Stabilmente precari
1 Febbraio 2011Lilli Pruna
Gli studi più recenti sul mercato del lavoro, tra cui il Rapporto 2010 sul mercato del lavoro in Sardegna realizzato dal Centro Studi di Relazioni Industriali dell’Università di Cagliari (sarà presentato il prossimo 11 febbraio alle 16,00 nell’aula A della Facoltà di Scienze Politiche), consentono di individuare un fenomeno che sta cambiando in modo profondo e radicale i percorsi occupazionali e le condizioni di lavoro in questa regione.
E’ un fenomeno ancora poco evidenziato e su cui invece occorre richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica e della politica. Ci troviamo di fronte ad un processo di erosione della stabilità del lavoro iniziato quasi tre decenni fa ma che negli ultimi anni ha subìto una forte accelerazione, tanto da assumere nuovi tratti e produrre effetti sul mercato del lavoro che occorrerà studiare e affrontare seriamente nei prossimi anni.
L’estensione che questo fenomeno ha raggiunto nel totale silenzio delle istituzioni fa pensare che non vi sia una piena consapevolezza politica sulla sua effettiva dimensione, né sulle sue conseguenze sociali ed economiche. L’introduzione progressiva di forme contrattuali a termine è iniziata nella seconda metà degli anni ’80 (con il contratto di formazione e lavoro, pluri-incentivato), si è intensificata negli anni ’90 (con la prima formulazione del lavoro interinale, il part-time, l’estensione dei contratti a termine, le forme di inserimento lavorativo che non si configurano come rapporti di lavoro, ad esempio le borse di lavoro e i piani di inserimento professionale) ed è stata rafforzata dal 2000 (con le nuove forme di collaborazione, il lavoro ripartito, il lavoro a chiamata, la somministrazione di lavoro e altre tipologie): in questo modo sono state introdotte quote crescenti di occupazione a termine nel mercato nazionale e regionale, che progressi-vamente hanno eroso lo spazio delle occupazioni stabili.
Ma oggi alla crescente sostituzione del lavoro stabile con le varie forme di lavoro a termine si è aggiunta una estesa riduzione della stabilità del lavoro formalmente stabile. Vale a dire che la grande precarietà che oggi connota il mercato del lavoro deriva non solo dalla elevata quantità di occupazioni instabili e a termine che si sono moltiplicate negli ultimi decenni, ma anche dalla crescente debolezza e instabilità dell’occupazione a tempo indeterminato, che si considerava “sicura” fino a non molto tempo fa e che invece appare diffusamente insicura.
E’ questo doppio processo di indebolimento del lavoro che ha determinato una erosione tanto estesa quanto silenziosa dell’occupazione stabile e una moltiplicazione dei lavoratori e delle lavoratrici precarie. La dimensione complessiva della precarietà del lavoro in Sardegna si ricava dalla somma degli individui compresi in quattro posizioni individuabili nel mercato del lavoro, all’interno delle quali si alterna nel corso dei mesi un unico universo di persone costituito appunto dai lavoratori e dalle lavoratrici precarie. La prima condizione precaria è quella degli occupati dipendenti con contratto a termine, che comprendono anche gli interinali: si tratta nel 2009 di 70.000 persone che corrispondono al 16,3% dell’occupazione dipendente della Sardegna; di queste, 34.000 sono uomini e 36.000 sono donne, e ciò significa che benché le donne rappresentino non più del 39% dell’occupazione dipendente ne costituiscono il 51% della componente precaria.
Occorre anche tenere conto che una quota consistente di queste lavoratrici ha un orario ridotto (part-time), quindi anche una retribuzione ridotta, non sempre per scelta. Analisi recenti (si può vedere al riguardo il Rapporto 2009 sul mercato del lavoro in Sardegna, edito da CUEC) hanno mostrato che nella nostra regione il 20% degli occupati con contratti a termine lavora per periodi inferiori ai 3 mesi, il 21% per un periodo compreso tra 3 e 6 mesi, meno del 32% tra 6 e 12 mesi e solo poco più del 13% ha contratti che vanno oltre i 3 anni. In sostanza, dunque, la temporaneità dell’impiego consiste in rapporti di lavoro molto brevi, anche se ricorrenti (ma intervallati da periodi più o meno lunghi di disoccupazione).
La seconda condizione tipicamente precaria è quella degli occupati “parasubordinati”, cioè tutti coloro che lavorano attraverso le varie forme di contratto di collaborazione (coordinata e continuativa, a progetto, occasionale) e le altre forme contrattuali non dipendenti (né propriamente autonome). Nel 2009 in Sardegna sono 29.000, di cui quasi 24.000 – pari all’83% – con un committente esclusivo, il che dà la misura dell’evidente forzatura nel non voler definire questo tipo di rapporto come “dipendente” (negando quindi i diritti e le tutele degli altri rapporti di lavoro di questo tipo). Queste prime due categorie, che insieme comprendono 99.000 persone, sono quelle cui comunemente si fa riferimento quando si misura la precarietà del lavoro.
La cifra è consistente, di per sé giustificherebbe un certo allarme sociale, e tuttavia non esaurisce l’intera dimensione della precarietà del lavoro in Sardegna né sembra comunque impressionare la classe politica che governa la regione.
Ci sono altre due posizioni rilevanti nel mercato del lavoro all’interno delle quali si possono individuare ulteriori componenti dell’universo precario. Le persone in cerca di lavoro – quelle che rappresentano la disoccupazione ufficiale – sono costituite in larga parte da lavoratori e lavoratrici che hanno alle spalle esperienze di lavoro precarie e che cercano una nuova occupazione: si tratta complessivamente di 91.000 persone (pari ad un tasso di disoccupazione medio nell’anno del 13,3%), di cui 47.000 uomini e 44.000 donne. Quasi l’80% di queste persone ha avuto precedenti esperienze lavorative: si tratta di 72.000 individui, di cui 37.000 uomini e 34.000 donne. Bisogna dunque imparare a considerare la disoccupazione come l’altra faccia dell’instabilità del lavoro: coloro che oggi svolgono un lavoro a termine, tra 3 o 6 mesi saranno disoccupati, e chi oggi è disoccupato potrebbe trovare un lavoro precario.
Precarietà del lavoro e disoccupazione costituiscono a tutti gli effetti un unico fenomeno che coinvolge un numero molto elevato di donne e uomini, in larga parte non più propriamente giovani, cioè oltre i 35 anni: fin qui possiamo contare 190.000 persone. A queste però si aggiunge un ulteriore gruppo costituito da coloro che cercano lavoro “meno attivamente”, cioè attraverso azioni di ricerca un po’ meno recenti (precedenti all’ultimo mese): si tratta di altre 55.000 persone, che sommate alle precedenti portano quasi al 20% il tasso medio di disoccupazione nell’anno. Sono 22.000 uomini e 33.000 donne che in larga parte hanno sperimentato più di una attività di breve durata e cercano una nuova occupazione o forse aspettano un’occasione, visto che molti lavori precari non si cercano ma semplicemente capitano. Sommando le cifre elencate ricaviamo la dimensione complessiva della precarietà del lavoro in Sardegna, che nel 2009 ammonta a 245.000 unità – un numero spaventoso – cui bisognerebbe aggiungere i lavoratori e le lavoratrici in cassa integrazione (straordinaria e in deroga), che formalmente risultano occupate ma che nella maggior parte dei casi sono destinate a perdere il lavoro. Queste sono le tante facce della precarietà e il risultato dell’erosione della stabilità del lavoro che nessuno appare intenzionato a fermare.