e alla riabilitazione (un esempio eclatante di tale arretramento si riscontra nel settore della Salute Mentale: è stupefacente come oggi si sia tornati nel nostro Paese ad un miope e scellerato modello di cura farmaco-ospedalo-centrico. A dispetto della rivoluzione copernicana, condotta nel 1968 dal nostro Franco Basaglia, culminata con la legge 180 (poi incorporata nella stessa l. 833) che nel frattempo si è diffusa in tutto il mondo, contribuendo a ridare dignità alla malattia mentale e a permettere di accogliere il paziente come una persona da ascoltare, comprendere e sostenere in un percorso di re-integrazione sociale.

Istruzione. Il settore dell’istruzione in Italia ha subito le stesse sorti della tutela della salute, dovendo rispondere alle necessità imposte dalle leggi del mercato più che da quelle sui diritti fondamentali del minore. Oggi in Sardegna il 13,2% dei minori non arriva neanche al diploma delle superiori perché abbandona precocemente gli studi, mentre il numero dei giovani che smettono di istruirsi abbandonando anche la ricerca di un lavoro, a fronte di una media nazionale del 23,1%, nell’isola raggiunge il 23,6%, oltre 10 punti sopra la media UE. Ciò a fronte dell’Art 34 della nostra Costituzione, che sancisce: La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.

Lavoro. Negli ultimi 15 anni il numero delle persone in povertà assoluta nel Mezzogiorno, con in testa la Sardegna, è più che triplicato passando da 780 mila circa del 2006 a 2milioni 455 mila. Dal 2008 ad oggi gli stipendi europei sono cresciuti del 22%, quelli italiani del 3%. La situazione è particolarmente grave al Sud, dove l’80% dei part-time non è richiesto ma imposto dal datore di lavoro. In Italia il 12% dei lavoratori è povero: in Europa solo 3 Paesi fanno peggio di noi. Il divario di impiego tra uomo e donna è intollerabilmente elevato (nei settori della scienza, tecnologia, ingegneria l’80% è rappresentato da uomini). Ciò mentre il nostro Art. 35 dichiara: La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori. E l’Art. 36: Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. Ancora, l’Art. 37: La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione.

Detenzione carceraria. Già con la sentenza Torreggiani del 2013 la UE ha dichiarato illegale il sistema penitenziale italiano. Oggi, per quanto ci siano stati dei flebili tentativi di correzione il sistema mantiene la prevalenza di un fondamento punitivo della pena. Ciò impedisce che siano adeguatamente valorizzate le misure alternative della pena che si è visto abbondantemente sono le sole ad impedire le recidive. Al contrario, l’istituzione per alcuni reati dell’ergastolo ostativo, fa sì che non possano essere concesse né misure alternative alla detenzione (lavoro all’esterno e semilibertà) nonchè alcun beneficio penitenziario, compresa la concessione dello specifico beneficio della liberazione condizionale, ove il soggetto non collabori utilmente con la giustizia. Su tale sfondo, nel 2022, si sono verificati 79 suicidi (fino ad ora), di cui 42 tra i 18 e i 39 anni. Nel 2012, la popolazione carceraria era maggiore di ben 11.687 persone; eppure, si erano verificati 56 suicidi. Ma l’Articolo 27 della Costituzione è perentorio: Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

Sistema tributario. Negli anni ’70 la progressività era ottenuta dall’applicazione di ben 32 differenti fasce. Portando ad avere nello scaglione più elevato un’aliquota del 72 %, in modo da risultare più onerosa al crescere del reddito, favorendo quindi le fasce di popolazione più deboli. Oggi tali fasce di aliquota sono diventate 4 e a quanto pare stiamo per assistere al botto finale denominato flat tax. 86,5 miliardi sono le imposte evase (come IRPEF, IVA, IRES e IRAP), mentre 12,7 miliardi i contributi non pagati (cioè tutti quei pagamenti che servono per finanziare le pensioni e le prestazioni assistenziali come la malattia, la maternità e così via). l’Italia è il primo paese in termini assoluti per perdita di gettito, con 30 miliardi di euro di IVA evasa. Tutto ciò avviene oggi a fronte dell’Art. 53, che sancisce: Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.

Migranti. I governi italiani succedutisi negli ultimi anni, pur di distrarre la nazione dai veri gravi problemi (tra cui la messa in atto delle odiose politiche di respingimento, sommario e collettivo, di persone definite ‘carico residuale’) hanno dovuto far credere che l’arrivo dei migranti rappresenti il problema più grande, ricorrendo a misere e trite fake news sulle navi umanitarie e su presunti obblighi delle stesse. Ma le norme internazionali stabiliscono l’obbligatorietà del soccorso in mare e di fatto le navi umanitarie intervengono perché Italia e Malta non ottemperano all’art. 98 della Convenzione ONU sui Diritti in Mare, alla Convenzione per la Sicurezza della Vita in Mare (SOLAS), e ad altre leggi internazionali che hanno sottoscritto e che le impegna a promuovere “la costituzione e il funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso per tutelare la sicurezza marittima” e a spingersi anche fuori della loro zona SAR e perfino in acque territoriali di altri Stati se vi sono persone in “effettivo pericolo”.

Riguardo i migranti che sbarcano sappiamo che, al posto di una politica di accoglienza e gestione umana e civile dei flussi, è prevista l’illegale detenzione amministrativa, cioè senza accertamenti di reato, nei CPR, di cui uno a Macomer, dove sono ampiamente documentati gravi violazioni dei diritti umani. Suggerisco, tra l’altro la lettura del dossier: Dietro le mura a cura delle attiviste/i della Campagna LasciateCIEntrare. Per non parlare del diffuso fenomeno del caporalato, con un uso schiavistico dei migranti, che determina, tra l’altro, gravi conseguenze sulla salute psico-fisica delle persone e, a volte, la morte. Ma il nostro Art. 10 afferma che L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali (e non degli umori dei governanti di turno. Vedi, a tale proposito, gli art. 3, 4 e 5 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo). Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici.

Politiche militari. Partendo dalla incisiva e solenne dichiarazione contenuta nell’ Art. 11 della Costituzione, L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Prendiamo atto che le politiche di commercio e profitto con le armi sono fortemente in ascesa, soprattutto verso paesi come Egitto, Israele, Libia, Turchia e Paesi Arabi. Politiche francamente illegali secondo l’ordinamento nazionale (l.185/’90 e internazionale (ATT, a cui l’Italia ha aderito come prima nazione al mondo). Il Trattato internazionale sul commercio delle armi (ATT) è in vigore dal dicembre 2014. L’articolo 7 stabilisce dei criteri che gli Stati parte devono considerare al momento della decisione sulla concessione o meno di un’autorizzazione alle esportazioni. In particolare, essi devono rifiutare le autorizzazioni nel caso in cui l’esportazione possa portare alla commissione o facilitazione di gravi violazioni del diritto internazionale umanitario; gravi violazioni dei regimi internazionali di diritti umani; atti illeciti ai sensi delle convenzioni internazionali relative al terrorismo; atti illeciti ai sensi delle convenzioni internazionali relative alla criminalità transnazionale organizzata.

A dispetto di ciò In Italia l’industria bellica è probabilmente l’unica che negli ultimi anni non ha avvertito nessuna crisi incrementando anzi enormemente produzione e commercio di armamenti. (Leonardo, tredicesima al mondo per fatturato, e Fincantieri vantano oggi ricavi dalla sola vendita di armi da guerra per 13,9 miliardi). E la Sardegna rappresenta un fiore all’occhiello nel campo della produzione, test e esportazione di armi da guerra, possedendo almeno i due terzi del territorio nazionale destinato a tali pratiche. Due nuovi reparti della RWM di Iglesias dovrebbero essere destinati a potenziare “la produzione di esplosivi militari di tipo Cast-Cured Pbx (a legante polimerico) e al caricamento di munizioni e teste in guerra con tale esplosivo”. Inoltre, nella stessa fabbrica, si prevede l’imminente produzione e manutenzione dei micidiali droni esplosivi, di cui alcuni modelli in grado di penetrare nelle abitazioni attraverso finestre o piccole aperture.

Ambiente.Strettamente connesso è il settore dell’inquinamento ambientale e delle malattie e picchi di mortalità correlate, in cui la Sardegna, con in testa il Sulcis-Iglesiente, occupa una delle primissime posizioni, grazie ai residui tossici prodotti dagli impianti industriali e dalla radioattività causata dalle esercitazioni militari che vengono svolte su queste terre. Basti solo pensare che, a causa di ciò, un intero promontorio, quello di Capo Teulada è stato dichiarato irrimediabilmente compromesso e insanabile. Non esistono dunque interventi di bonifica, tanto che in interi territori dell’isola è interdetta la produzione e il consumo di prodotti agricoli o da allevamento.

Tutto ciò mentre il nostro Art. 9 ci ricorda che: La Repubblica tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. E, sempre a tale proposito (soprattutto riguardo gli interventi di concessione delle nostre terre ad aziende ed industrie private) è bene ricordare l’Art. 41:L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali. E l’Art. 44: Al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissa limiti alla sua estensione secondo le regioni e le zone agrarie, promuove ed impone la bonifica delle terre.

Siamo dunque il Paese che la carta del 1948 prometteva di costituire? O più probabilmente qualcos’altro, forse in via di trans-formazione? Credo sia importante riflettere e fare chiarezza, subito, prima di proseguire il cammino, come individui e come comunità, soprattutto se tale comunità vorrà continuare a definirsi democratica.

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