Insegnanti e studenti di nuovo insieme nella lotta

16 Maggio 2015
Protesta-scuola
Franco Tronci

La riuscita della recente manifestazione contro le proposte del governo sulla scuola, con l’allegria delle voci di insegnanti, studenti, cittadini e l’accordo di tutte le organizzazioni sindacali fa nascere la speranza che la società italiana stia cercando, pur in mezzo a mille difficoltà, di riappropriarsi di un problema fondamentale del suo essere comunità.
Sarebbe auspicabile che intellettuali e organi di informazione favorissero in tutti i modi il processo di presa di coscienza aiutando la pubblica opinione a liberarsi di ideologismi e argomentazioni distorte che ne ostacolano una corretta interpretazione.
Dovrebbe, ad esempio, diventare patrimonio comune il convincimento che la civiltà di un paese si misura dalla quantità e qualità di istruzione do cui godono tutti i suoi cittadini. E per istruzione non si intendono soltanto le conoscenze tecnico-scientifiche che la scuola e l’università sono in grado di impartire ma anche la crescita umana e civile che si incrementano durante il processo di formazione.
La Costituzione italiana, nella sua lungimiranza, prevede di garantire a tutti le medesime opportunità formative: “Anche l’operaio vuole il figlio dottore” recitava una nota canzone in voga durante le lotte studentesche del’68 per ironizzare sullo spavento di conservatori e reazionari di fronte al fenomeno dell’istruzione di massa senza la quale non sarebbero state possibili né la rivoluzione industriale né l’avvento del welfare nelle società occidentali. Non è casuale che il primo atto compiuto da tutte le rivoluzioni progressiste del Novecento sia stato l’estensione a tutti dell’istruzione.
La fase più esaltante della crescita culturale del nostro paese può essere localizzata nel trentennio che intercorre dall’inizio degli anni Sessanta fino ai primi anni Novanta del secolo scorso. Nessuno studioso della storia della scuola e dell’istruzione si scandalizzerebbe se la stagione in questione venisse definita ‘epica’. Durante quegli anni l’Italia, assecondando la sua trasformazione da paese agricolo in potenza industriale, ha fatto i conti con la modernità ed è entrata nel novero delle nazioni più sviluppate del mondo.
Tutto iniziò con l’estensione dell’istruzione, obbligatoria e gratuita, fino ai quattordici anni d’età. Il Parlamento di allora decise di creare dal nulla la scuola media unica in ogni comune reperendo strutture di fortuna, improvvisando il corpo docente, avviando un programma massiccio di edilizia scolastica, redigendo programmi avanzati che, a partire dall’esclusione del latino, forse a torto considerato simbolo della vecchia scuola, intendevano colmare i ritardi nella formazione scientifica. Un bilancio generale di quell’esperienza non è stato mai discusso a fondo dal mondo della scuola, eppure lo studio degli effetti provocati dalle scelte di allora ci direbbe molto sulla storia dell’evoluzione democratica della nostra repubblica. Basti ricordare che l’istituzione della scuola media unica comportò l’eliminazione della scuola di avviamento professionale che discriminava gli adolescenti sulla base di criteri classisti.
Le lotte studentesche del ’68 ebbero, tra l’altro, il merito di sollecitare la trasformazione dell’università d’élite in università di massa. Scuola e università concorsero, da allora, seppur parallelamente, a ridisegnare il paradigma dei saperi che si arricchiva, via via, di nuove discipline, sia in ambito umanistico che in ambito scientifico e tecnologico. in questo vivace clima si rinnova anche il percorso di formazione dei docenti: gli insegnanti, sviluppando esperienze di auto-promozione professionale diedero vita ad una rete di associazioni di categoria che diventarono luoghi di riflessione teorica e di sperimentazione didattica oltrechè di crescita democratica.
La riforma dell’università dei primi anni Ottanta, seppure non realizzata fino in fondo, sancisce comunque, anche dal punto di vista organizzativo, la separazione fra ricerca e didattica; crea i dipartimenti e i corsi di laurea come funzionali a due momenti distinti. Essa prevede, inoltre, la formazione universitaria anche per gli insegnanti della scuola elementare. All’interno dell’università si sviluppa un proficuo dibattito intorno al concetto di unità del sapere, della cultura e della scienza che provoca la nascita di centri interdipartimentali aventi per oggetto di ricerca la didattica delle discipline. Saranno tali centri a farsi carico del problema della formazione degli insegnanti e della gestione della prima scuola finalizzata a tale scopo.
Il processo di crescita, qui sommariamente delineato, meriterebbe un’adeguata analisi e discussione fra gli insegnanti, gli studente, i cittadini oggi in lotta e fornirebbe abbondante materia per contrastare argomentando il vuoto e i rischi del progetto governativo. A noi basta qui dire che esso si arresta agli inizi degli anni Novanta in concomitanza con la caduta del Muro di Berlino, la fine della Guerra Fredda, il trionfo del liberismo e del “pensiero unico”. Governi di centro-sinistra e di centro-destra iniziano un’operazione sistematica di attacco alle conquiste realizzate dalla scuola pubblica. Si afferma l’dea della scuola come azienda e della formazione come acquisizione di capacità competitiva nei confronti dei propri simili e, perfino dei propri colleghi.
L’enfasi che oggi viene posta, con fumose e risibili argomentazioni, nasce dall’assurdo convincimento che gli stati impieghino risorse considerevoli per mantenere in vita un sistema complesso come quello scolastico al solo scopo di stabilire a chi (insegnante o studente) debba andare la medaglia di primo della classe. I governi del liberismo e della speculazione finanziaria, per realizzare i loro obiettivi, hanno calpestato la Costituzione per finanziare i diplomifici e la scuola clericale.
Il nostro è diventato il paese dei ministri, della scuola e dell’università, semi-analfabeti e di ministri dell’economia che sostengono che “con la cultura non si mangia”.
L’attuale governo sta portando alle estreme conseguenze un’opera di distruzione iniziata dal ministro Luigi Berlinguer; proseguito dal ministro Gelmini con l’obiettivo di mettere la scuola in mano di chi, un tempo si chiamava semplicemente dirigente scolastico e che ora pomposamente (sic!) viene chiamato manager.
Come si vede, la strada da percorrere per riprendere il cammino è lunga, piena di difficoltà ma può anche ritornare ad essere esaltante.
Buon lavoro!

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