Stiamo dando i numeri, anzi i punti
16 Ottobre 2008Redazionale
Se può essere giusto ridere delle miserie che ci capitano, a volte risulta difficile. Di fronte alle graduatorie a punti per gli immigrati il ghigno fatica a formarsi: il diritto di stare in Italia procederà da punteggi a seconda delle capacità di inserimento e delle eventuali condanne subite. Una delle peggiori infamie democratiche, giuridiche e culturali mai viste. Quanti punti in meno dovrebbero avere cittadini, applicando la nuova norma anche a quelli italiani, che hanno avuto qualche guaio con la giustizia e sono stati ufficialmente condannati: penso a Marcello Dell’Utri, al Ministro Maroni stesso (che nemesi!). Mettiamo che in Sardegna un immigrato di nome Cellino avesse subito una condanna, con patteggiamento, a 1 anno e 2 mesi per una truffa da 24 miliardi di lire all’Ue e al Ministero dell’Agricoltura: potrebbe risiedere in Italia e costruire un nuovo stadio? Non riusciamo però – per un disgusto intollerabile –a rimanere nella luminosità del paradosso. L’arbitrio e la pericolosità di questo nuovo abominio del governo Berlusconi è peggiore di ogni impronta digitale. Esso è la sanzione definitiva della non uguaglianza degli immigrati agli altri cittadini, perché si propone di giudicarli con leggi parallele e non da quelle ‘uguali per tutti’. Non si tratta neanche – gli immigrati non ne hanno evidentemente diritto – di una legge con tutti i crismi, quanto di un’omologazione alla patente a punti. Ai poveri che vengono a camparsi nel nostro paese verranno tolte le elementari norme della punizione come recupero. Verranno mandati via. Soprattutto, persino oltre al problema immigrati, la cittadinanza e la democrazia non sono diritti, ma una patente che si può concedere o ritirare. Questi post-fascisti hanno proprio gettato la maschera con un’ idea che viola ogni principio di umanità, di civiltà e di uguaglianza come stabiliti dalle conquiste democratiche di questi ultimi secoli, compreso il diritto di sbagliare e la possibilità di redimersi. Crediamo davvero che la ribellione debba essere fortissima, il ricorso per anticostituzionalità obbligatorio.
Decimomannu-Quirra
Non è un mistero che la Sardegna paghi un tributo elevatissimo in seguito alla rapina del suo territorio per usi militari. Nonostante abbia una posizione geografica importante che le consentirebbe di svolgere un ruolo di grande interesse nelle relazioni con i paesi che si affacciano nel Mediterraneo, continua ad essere un’immensa base di addestramenti e sperimentazioni, nel quadro della strategia militare dei paesi della Nato. Non solo è vessato il suo territorio (per una superficie che supera i 12.000 ettari), ma anche gli spazi aerei e marittimi subiscono continue limitazioni.
Come se tutto ciò non bastasse, nei mesi scorsi è stato approvato un progetto per la costruzione di un corridoio militare di volo che va da Decimomannu a Perdasdefogu/Quirra. La sua realizzazione è stata affidata al Genio Militare dopo che il Ministero della difesa ha dato le ‘regolari autorizzazioni’. L’ennesimo esperimento nella nostra isola è stato motivato come una necessità per sperimentare velivoli da guerra senza pilota.
Negli ultimi giorni però è accaduto qualcosa che ha turbato i parlamentari sardi del Partito Democratico. Pare infatti che le sperimentazioni del nuovo velivolo da guerra non si svolgano più nella nostra isola ma siano state trasferite in altre regioni del paese, forse in Puglia. Che cosa fanno i nostri parlamentari? Presentano subito un’interrogazione al ministero della Difesa chiedendo le ragioni del trasferimento. Aggiungono che per alcuni territori isolani si tratterebbe dell’unica possibilità di un futuro industriale e perciò viene auspicato il ripristino del vecchio progetto. Ancora una volta dunque il Partito Democratico ritiene che le politiche che garantiscono lo sviluppo della Sardegna passano attraverso le due strade principali: le servitù militari e il turismo. Con le prime si garantisce il peggioramento delle condizioni di salute dei cittadini, con la seconda lo scempio delle coste. Non c’è proprio male!
Referendum e petizioni
Nel più generale terremoto della democrazia, due forme si impongono all’attenzione: referendum e petizioni. Lo strumento del referendum era assai potente: se ne ricordano ‘di ogni colore’, a favore del divorzio e della regolamentazione dell’aborto, della pubblicità delle reti di Berlusconi, del no al nucleare e della sconfitta sulla scala mobile. Temi forti la cui anima democratica è stata progressivamente sepolta da particolarismo e strapotere delle lobbies politiche. Il sospiro di sollievo sardo sul paesaggio è meno profondo sul piano democratico: la crisi del referendum non è una vittoria della sinistra (o, se capita, della destra) ma un’ emergenza democratica. La stessa proposta di abolire il quorum consegnerebbe ad oligarchie ben organizzate la gestione del ‘demos’, ed è aspetto della separazione della classe politica attuale da una corretta prassi democratica, trionfo dell’ ‘autonomia del politico’. La petizione, ora frequente, è testimonianza, esposizione pubblica di nome, cognome, stato e luogo talora con frasi che trasferiscono emozioni e punti di vista; specifica forma aggregativa/comunicativa nello spazio assai vasto della rete. Viaggio via cavo. Quella su Tuvixeddu l’abbiamo inviata e ritrovata dappertutto, ospitata persino nei blogs di Giuseppe D’Avanzo e Grillo, Jacopo Fo, Franca Rame, ‘Anno Zero’, Elio e le Storie Tese. Letta in Cina e nelle Americhe. Questa forma di partecipazione è calda, immediata, chi firma non sa se conterà davvero, ma intanto c’è, si vede, si espone su un documento condiviso, può trasmettere il contagio…. Su Tuvixeddu è risposta ampia e civile, anche contro lo squallore di una commissione d’inchiesta (solo Rifondazione Comunista, che merita il nostro plauso, si è indignata) che dovrebbe essere su chi ha massacrato Cagliari nel secondo dopoguerra. Rivendicazione di un’archeologia che sa riconoscere orrende fioriere.
Ecco le quattro petizioni preferite di questa quindicina.