La banalizzazione della paura: da via terapeutica a strumento di potere

1 Giugno 2019
Un murale a Kabul dedicato al coraggio dei difensori dei diritti umani

Un murale a Kabul dedicato al coraggio dei difensori dei diritti umani

[Aldo Lotta]

“Noi lo diciamo, loro lo hanno fatto” (Ada Colau, sindaca di Barcellona) – “Le persone sono più importanti delle storie” (Wim Wenders, regista, autore de “Il volo”, sull’esperienza di Riace). Sono testimonianze vivide, emotivamente partecipate, sulla vicenda del paesino della Calabria che in questi tempi è assurto al centro dell’attenzione del mondo civile e della ben più retriva e ottusa cronaca nostrana. La quale ci racconta che a Riace ha sfondato la lega con il 30,77 % dei voti (dopo l’esilio coatto per l’ex sindaco e una campagna in linea con i parametri propagandistici attuali della nostra classe dirigente nazionale). In un suo vecchio articolo Bruno Callieri, che ha contribuito nel secolo scorso alla poderosa rivoluzione “copernicana”, nel campo della salute mentale e della civiltà, di Basaglia, affronta il tema del panico e della paura attraverso una visione che travalica l’aspetto clinico per delineare le pieghe più intime di un’emozione così essenziale e strutturale dell’essere-vivente.*
Così i codici freddi e distaccati che nei manuali delineano l’attacco di panico scoloriscono e scompaiono. Emerge invece un’immagine dalle tinte vivide e molteplici che rivelano la profondità ma anche l’estrema complessità di un vissuto, quello della paura, che cupo e angoscioso, a volte sconvolgente, può rappresentare, come egli conclude, una straordinaria “via terapeutica”. Ma qui la “guarigione” è intesa naturalmente come crescita, acquisizione, come approdo salvifico dopo un naufragio.
La ”via terapeutica della paura”, ci dice Callieri, coincide col “riconoscere l’insufficienza della mia esistenza a se stessa” e nel realizzare, quindi, “la necessità ovvia del mio ritrovarmi nella coesistenza”. In ultima analisi, ancora una volta, viene ricordata la necessità vitale della solidarietà, della con-divisione delle difficoltà e delle risorse per superarle.
Questo scritto, articolato ma di magistrale chiarezza è poi così vicino agli insegnamenti dei grandi artisti. Scrittori, pittori, registi che nel raccontare le vicende della condizione umana, traducono i propri e gli altrui limiti connessi ad una naturale fragilità e complessità. Ma, contemporaneamente, sono parole che ci riportano ad una attualità tragica e stringente. In particolare, il tema della paura, che da elemento costitutivo e necessario (in quanto indicatore della necessità di un’apertura all’altro), è trasformato in strumento di affabulazione e propaganda da parte di meschini pifferai magici. Tanto più sorprendente che questa paura, superesposta mediaticamente, diviene strumento di chiusura individuale e di esclusione, anche violenta, dell’altro.
Così, purtroppo, nel nostro paese la paura mediatizzata ed enfatizzata inventa la politica dei porti-chiusi a chi chiede disperatamente aiuto e dei porti-aperti alle armi. Contemporaneamente, spalanca le banche ai maestri della corruzione e criminalità, affidando loro le sorti del PIL nazionale.
Ma lo stesso paese è anche luogo di esperimenti civili in cui la prassi politica egemonica è decisa dalle necessità sociali dell’uomo comune, a partire da quella di non sentirsi solo e rifiutato. Come le rivoluzioni di portata mondiale realizzate da Franco Basaglia, ormai nel secolo scorso, e in questi ultimi anni, da Mimmo Lucano.
Entrambi questi personaggi, infatti, hanno inequivocabilmente dimostrato che la “semplice” realizzazione del pieno rispetto dell’altro è non solo possibile, ma in grado di demolire ogni paura e ostilità verso il diverso rendendoci più civili e socialmente maturi. La chiusura dei manicomi e l’accoglienza pienamente inclusiva dei profughi a Riace sono esperienze italiane, celebrate e oggetto di studio nel mondo. Tutte le azioni miserrime volte a demolire o ridimensionare queste esperienze non possono, come ci ricordava Basaglia, sminuirne storicamente il significato (“L’importante è che abbiamo dimostrato che l’impossibile diventa possibile..”). E il significato è che nel momento in cui cessiamo di de-finire l’altro e ne ri-conosciamo invece la nostra stessa soggettività e dignità, superiamo le nostre paure e insieme riacquistiamo la speranza verso il futuro.
Negli ultimi anni 90 e nei primi di questo millennio sono stato testimone di una piccola ma per me importantissima esperienza. Il Centro Diurno di Marina Piccola a Cagliari, facente capo al Dipartimento di Salute Mentale della Asl 8, ha preso a vivere come una piccola comunità estremamente eterogenea. Quasi spontaneamente, anche grazie all’essenza magica del luogo, così affollato e così immerso negli elementi naturali, i ruoli, le distinzioni hanno perso importanza. Le persone che partecipavano alla vita quotidiana, scandita dalle più varie attività, culturali, sportive, “domestiche”, erano certo pazienti e operatori, ma insieme a loro si ritrovavano familiari, amici, individui che entravano liberamente anche per bere un caffè assieme, partecipare al pranzo o godere dei benefici di una seduta di yoga. Ma anche il dentro e il fuori erano intercambiabili e in-differenti, dal momento che tanti erano gli impegni esterni, specie sportivi.
L’atmosfera che si respirava, che tutti respiravano in questo luogo diffuso era immancabilmente quella di una dimensione autenticamente umana, in cui le paure, le angosce, sparivano o si stemperavano, grazie alle relazioni aperte e alla pari. I successi delle esperienze esterne, a parte quelli ufficiali, anche in campo nazionale (nelle competizioni di calcio, per esempio, o nelle regate) erano soprattutto, sempre, costituiti dall’accoglienza immediata da parte delle persone.
In quegli anni erano tante le esperienze simili in tutto il territorio nazionale. Quella citata ha dovuto cedere al ritorno nella nostra regione di politiche oscurantiste e antistoriche. Ma la traccia, le orme di questa avventura non possono essere cancellate. Il bisogno naturale dell’uomo di “ritrovarsi nella co-esistenza” e non nella paura non può che ricostruire altre infinite esperienze di civiltà che dimostrino come fittizia, artificiosa e malevola rimanga la politica dell’odio e dell’esclusione.
“Libertà, Uguaglianza e Fratellanza sono parole impresse a caratteri cubitali su tutti noi europei, ma se Oppressione, Esclusione e Ostilità diventano i nuovi slogan di molta destra europea che finge di dimenticare quali miserie e quali spargimenti di sangue le loro ideologie hanno seminato in Europa nel secolo scorso, è bene che essi sappiano che il Passato non può essere il Futuro dell’Europa”. (Wim Wenders, a sostegno di Mimmo Lucano, arrestato per il “reato di umanità”.

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