La casa brucia

8 Febbraio 2025
Due palestinesi vendono del pane tra le macerie del loro forno nel campo profughi di Jabaliya – Ap/Abdel Kareem Hana

[Roberto Loddo]

La storia del movimento pacifista ci insegna che il pacifismo non è mai equidistante. Il pacifismo è una scelta politica consapevole di coloro che scelgono non da che parte stare e con chi stare, ma con quali forme politiche riduciamo le sofferenze dei popoli e riusciamo ad avvicinarci il più possibile alla conclusione del conflitto. Mandare armi dove ce ne sono già troppe serve solo a gettare benzina per allargare i confini della guerra.

Per questo motivo, dell’appello nazionale trovo sia prezioso, il considerare, che la Convenzione per la prevenzione e la repressione del genocidio, vincola l’Italia ad agire per prevenire il crimine di genocidio. È un riferimento importante perché non si chiede solo che l’Italia si adoperi per l’immediato cessate il fuoco e siano applicate delle sanzioni contro l’onnipotenza di cui gode il Governo d’Israele. Questo appello è importante e prezioso perché chiediamo che l’Italia riconosca senza indugio lo Stato di Palestina.

Senza il valore del diritto internazionale e della Resistenza contro ogni fascismo, non ci può essere pace per gli oppressi. Perché la pace al contrario, quella che va bene solo per gli oppressori, non ci interessa. Il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, nel suo incontro con Netanyahu, ha dichiarato l’intenzione di “impadronirsi della Striscia di Gaza” per farne la “nuova riviera del Medio Oriente”, alludendo all’espulsione forzata dei palestinesi per trasformare il territorio in una destinazione turistica. Ecco, non è questa la pace che vogliamo.

Lo sapeva bene Aldo Tortorella che aveva combattuto nella Resistenza e ci ha sempre fatto sentire la sua voce pacifista, Nel 1999: allo scoppio della guerra del Kosovo e dopo il sostegno del governo D’Alema, scrisse una lettera al segretario dei Ds Walter Veltroni, dando le dimissioni dal comitato direttivo del partito “per il radicale dissenso verso l’appoggio dato alla guerra, che andava e va condannata da ogni punto di vista”. E ancora negli ultimi mesi della sua vita, la condanna dello sterminio in Palestina e la sua presa di posizione contro la guerra in Europa, con la “Russia modello di regime autoritario a capitalismo selvaggio” perché, sosteneva Tortorella: “battersi contro il cieco fanatismo non vuol dire essere ciechi con Putin, la solidarietà piena con i democratici russi che combattono Putin è coerente con la spinta verso la pace”.

Aveva ragione. E questo vale anche per chi vuole stare dalla parte del popolo palestinese insieme a quegli uomini e quelle donne del mondo pacifista israeliano. Uomini e donne ebrei che sono minoranza in Israele ma sono presenti e attivi nel mondo e che manifestano il proprio dissenso per l’operato del governo israeliano. Che condannano il massacro del 7 ottobre, ma come noi, non chiudono gli occhi di fronte al genocidio a Gaza.

Ci mancherà la voce di Aldo Tortorella. Come ci mancano da tempo le voci di Luigi Pintor, Rossana Rossanda e Lidia Menapace. Le loro parole ci hanno insegnato che la guerra ha un infinito potere perverso di contagio. La guerra non si limita a distruggere popoli e vite umane. La guerra contamina come un virus le menti in tutte le dimensioni della società, le corrompe attraverso la propaganda di quella stampa e di quella politica che parlano il linguaggio della guerra.

Le parole di Aldo, Luigi, Rossana e Lidia ci hanno insegnato che di fronte alla guerra non si tratta di decidere da che parte stare. Sappiamo distinguere gli aggrediti e gli aggressori, i più deboli e i più forti. Noi stiamo con le vittime di Osama Najim Almasri, non staremo mai dalla parte dei criminali di guerra e dei torturatori.

Pensate alla decisione del presidente degli Stati Uniti di sanzionare la Corte penale internazionale. Questa decisione è il risultato di una contaminazione progressiva del linguaggio della guerra che è l’ossigeno con cui vengono alimentati i nipoti della marcia su Roma al governo oggi in Italia. È l’ossigeno dei fratelli di Visegrád e dell’internazionale dell’intolleranza, gli amici di Javier Milei, di Trump, di Marine Le Pen, Orbán e dei neofranchisti di Abascal e dei neonazisti tedeschi.

Una marea nera di egoismo populista che dimostra come il neoliberismo stia solo mutando la pelle. Un contenitore dal colore diverso che mantiene in piedi i vecchi privilegi delle oligarchie finanziarie. Esattamente il piano di Elon Musk, divenuto la benzina preferita delle destre postfasciste e sovraniste dominate da pulsioni di rancore sociale e dall’idea che i penultimi possono salvarsi anche a costo di sacrificare gli ultimi.

Rossana Rossanda in un messaggio letto al congresso di Sinistra Italiana nel 2017 scriveva che ci sono questioni che il Novecento ha lasciato aperte e sulle quali non si possa passare oltre senza tentare di dare risposte, fino ad ora non date. Ecco, una delle questioni a cui dobbiamo dare risposta è proprio la difesa delle vittime sacrificali dei signori della guerra. Perché il sapore della guerra è uguale, ovunque, in Ucraina, in Palestina, in Kurdistan e nello Yemen.

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