La bonifica del giorno dopo
16 Aprile 2010Angelo Morittu
Mentre sfoglio il “Manifesto delle Comunità di Sardegna” di Eliseo Spiga, Francesco Masala e Placido Cherchi, tre grandi filosofi dell’indipendentismo, non posso fare a meno di riflettere sulle recenti vicissitudini degli operai in lotta per il posto di lavoro e sulla grande manifestazione “unitaria” del 5 febbraio.Il “sindacally correct” consiglierebbe l’astensione da qualunque forma di critica alle forme di lotta della classe operaia, ma i succitati maestri insegnano che non bisogna aver timore di esprimere idee “eretiche”, anche a costo di rimanere inascoltati e isolati.Sarà un caso che in prossimità della prossima tornata elettorale si stiano avviando a soluzione alcune annose vertenze sindacali, in particolare ad Ottana e Porto Vesme? Eppure solo un anno fa abbiamo assistito a simili promesse davanti agli stessi impianti in agonia e puntualmente disattese ad urne chiuse.Decine di altri esempi ricordano purtroppo che certo sindacalismo sia perfettamente funzionale al mantenimento del sistema clientelare e assistenziale che alimenta da decenni la stessa classe politica cinica e parassitaria. Non credo che scimmiottare certi reality televisivi su isole tristemente famose possa andare oltre l’effimera celebrità mediatica dello show, prima o poi dovremo dire sul serio: «basta»!Per uno strano riflesso condizionato ogni qual volta che un impresa minaccia di smobilitare, subito scatta l’allarme bonifica, ovvero saltano fuori i dossier che denunciano vecchi e nuovi oltraggi all’ambiente, salvo rimetterli nel cassetto quando la chiusura viene “rimandata”, è serio tutto ciò? Ovviamente no, ma è lampante che in tutte le nostre aree industriali esistono gravissimi problemi ambientali, ma la bonifica è argomento tabù davanti all’urgenza “busta-paga”.Ma quanto ci costano i sacrifici agli dei del Petrolio, dell’Alluminio e del Polimero? Possiamo sostenerli all’infinito o bisogna ripensare seriamente al nostro futuro, magari rileggendo il testamento di Eliseo Spiga?Il ritorno al lavoro negli stabilimenti di Ottana non cancellerà di certo l’inquinamento del fiume Tirso, ma sicuramente lo renderà socialmente accettabile, così come accettiamo da decenni le aberranti situazioni di Sarroch, Porto Vesme e Porto Torres, che, lungi dall’avere seriamente migliorato le condizioni sociali di quelle zone, hanno portato solo enormi profitti ad imprenditori di dubbie capacità e danni irreparabili al nostro territorio.Eppure sembra che da certi circoli viziosi non possiamo e non vogliamo più liberarci, oggi siamo in condizioni di accettare di tutto, dal Galsi alle centrali nucleari, pur di mantenere attive industrie energivore e totalmente fuori contesto; mentre con i soliti raggiri ci impongono tariffe elettriche altissime frutto di cartelli monopolistici orditi dallo stesso (ex) Ente Elettrico del Governo Italiano.Non si capisce che vantaggio possa avere la Sardegna dall’attraversamento di un gasdotto utile solo per l’Italia e che inizialmente non prevedeva nessuna distribuzione nel suo territorio; sarà questa l’ennesima opera devastante, una profonda trincea che sbriciolerà qualunque ostacolo incontrato sul suo tragitto e che, come da tradizione italica, verrà realizzato male e ci costerà una montagna di soldi e di danni.Ma davanti a nuove e fugaci prospettive di lavoro, non sappiamo dire di no, se questa crisi continua alla fine chiederemo a gran voce anche una centrale nucleare.Pertanto ribadisco l’accusa ai sindacati di complicità con gli speculatori e con i peggiori politici isolani, la loro miopia ha contribuito ai disastri sociali e ambientali e se non li fermerà qualcuno sono pronti a fare nuovi danni.Ho ascoltato con grande tristezza, e rabbia, il rappresentante dei lavoratori della miniera di Furtei che rivendicava il diritto al lavoro di bonifica, senza mostrare nessuna vergogna per lo stupro che lui stesso ha perpetrato a quelle colline per qualche anno di lavoro. Il poveretto, per nulla pentito, si lamentava dell’esiguità delle fideiussioni che avrebbero dovuto garantire la rimessa in pristino dei luoghi, del tutto inconsapevole che certi danni sono incalcolabili e insanabili, e come tali, praticabili impunemente solo nelle zone più depresse e corrotte del mondo.Chiediamoci onestamente se davvero la Sardegna merita un destino così assurdo, come non trovare veramente inconcepibile che un isola da secoli crocevia di commerci e culture, ricca di mille risorse e con una densità abitativa estremamente favorevole si riduca alla mercé di quattro speculatori. È mai possibile che la politica ed in particolare la sinistra sarda non trovi il coraggio di ri-orientare il sindacato, adattarlo alla nostra specificità, trovare insieme ad esso nuove prospettive di reddito che non siano quelle promesse e attese dai soliti imprenditori di rapina e/o compensate dagli ammortizzatori sociali, ma, messe insieme finalizzate esclusivamente al mantenimento del potere clientelare e assistenzialista?Orbene, infine, potrei anche capire l’orizzonte limitato del sindacalista, dopotutto vive le stesse angosce sussistenziali dell’operaio, ma la politica non può sdraiarsi sulle false soluzioni del breve e brevissimo periodo, se vuole tornare ad essere credibile ha il compito di trovare soluzioni nuove, solide e ardite, continuare ad accontentarsi del meno peggio del contingente annulla il nostro futuro e porta sicuramente alla conservazione e all’involuzione.