Israeliani al Lingotto. L’errore del boicottaggio
16 Febbraio 2008
Gianluca Scroccu e Manuela Scroccu
L’anno scorso siamo stati alla Fiera del Libro di Torino. Un’esperienza interessate e ricca, specie per la possibilità di scegliere: visitare lo stand di una casa editrice famosa o di una sconosciuta; sfogliare un libro piuttosto che un altro; scambiare un’opinione o assistere ad un dibattito con altre persone, anche semplicemente curiose. La letteratura, di per sé, è democratica e non è un caso se i totalitarismi del Novecento i libri o li bruciavano o li rendevano innocui costringendo al silenzio gli scrittori.
La questione della richiesta di boicottaggio verso lo Stato di Israele, invitato come ospite principale al Lingotto, appare veramente come una proposta priva di senso e anche sbagliata politicamente. Non a caso, in questi giorni, c’è chi ha affiancato questa vicenda alla vergognosa lista apparsa su un blog in cui venivano messi all’indice più di cento docenti della Sapienza accusati di essere ebrei e filosionisti. Noi respingiamo anche solo l’idea che la sinistra possa essere accostata all’antisemitismo.
Un libro è un oggetto che permette di mettere in contatto persone diverse: per alcuni un romanzo può essere un capolavoro, per altri un prodotto mediocre; un libro è, comunque, sempre occasione di confronto e scambio. In una parola dalla letteratura nasce spesso la riflessione, l’intuizione che porta al cambiamento e al dialogo tra chi sembrava diviso da una barriera insormontabile.
Ogni anno la Fiera di Torino ha per ospite un paese: l’anno scorso, ad esempio, era la Lituania. E perché quest’anno non dovrebbe essere Israele, oltretutto nel 60° anniversario della sua nascita? Israele è forse uno stato “paria”? È una bestemmia amare un film o un libro di un autore israeliano? Non c’è ipocrisia e faziosità nel celebrare la Giornata della Memoria e ricordare le persecuzioni del fascismo contro gli ebrei e poi chiedere il boicottaggio della letteratura israeliana?
Ascoltare uno scrittore israeliano non vieta di condannare severamente quello che i governi Sharon o Olmert hanno fatto in questi ultimi anni contro la popolazione palestinese; non entra in contrasto con chi chiede a gran voce che Israele restituisca finalmente i territori occupati nel 1967; non impedisce di chiedere con forza che convivano al più presto due stati legittimi e capaci di riconoscersi e rispettarsi: lo Stato Palestinese e quello Israeliano, senza più i kamikaze che uccidono innocenti cittadini israeliani sugli autobus o i carri armati che passano sui corpi inermi dei bambini palestinesi. Grossman, Amos Oz, Abraham Yehoshua sono forse persone che si rifiutano di riconoscere i diritti dei palestinesi? Qualcuno ricorda le parole toccanti che David Grossman pronunciò in occasione dei funerali del figlio Uri, quando invitò, pur distrutto dal dolore, ad insistere nella ricerca della pace e a preservarla dalla tentazione della forza e da pensieri semplicistici, dalla deturpazione del cinismo, dalla volgarità del cuore e dal disprezzo degli altri, che sono la vera, grande maledizione di chi vive in una area di tragedia come quella mediorientale?
Parole di rispetto reciproco, di pace, di invito all’ascolto e alla tolleranza: perché si deve impedire di risentire queste stesse cose a Torino?
Boicottare significa certificare l’anormalità e la divisione; ascoltare e dialogare significa porre le basi, invece, per un cammino di normalità che porti al riconoscimento reciproco di due popoli e due stati.
Mischiare la condanna di un governo con il rifiuto di quello che un popolo produce nel campo delle arti e della cultura porta all’innalzamento di muri che impediscono il cambiamento. È per questo che non bisogna aver paura che Israele sia la protagonista di questa edizione della Fiera del Libro; contemporaneamente, bisogna impegnarsi e battersi con forza perché l’edizione del 2010 (quella del 2009 è dedicata all’Egitto) abbia come protagonista lo Stato di Palestina.
La poesia vince sempre sulla violenza e l’ottusità dell’uomo. Almeno a Torino lasciamo, e speriamo, che sia così.
19 Febbraio 2008 alle 17:30
Diversi palestinesi sono stati invece invitati a Lingua Madre, lo spazio più interessante della fiera torinese, aperto a tutte le lingue del mondo. E a maggio, con i riflettori puntati su Israele, si prospettavano straordinari duetti e – cito – “duelli”… che presumibilmente non ci saranno perché, com’è noto, si stanno declinando gli inviti. Ora, oltre il condivisibile già detto nell’articolo degli eccelsi G. e M. Scroccu, domandiamoci a chi serve il boicottaggio a opera di scrittori ancora in Italia così poco conosciuti. A maggior ragione a 60 anni dalla Nakba la loro presenza sarebbe invece tanto più preziosa, ché se anche la gente del libro cede il passo alla sterile logica dell’odio, il rischio è di annoverare tra le vittime anche una letteratura già fortemente oppressa dall’occupazione. Chi conosce gli artisti israeliani, sa che saranno a Torino perché con essi Israele sta esprimendo una letteratura e una filmografia tra le più belle e interessanti al mondo. Così i palestinesi, dall’esilio, stanno cercando di liberarsi da quella che Murid al-Barghuti definisce “poesia in metro militare”, e ci sono autori che sarebbe importantissimo avvicinare per conoscere arte e pensiero oltre ogni pregiudizio. I luoghi della parola sono preziosi: illogico suggerir loro di non usarli. A maggior ragione nel nuovo passaggio così tragico, complesso e delicato della loro storia, non è del nostro incoraggiamento a non esserci, e di conseguenza a tacere, che i palestinesi hanno bisogno.