La confusione della lingua

1 Luglio 2011

Marcello Madau

Secondo il Signore (Genesi 11, 1-9) i popoli che costruivano la ziqqurat di Babilonia nota come ‘torre di Babele’ parlavano una sorta di LBC (Limba Babilonesa Comuna). Ma fu la presunzione di puntare verso il cielo che scatenò la punizione della confusione delle lingue..
Questo dio del Genesi mi è sempre sembrato discretamente autoritario e dispotico. L’omologazione che produce nel suo infinito pensiero fra multilinguismo e confusione – vecchia idea sumerica – ne è conferma. Peraltro, essendo la sua identità costruita in ambiente sacerdotale ebraico, e antibabilonese, di deportati giudei (molti impiegati come mano d’opera edile assieme ad anatolici, iranici ed aramei, nelle corvèes comandate dal re di Babilonia), vi è il sospetto che non solo non glie ne importasse nulla delle altre lingue – come dopo dimostrerà in Palestina – , ma che il suo obiettivo fosse una LEC (Limba Ebraica Comuna) da imporre almeno tra la Siria e l’Egitto.
Ma lì dominò per secoli una lingua internazionale più efficace come l’aramaico, parlato correntemente persino dal suo stesso figlio nazzareno (poco rispettoso del Padre).
Ogni costruzione centralista e statalista prevede, e tenta, l’imposizione di una lingua. In questo senso la posizione di Dio padre e del re babilonese (nei tempi di scrittura del passo della Genesi, dopo la metà del VI secolo a.C., era Nabucodonosor II) è speculare e analoga, quasi da opposti estremismi.
Vecchissime storie ai tempi dei primi grandi stati territoriali.
Ma se la lingua da imporre non esiste neppure ed è artificiale, la situazione si complica.
Nei tempi della contemporaneità diventa ancora meno legittimata la proposta di una LSC (Limba Sarda Comuna) costruita a tavolino e lingua ‘ufficiale’, che dovrebbe approdare fra poco alla discussione del Consiglio Regionale della Regione Autonoma della Sardegna mediante il “Piano triennale degli interventi di promozione e valorizzazione della cultura e della lingua sarda 2011-2013 (L.R. 15 ottobre 1997 n. 26, art. 12)” (ecco il testo). Per un parere, non vincolante ma della massima importanza, che ci auguriamo almeno corregga la proposta e l’idea stessa della LSC, che rischia di oscurare proprio le diversità che si vogliono tutelare.

Il bilinguismo è una conquista culturale importante, e delicatissima, soprattutto se la parte linguistica non ancora statuale, in questo caso quella sarda, è costituita da un multilinguismo di fatto. Un patrimonio straordinario che rende più ricche e complesse le identità che ormai si costruiscono e propongono in contesti fortemente deterritorializzati e planetari; dove però possono – in una nuova e creativa dimensione globale – portare le proprie ricchezze e far crescere quelle comuni, migliorando, se intese in modo aperto, le relazioni tra persone e popoli.
Le ricchezze culturali richiedono strumenti di salvaguardia e sviluppo attenti e non esclusivisti. I monumenti si proteggono bene se si protegge la rete, e non si ricostruiscono falsi con la scusa dell’anastilosi. Con approcci e metodologie per un patrimonio che parte dai nostri territori ma si definisce su ambiti più vasti. La suggestiva definizione UNESCO “patrimonio dell’umanità” sta per ‘mondiale’.
Può anche aiutarci il raffronto con la biodiversità, espressione di particolarità biologica, spesso culturale, che segna con ricchezza l’ambiente.
Quando noi operiamo la battaglia a favore della biodiversità stiamo operando per scenari più ampi e ricchi, e conosciamo le enormi difficoltà di convivenza assieme ad una cultura dominante OGM, imposta con l’artificiosità del laboratorio, la forza della legge che deposita un brevetto in maniera arbitraria usurpando patrimoni comunitari non brevettabili e attaccandoli sino alle radici.
Aspetti e rischi connessi alla LSC (che mi appare francamente una lingua OGM) sono stati sottolineati da prestigiosi studiosi sardi, linguisti ed antropologi, come Giulio Paulis, Massimo Pittau, Marinella Lörinczi, Giovanni Lupinu Giulio Angioni e Mario Puddu.
Da ultimo con uno sferzante documento in sardo dell’Ateneo sassarese, firmato dal Rettore Attilio Mastino assieme alla Commissione lingua sarda dell’ateneo sassarese, composta da Giovanni Lupinu, Dino Manca, Carlo Schirru, Fiorenzo Toso: definisce la LSC come una limba bodia, chene istoria, chene sambene, chentza bida chi sun fravicande commo in carchi sostre (una lingua vuota, senza storia né sangue né vita che stanno fabbricando ora in qualche sottotetto).
Persino il leader sardista Paolo Maninchedda ha scritto di ‘tirannia della LSC e di “un tentativo di accentramento di potere a favore dello Sportello Linguistico Regionale. A questo si vorrebbero affidare attività di controllo e indirizzo della politica linguistica sarda, allo scopo di omogeneizzare l’attività degli sportelli nonché di regolare le carriere degli operatori della lingua.”.
Nè sarà un caso che i circuiti che hanno prodotto durissime critiche ai cattedratici sardi (in particolare quelli dell’Università di Sassari) che hanno osato ‘dissentire’ dalla LSC sono le stesse di chi non riconosce come sarda la letteratura (e per estensione direi anche la ricerca scientifica) prodotta da sardi ma scritta in italiano o comunque non in sardo.
In un contesto globale dove dinamiche storiche profondamente rivoluzionarie modificano continuamente gli assetti identitari (si vedano ad esempio, “Modernità in polvere” di Arjun Appadurai, o “Connessioni” di Jean-Loup Amselle), spazzando la forma settaria dei nazionalismi, la Sardegna propone spot promozionali deliranti e un piano triennale della lingua e della cultura sarda visti in maniera chiusa, burocratica e profondamente riduttiva.
Il problema non è solo la vera o supposta artificialità della LSC, quanto che essa sia frutto di una concezione statalista e conservatrice, peraltro veicolata da una frazione di forze indipendentiste – a giudicare dagli ultimi risultati elettorali – fortemente minoritarie. Come pensare in queste condizioni di imporre il proprio punto di vista su una legge regionale?
L’apporto dell’indipendentismo democratico e non settario verso la democrazia ‘dal basso’ e una ricchezza identitaria che sfugga miti falsi ed autoritari è certamente positivo, ma penso che oggi la costruzione di spazi democratici richieda, più che tale strumento, una forte spinta verso alleanze vaste ed extranazionali sui temi del lavoro, dell’ambiente, della partecipazione e della non violenza. E della cultura. Che gli attraversamenti dei popoli ed il loro incrociarsi debbano spezzare i confini nazionali e le follie etnocentriche.
In ogni caso nel mondo reale costruire un sistema di salvaguardia della lingua e della cultura sarda basato sulla LSC è un grave errore, di concezione e di tutela.
C’è da auspicare che il dibattito regionale faccia giustizia degli errori ‘in corso d’opera’ e consegni alla cultura sarda la possibilità di godere dell’apporto prezioso ed equilibrato delle diversità linguistiche all’interno del suo più vasto patrimonio culturale.

22 Commenti a “La confusione della lingua”

  1. Dino Manca scrive:

    Intervento utile ed efficace. Architettura argomentativa ineccepibile e perciò da condividere. Mi complimento con l’autore del testo; è davvero di gran conforto sapere che esistono ancora molti Sardi liberi, non eterodiretti e non obnubilati dalla retorica un po’ interessata e demagogica di alcuni professionisti della sardistica. Cordialità, Dino Manca.

  2. Gavino Chessa scrive:

    Da quando intorno alla questione della lingua hanno cominciato a girare un po’ di soldi si è verificata la saldatura tra etnofascismo ed etnobusiness. E’ una storia triste, ormai ben nota in Sardegna come altrove: una piccola casta di professionisti della lingua (che partono dalla posizione di forza di una militanza “urlata”, che offre visibilità e legittimità in certi ambienti politici codardi) diventano i “padroni della lingua”, e più il modello di lingua è artificiale e autoreferenziale, e pertanto lontano dall’uso parlato, tanto più è gestibile in proprio e, una volta assunto dalle istituzioni, al sicuro dalla “concorrenza”. Il tutto in nome della tutela dei patrimoni linguistici tradizionali, che vengono invece distrutti, come è stato scritto, in nome di questa “limba bodia, chene istoria, chene sambene, chentza bida chi sun fravicande commo in carchi sostre”, e la cui imposizione non fa che riprodurre gli errori e gli orrori che a torto o a ragione vengono imputati al centralismo italiano. Il dissenso sassarese è espressione della società civile sarda, quella veramente civile, nella quale per secoli lingue e dialetti diversi hanno convissuto armoniosamente.

  3. Marinella Lorinczi scrive:

    Nel piano regionale triennale sopra segnalato, la LSC viene nominata una sola volta, e tale denominazione viene per il resto sostituita con quella di “standard”. Cioè vi sarebbe già uno standard linguistico sardo, decretato tale da questo piano triennale, per iniziativa di chi? In base a quali fatti e ragionamenti? Cioè qual è la comunità di parlanti, autorevole culturalmente e linguisticamente, da cui emana il riconoscimento di una varietà costruita come varietà standard (sovradialettale) che va, inoltre, non soltanto sostenuta e sperimentata ma addirittura imposta? Da chi sarebbe composta tale segreta comunità linguistica autopromossa come autorevole, ma certamente e fortemente tendente all’autoritario? In base a quali conoscenze di storia delle lingue e della loro standardizzazione nonché delle politiche linguistiche attuali si sentenzia che vi sono stati “lunghi anni di polemiche anche feroci e FUORVIANTI DAL PUNTO DI VISTA EPISTEMOLOGICO [enfasi mia] sulla questione dello standard rappresentativo unico” (p. 12/121)?
    Nell’inchiesta Oppo chi si è dichiarato, del campione intervistato, parzialmente/totalmente contrario ad una forma scritta unica del sardo raggiunge il 39,2%; i totalmente/parzialmente favorevoli sono il 57,7%. Semplifichiamo: 40 contro 60, due quinti NO contro tre quinti SI, all’incirca. Questo ha qualche senso, non la sola menzione dei totalmente contrari: 28,8% (stessa pagina). TOTALMENTE favorevole è il 40,8%. Arrotondando: 29% NO contro 41% SI.

  4. Giacomo Oggiano scrive:

    Apprezzo molto e condivido l’intervento di Marcello per la lucidità con cui ha colto nel segno. La metafora tratta dal racconto mosaico, mi sembra appropriata. E’ il prologo di un articolo che si mantiene su un registro che non fa concessioni all’invettiva; ben diverso da quelli che, purtroppo, di recente mi è capitato di leggere sul blog di Sardegna Democratica e che, certamente, neanche a lui saranno sfuggiti. Sono tutti interventi di appartenenti al club esclusivo ( nel senso che mira ad escludere le altre parlate sarde dall’Isola) della LSC. Vi si intravedono manifestazioni di intolleranza, di astio e –da parte dei più presuntuosi – di fastidio nei confronti di chi non ci sta a giocare col loro giocattolo o, più semplicemente, prende le distanze da posizioni “nazional-popolari”. Come fa notare Gavino Chessa, ciò che stupisce è l’autoreferenzialità di questi signori (tra i firmatari del documento sulla lingua si sprecavano registi, attori, poeti, ovviamente tutti in LSC) che non riconoscono come espressione della cultura sarda ciò che non è scritto in limba. Infatti Joyce non è espressione della cultura irlandese –o meglio di Dublino – perché non scriveva in gaelico. Ora pare che anche la ricerca scientifica, per essere finanziata, deva pagare dazio alla LSC.
    Caro Chessa, questi non si limitano all’autoreferenzialità vogliono far da referee agli altri, vogliono imporre, perché, come hai ben osservato, dietro ci sono i soldi.

  5. Acadèmia de su Sardu onlus scrive:

    Aprètzius a s’artìculu de Marcello Madau po is cosas bellas e giustas chi at scritu. Ndi aprofetaus po pretzisai ca is fueddus de Paolo Maninchedda chi at torrau a pigai issu funt is nostus, comenti ddus eus scritu in su comunicau chi eus pubricau in su blog de s’assòtziu nostu, chi eus mandau a s’Assessori Milia e fatu girai in mesu de giornalistas, giassus etc.
    http://academiadesusardu.wordpress.com/2011/06/16/comunicau-piano-triennale/
    Sighei su traballu bonu chi seis faendi.
    A si biri

  6. Michele Podda scrive:

    Mi unisco con piacere al coro di approvazione per l’articolo di Madau, che in modo ironico e garbato tocca le note dolenti della questione.
    Apprezzo sopratutto che la Sinistra, dopo i tempi della diffidenza e della titubanza, abbia mostrato, in questi ultimi anni, particolare attenzione alle problematiche sulla lingua sarda e alla cultura dell’identità in genere, e questa ne è un’ennesima prova.
    Concordo particolarmente con le osservazioni di Chessa, nonostante la loro crudezza; ma ricordo che infine sarà necessario unire le forze e destinare le energie non più alle questioni di “politica linguistica”, bensì alla “lingua tout court”, perchè ce n’è, e ce ne sarà, tanto bisogno.
    Mi permetto (e chiedo scusa) di segnalare alcune osservazioni sull’argomento, da me pubblicate nel sito Psdaz-Cagliari.

  7. Giovanni Lupinu scrive:

    Perfetto.

  8. Marcello Madau scrive:

    E’ importante che si apra una discussione non formale sul prossimo piano triennale per la lingua e la cultura sarda. Le posizioni qua espresse sono diverse, ma unite dalla critica forte all’attuale proposta. Grazie per la partecipazione e la condivisione.
    Noi siamo interessati a tale piano comune. Non individuiamo la lingua come priorità attuale della Sardegna, ma riconosciamo l’importanza di un multilinguismo democratico, e questo fa anche parte di una lunga e importante tradizione di sinistra e marxista.
    E’ pur vero che la sinistra ha avuto, come dice Podda, esitazioni su questi temi. Anche qualcosa di più. Dire ciò non desterà stupore più di tanto, perchè la nostra storia passa attraverso l’autocritica eretica. Ma bisogna anche ammettere – ferma restando per noi l’individuazione di priorità di classe per la ‘questione sarda’, che continuo a non separare da quella meridionale e dalle lotte globali di ceti e classi subalterne – il legame fra molte esitazioni e diverse opzioni della stessa tradizione sardista e indipendentista, talora umiliata in folcloricismo e integralismo.
    E’ da tale tradizione che viene l’attuale pasticcio: da sinistra siamo lieti che qualcuno anche in area sardista e indipendentista se ne accorga, e abbia meno titubanza a condannarle.
    Ma questa, non del tutto separata, è un’altra discussione. Ora l’essenziale è evitare il grave errore che tutti segnaliamo, discutere e fare politica soprattutto su questo. La trasversalità dei commenti e delle provenienze è un buon segno.

  9. Gavino Chessa scrive:

    Al di là di ogni considerazione sulle priorità della Sardegna, sottoscrivo l’appello di Marcello per il riconoscimento di un multilinguismo democratico come base indispensabile per una politica linguistica veramente aggiornata sull’isola. Il nesso una limba = una natzione appartiene a una minoranza che di sardo sembra ormai conservare soltanto l’affezione all’orbace… e ai dividendi di una legge nazionale reazionaria nell’impostazione e nelle applicazioni. Si faccia azione politica e culturale, e soprattutto si faccia informazione sulle alternative che si possono e si debbono opporre al monolinguismo etnicista: i modelli ci sono, ma soprattutto è la società sarda che deve saperne elaborare di nuovi, senza scimmiottare le esperienze fallimentari di altri. Una conferenza programmatica, un coordinamento regionale tra gli indignados e un’opportuna pressione sulle forze più aperte del panorama politico sembrano al momento gli strumenti più idonei.

  10. Oliviero Nioi scrive:

    Hai fatto una fotografia perfetta dell’attuale situazione riguardante la Lingua Sarda. Non piacerà al club degli “eletti” e autoreferenziati della LSC ma la realtà purtroppo è quella descritta. A dolu mannu de sa Limba Sarda e de sa Sardinnia.

  11. Jorgi Rusta scrive:

    Est fàtzile meda a criticare sa LSC, est a sicuru chi b’at cosas chi no andant bene, e chi si podent mezorare. ma una cosa est sicura, una limba chi cheret èssere istandard (bandera) non podet e forsis mai at a pòdere acuntentare a totu. Tando a bisu meu sos caminos de sighire sunt tres:
    1 no andat bene sa LSC si fagat un àteru istandard, chi andet bene a totu e chi totu atzetent, e una bia chi est atzetadu nemos si pontzat a lu mudare.
    2 cadaunu faeddet a moda sua e iscriat a moda sua (est capatze chi non si cumprendat nudda ma annat bene su matessi) in SARDU.
    3 si piantet de una bia su sardu e si neret cun craresa chi non nde l’importa nudda a nemos. ca mi paret chi su caminu a uve si cheret lòmpere est cussu. una cultura bivet pro mèdiu de una limba, chene sa limba sarda non si podet faeddare de cultura sarda, non b’at isetu de nde faeddare; e gai est pro sa literadura, non b’at literadura sarda chene limba sarda, ite literadura est una literadura italiana fata in ingresu? si cheres fàghere literadura sarda faghela in sardu, si nono ses faghende literadura italiana.
    E sa regione però faeddet craru: nde l’importat de sa limba o nono? si nde l’importat det su dinari a chie l’ausat a fàghere SARDU in SARDU, si nono a chie non ne l’importat nudda òbolo.
    ma est a beru goi difìtzile?
    PS petzi una cosa b’at de bonu: chi su sardu de s’universidade de Tàtari est su Nugoresu, mancari mesu gai ma semper nugoresu.

  12. Gavino Chessa scrive:

    Caro Rusta, su certe cose andiamo d’accordo, su altre no. Siamo d’accordo che il sardo è un valore ed è fondamentale per la rappresentazione della cultura sarda: ma andrei piano a dire che l’identità coincide col fatto di parlare sardo: così si offendono i sardi, me compreso, che si sentono tali senza parlarlo, e chi parla le altre lingue storiche della Sardegna (gallurese ecc.) tra le quali, da circa trecento anni, c’è anche l’italiano, col quale la cultura e l’identità sarda è stata rappresentata, difesa e riconosciuta non meno che in sardo. Quanto alle tre soluzioni, sceglierei la seconda, la più logica, economica e democratica. Liberiamoci dai modelli etnocratici per cui una nazione si “compie” solo se dispone di una lingua di facciata, prendiamo atto che uno standard non è necessario: e finalmente rendiamoci conto che in altre realtà minoritarie gli standard senza tradizioni storiche hanno allontanato i parlanti, mentre ci sono ambienti come la Corsica, dove facendo a meno dello standard, il corso si scrive e si parla sempre più proprio perché nessuno cerca di imporre un modello. La LSC riflette un’impostazione superata, ottocentesca e nazionalistica di politica linguistica. Può darsi che sia stata concepita con le migliori intenzioni, ma basta guardare il piano triennale di cui si discute per capire cosa è diventata, uno strumento di potere e di gestione di fondi… Proprio perché ci tieni al tuo nuorese: stanne lontano!!!

  13. Michele Podda scrive:

    Est una gherra, a iscrier a sa sarda, ca mai l’amus connotu e perunu mastru nos l’ at imparau. Donniunu s’imbentat issu e totu sa menzus manera de iscrier po lu cumprender sos àteros, chene ponner irbariones in limba italiana e mantenende cantu prus unu limbazu che a su ‘e sa bidda sua.
    Sos mannos nostros si cumprendian a pare in totue, chistionande cadiunu a sa moda sua, ca lu tenian a pràticu, e ischian peri a istrocher a sos de Campidanu e a sos de Gaddura, e galu prus a sos de sas biddas acante. Su sardu fit semper cuddu, belle ziràndelu a sa nugoresa, o a s’ozastrina e fintzas a sa maurreddina.
    Deo mi pesso chi non tocaiat a ponner deretu iscrituras de leze, ca bastaiat solu carchi inditu a sa prima, pro comitzare. A bellu a bellu, andande andande, diemus aer acontzau su càrrigu, e aiamus imparau a fagher semper menzus, cussizàndenos a pare. Como, a pusti de binti annos de iscola italiana e de una vida intrea chene mai ponner su sardu, cherimus a iscrier e a faeddare zustu chin sa limba ‘e Sardinna: no est gasi, bi cheret grabbu, tempus e passèssia, a lu torrare a impare cumente fit dae meda, cumente depet esser.
    Su sardu de s’Universidade de Thathari est nugoresu? In sas alas d’ Ennarghentu ischian a chistionare a sa moda de Mandas o de Iglesias, de Othieri e de sa Nurra, e non timian mancu su lingagghju (o faiddata) de Gaddura; un’ ispantu.

  14. Jorgi Rusta scrive:

    Istimadu Chessa, s’azis bidu jeo so iscriende in LSC e puru paret chi da m’ais cumpresu…… Poto finas èssere de acordu cun su chi narades, però però però…. b’at semper una chistione. si semus faeddende de limba sarda faeddemas in sardu… bois narades chi non cherides lassare sa bariedade bostra e puru porrogades in italianu, e tando naro deo bi cheret unu pagu de coerèntzia….
    Non mi contipìgio su Nugoresu ca no est sa bariedade mea…. est chi mi ponet a rìdere chi si rispondat in Nugoresu e no in Logudoresu….. mi paret chi unu pagu de connotu in contu de Limba cussa bariedade la tèngiat uru

  15. Marcello Madau scrive:

    Perdonate ancora un intervento del redattore, ma vorrei aggiungere che è innanzitutto importante capirsi, e scegliere per comunicare lo strumento di comunicazione che si ritiene più efficace. Per me è quello che raggiunge con maggiore efficacia il massimo numero di persone.
    Non scambiamo inoltre il bilinguismo per un’affermazione di sovranità senza sovranità, e senza che la sovranità sarda sia un valore prevalente. Né prendiamo una legge di tutela per un obbligo, ciò che viene in qualche modo presupposto nel rimprovero, diretto o velato, di non usare il sardo che colgo qua e altrove.
    Per quanto riguarda il capire uno scritto in LSC, cosa per chi parla il sardo possibile (anche a me), penso che non voglia dire molto: riprendendo il mio raffronto con la biodiversità, il fatto che un pomodoro sia prodotto in laboratorio non mi impedisce di percepirlo come pomodoro. Ma neppure di non volerne sapere.

  16. Fabritziu Pedes scrive:

    Est curiosu chi pròpriu chie impreat una ortografia standard, si chesset pro s’impreu de… un ortografia standard. Ca seis totus iscriende in un ortografia standard, chi no est crèschida in sos arbores. E non currespundet, ne a sa pronùntzia standard (chi pro la tènnere bi cheret un’iscola), e prus pagu a sas pronùntzias regionales.
    Duncas ite podet capitare si illascamus sas brillias de s’italianu iscritu e no imparamus prus s’ortografia, lassande sa gente a iscrìer a parpu? Su puntu 2 mentovadu dae Jorgi Rusta, chi a Gavinu Chessa praghet tantu pro su sardu (e pro s’italianu?).
    Ma, m’ais a nàrrer, s’italianu est limba ufitziale de istadu e debet tènnere pro fortza unu standard, ca si no, non si cumprendet nudda e torramus a secus de tres seculos. Ma no? Bos respundo deo.
    E tando bi cheret meda a cumprèndere a ite serbit unu standard de iscritura? A nche giugher una limba a sa paridade linguistica. O non si cheret chi su sardu s’impreet in s’amministratzione, in iscola, in sos negòssios, cun unu status chi siet parificadu a s’italianu? E custas non sunt etno-catzadas, est su chi capitat in sos istados tziviles chi ant su bilinguismu. E sighinde custu printzìpiu, fintzas in sos logos de Sardigna ue si faeddant limbas diferentes dae sardu, a custa limbas l’est pretzisa sa paridade linguistica.
    Deo impreo s’ortografia comuna, cando m’agradat, e la pronùntzio cunforma su faeddu meu naturale. Non at minimadu in nudda s’espressada mea in sardu, antzias.

  17. Gianfranca Piras scrive:

    Mi attengo al consiglio del redattore di scrivere in italiano per maggior comprensione, e rimarco però che finchè continueremo a discutere dei massimi sistemi del sardo in italiano non faremo il bene della nostra lingua.
    Riguardo alla questione di cui si discute, a volte mi sembra che il tempo si sia fermato a 5 anni fa, siamo ancora qui a discutere di un ipotetico e temibile monolinguismo in stile torre di Babele, e non vediamo che il monolinguismo in Sardegna è essenzialmente italiano.
    Possiamo continuare a dire “standard sì, standard no” all’infinito, ma nel frattempo la lingua sarda sarà morta.
    Per quanto mi riguarda, io farò tutto il possibile perchè ciò non avvenga: la parlerò, la canterò, la scriverò, l’insegnerò e non arriverò da qui a vent’anni a piangere la sua morte senza aver tentato di salvarla (anche utilizzando uno standard per la scrittura, sì).
    Ciascuno è artefice del proprio destino. Se voi ritenete che alla sopravvivenza della nostra lingua giovi di più la strategia del cane dell’ortolano, che non mangia e non lascia mangiare, liberi di farlo.

  18. Aldo Satta scrive:

    Gentile Jorgi Rusta,
    ho visto che in questo periodo i più forti difensori delle politiche linguistiche della Regione sono operatori che lavorano in ufitzios de sa limba sarda, persone coinvolte in associazioni che prendono contributi dalla Regione ecc.: sembra quasi che vogliano far vedere al gran capo della politica linguistica sarda quanto sono fedeli alla causa, in modo forse non del tutto disinteressato.
    Io coltivo sempre un sano dubbio: ho cercato il suo nome su internet, ho visto che lavora o ha lavorato come operatore in qualche ufitziu della Sardegna centrale (Bitti): vero o no?
    Allora mi chiedo se queste cose non sia bene dirle subito, perché certi discorsi sembrano quelli dei venditori di lampade solari che decantano gli effetti dei loro prodotti. Magari hanno pure ragione loro, però…
    Se poi lo Jorgi Rusta che ho trovato su internet fosse un omonimo, allora le chiedo scusa sin da ora. Salute.

  19. Marcello Madau scrive:

    Cara Signora Piras, solo una precisazione: lei non può parlare di “consiglio del redattore di scrivere in italiano”. Ho detto – criticando chi rimprovera in maniera velata o diretta chi scrive in italiano – che ognuno sceglie lo strumento comunicativo che ritiene più efficace, esprimendomi su tale caratteristica. Grazie in ogni caso per il suo commento.

  20. Giacomo Paderi scrive:

    L’articolo di Madau non convince. Parliamoci chiaro: il futuro del sardo non può non dipendere da un tipo di “Lingua Sarda Comune”, e non può non basarsi in un inevitabile atto d’imposizione. “Imporre” è un verbo che oggi non piace alla gente, ma tutte le grandi lingue europee (italiano, francese, tedesco, spagnolo, inglese), nelle loro forme moderne, sono state “imposte” dai rispettivi governi nazionali mediante la scuola, la pubblica amministrazione, i giornali, il servizio militare, ecc. Le grandi lingue, e non solo. Il caso del catalano e del vasco, sono esempi di lingue disegnate “a tavolino” sulla base dei vari dialetti e che partivano da una premessa chiara: una lingua è forte nella misura in cui è usata da più persone. Per un territorio geograficamente piccolo come la Sardegna, non c’è spazio per più varianti. Ed è molto preoccupante che l’idea di una LSC sia associata alla causa di certi nazionalisti sardi o, peggio ancora, rifiutata in nome della tradizione. Oggi un campidanese non può parlare con un nuorese in sardo. Fra dieci anni, un ragazzo di Serramanna non parlerà in campidanese neanche con un guspinese. In una società diglossica e linguisticamente complessata come la nostra, nessuno vorrà rinunciare all’uso del italiano per una lingua di provincia. Altro che “godere dell’apporto prezioso ed equilibrato delle diversità linguistiche”! L’unica cosa che ci rimarrà da godere saranno varianti linguistiche buone per una sagra di Strapaese o per “Sardegna canta”.

  21. Red scrive:

    Concludiamo lo spazio dei commenti relativo a lingua e cultura della Sardegna. Ringraziamo per la partecipazione, l’appoggio e le critiche. Il nostro impegno testimonia il valore che diamo a tali problematiche, ma vogliamo lasciare evidenza ad altri problemi, a nostro parere più urgenti per l’isola, riguardanti i ceti e le popolazioni più esposte: su tutti, la drammatica disoccupazione e crisi economica di operai, pastori, contadini, donne, giovani, lavoratori autonomi.
    Abbiamo pubblicato posizioni articolate e contrastanti motivate anche con chiarezza esemplare (da ultimo il riconoscere che lo strumento della LSC è un’imposizione; aggiungiamo: diversamente da altre lingue, codificate per legge ma legate ad una ben diversa letteratura nazionale in lingua).
    Questo dibattito ci ha confermato anche l’esistenza di una spiacevole pratica aggressiva, di una sorta di maleducascione sarda comuna, confidiamo anch’essa di laboratorio. Noi abbiamo condotto le nostre opinioni senza offendere personalmente nessuno, a differenza di commenti che si configurano come attacchi personali, spesso aggressivi e maleducati. Sono linguaggi che non ospitiamo e che hanno sedi più adatte; che qualificano la cultura e l’educazione di chi li usa, mettendole in chiara evidenza.

  22. Paolo Porcu scrive:

    Oreste Pili (Presidenti de s’Acadèmia de su Sardu Onlus)
    o Picciokeddu, e tui anka fusti e sesi? De tie asuba kustas questionisi, no happu liggiu nudda!
    Mi iada a praxi de sciiri su ki tui pentzas apitzus….
    A si indendi kun saludi
    Paolo Porcu
    ( Liku su mogoresu )

    PS. : apitzusu de is bruffessorisi de limba sarda comune, deu no mi arrennegu, deu arriu…prus kolonizzados e bediuusu de issusu po u prattu de gentilla..

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