La catastrofe della scuola sarda
16 Luglio 2008
Mario Cubeddu
Per una serie di ragioni questi ultimi anni hanno visto un’attenzione inedita alle condizioni del sistema dell’istruzione in Sardegna. Un decentramento di tipo “federale” che si afferma nei vari campi in maniera strisciante coinvolge sempre di più il sistemaideologico veicolato dalla scuola . L’unità artificiale della cultura italiana si articola ora in antiche e nuove differenze e punta a una integrazione nel discorso culturale europeo. In precedenza la scuola sarda raramente è entrata all’ordine del giorno della politica regionale. Essa dipendeva totalmente dalle scelte centrali dei vari Ministri della Pubblica Istruzione e nessuno osava proporre questioni specifiche o peculiarità: la realtà territoriale, le difficoltà sociali, il background culturale e linguistico in cui il sistema scolastico si trovava ad operare in Sardegna. Bisogna riandare agli anni del consolidamento della scuola di massa per trovare traccia di una questione che agitò il mondo della scuola sarda: la polemica contro la meridionalizzazione del ceto insegnante da parte degli studenti universitari sardi, reclutati nella prima fase di impianto della scuola media e sostituiti da laureati proveniente dalla penisola. Ancora si attende un bilancio di quella fase pioneristica che coincide con cambiamenti radicali nella economia e nella società isolana. Nei decenni successivi gruppi di insegnanti hanno sollevato il problema della cancellazione della Sardegna dai libri di storia e letteratura. Il risultato è stata la legge 26 sulla lingua e la cultura della Sardegna, vissuta tra slanci di generosità e resistenze ottuse, oggi praticamente in disuso. Anche il riconoscimento al sardo dello statuto di lingua minoritaria da parte dello Stato italiano non ha agitato più di tanto le acque stagnanti della palude scolastica in Sardegna. Una realtà senza anima, ancor prima che male organizzata. La coalizione di centro-sinistra che ha vinto le elezioni 4 anni fa ha posto il tema della formazione delle giovani generazioni al centro della propria azione. Un intervento dirompente e discusso nel mondo della formazione professionale, il master & back per i laureati, ultimamente un finanziamento di 162 milioni di euro per attivare, in 363 Autonomie scolastiche su 431, “laboratori extra curricolari e per il recupero delle competenze di base e il rafforzamento dei saperi fondanti”. E’ un intervento che ha l’ambizione di porre rimedio a una situazione gravissima. Con sorpresa e in mezzo all’incredulità dei più si è scoperto che la scuola sarda è in condizioni pessime. Si sapeva del numero altissimo di giovani che abbandonano prematuramente gli studi, il 28,3%, contro il 20 dell’Italia e il 15 dell’Unione europea. Quasi un ragazzo su tre non trova posto nel sistema dell’istruzione, viene cacciato dopo i primi tentativi di inserirsi. Ma quale tipo di scuola frequentano gli altri due che portano a termine gli studi, con quale preparazione ne escono? Il 29,2% di loro non sa neanche leggere, il 21,8% viene bocciato in matematica. Né leggere né far di conto, le basi dell’istruzione elementare di un tempo. Gli studenti sardi sono i “peggiori al mondo” per capacità di lettura e conoscenza della matematica, si ripete in questi mesi a commento dei dati forniti dal rapporto Ocse-Pisa 2006. Eppure non si ha questa percezione, soprattutto presso chi è in grado di informarsi e riflettere sulla questione, in sostanza il ceto medio colto. Una lettura approfondita dei dati spiega anche questa apparente miopia. Le scuole sarde non sono tutte uguali: nonostante Gramsci, don Milani e il ’68, la scuola sarda sembra avere ancora oggi forti connotati e differenze di classe. Sembrano esserci in sostanza due tipi di scuola: una che raggiunge uno standard di qualità simile a quello nazionale, promuove e seleziona in modo ragionevole, e un’altra che sembra più portata a sbarazzarsi rapidamente dei suoi utenti che a insegnare loro qualcosa. In una società apparentemente egualitaria come quella sarda qualcuno difende a denti stretti la funzione di selezione sociale della scuola. Questa deve essere riservata a pochi, gli altri vanno espulsi o deve essere creato un ambiente in cui sono incentivati all’abbandono; perché non imparano nulla, o non imparano niente che possa interessarli. Là dove la tavola offre poche e povere pietanze la lotta per impadronirsene si fa spietata. Gli studenti di liceo sono quindi in Sardegna preparati quanto o più dei loro simili nel resto d’Italia, per gli altri è la catastrofe. Se queste sono le condizioni della scuola sarda, di chi sarà la responsabilità? A furia di escludere tutti quelli che sono in grado di alzare la voce per protestare e difendere un potere personale o di categoria, gli unici colpevoli finiscono per essere individuati e indicati negli alunni, che “non sono più quelli di una volta”, o in quella che è disponibile a farsi carico di ogni responsabilità, tanto può comprendere e rappresentare tutto e niente, la “società educante”. Ma perché non proviamo a vedere se tutti quelli che hanno responsabilità, a vari livelli, nella scuola sarda, sono stati e sono all’altezza del compito e reggerebbero a un confronto con le equivalenti istituzioni educative, o preposte al governo dell’educazione, presenti in altre regioni? In diverse tappe proveremo a esaminare i vari aspetti di una questione complessa. Non è facile raccogliere informazioni. Dovremmo cominciare col bocciare il rapporto di gran parte delle istituzioni che contano nella scuola sarda con i mezzi di comunicazione informatici. Dopo decenni di parole sull’importanza di Internet si può verificare facilmente che i vertici del sistema scolastico sardo comunicano pochissimo di quello che fanno o pensano attraverso la Rete. Saremo maligni a pensare che poco fanno e altrettanto poco pensano? Nel 1974 veniva istituito l’IRRSSAE, Istituto regionale per la ricerca e la sperimentazione educativa. Diventato col tempo IRRE, da un anno ha ancora cambiato nome per prendere quello di ANSAS, Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell’Autonomia Scolastica. L’ansia di incidere, di cambiare, che prende ogni nuovo Ministro della Pubblica Istruzione, nell’impossibilità di modificare qualcosa nella realtà vera dell’istituzione, si prende almeno la soddisfazione di cambiare i nomi degli enti: vedrai te somigliante a quella inferma/ che non può trovar posa in sulle piume,/ma con dar volta suo dolore scherma, avrebbe detto Dante. Se andiamo a cercare in rete l’Istituto o l’Agenzia della Sardegna non ne troveremo traccia. Troviamo invece dei siti molto belli di tutte le altre regioni italiane. Solo la Campania sembra nelle nostre stesse condizioni. La presentazione sintetica dei siti IRRE delle altre regioni indica il contenuto in “progetti, pubblicazioni, news.” E’ il mondo vivace e attivo della scuola vera, in cui si sente il dovere e il piacere di comunicare perché questo è uno dei suoi compiti primari.
17 Luglio 2008 alle 16:20
Osservo che i Licei Classico e Scientifico conservano, in tutta Italia, uno standard soddisfacente perchè non sono stati sottoposti alla furia di una innovazione sciatta e confusionaria che ha, per esempio, distrutto l’educazione tecnico-professionale, con una moltiplicazione di indirizzi e percorsi che manca, a monte, di educatori e programmi.
Non credo quindi al disegno classista: al contrario, una società chiusa o quasi come quella italiana ha bisogno di una burocrazia e di un sistema strutturale capaci, anche se confinati in un ruolo esecutivo e subalterno.
E nutro enorme diffidenza verso questi enti, dai nomi criptici, costosissimi, con vertici di nomina politica, capaci solo di produrre relazioni, montagne di carte e studi che hanno a che fare con l’accademia sociologica più che con la realizzazione di processi formativi utili.
8 Ottobre 2008 alle 13:19
Caro Cubeddu, capisco la tua amarezza, ma credo che non abbia fatto un’analisi fedele alla nostra realtà scolastica e culturale isolana. Intanto bisognerebbe vedere i parametri utilizzati per la comparazione tra le varie scuole europee e poi si potrà discuterne.
Cito solo alcuni esempi per spiegarti del fallimento di alcuni percorsi scolastici, altro in questa sede non posso dirti se non di abbandonare il pessimismo. Nei paesi de sa costera goceanina è evidente che gli alunni delle elementari e medie preferiscano vivere all’aperto anzi che al chiuso; è evidente che desiderino essere dei bravi fantini anziché dei bravi scolari; è anche evidente che le alunne preferiscano andare a raccogliere castagne anziché chiudersi nelle aule scolastiche. Al tempo stesso io credo che tu conoscerai le settimane della letteratura di Bono e quanto si fa per valorizzare il nostro patrimonio storico-culturale.
Sul piano linguistico e letterario stiamo vivendo un vero e proprio rinascimento sardo. Concorsi letterari in prosa e in poesia che vanno moltiplicandosi; produzione libraria in lingua sarda; pubblicazione di un corpus di scritti in lingua sarda dei secoli passati, fino ad arrivare alle lezioni di Limba Sarda Comuna agl’impiegati comunali per usare il sardo con i sardofoni e per stendere le delibere in sardo.
Sono solo poche cose, ma potrei dirtene tante non ultimo il lavoro che per via internet svolgono altri operatori culturali, scolastici e universitari.
Angelino Tedde