La crisi dei partiti genera populismo
30 Aprile 2012Mariano Carboni
L’esperienza mi insegna come sia necessario profondere sempre il massimo impegno per evitare di cadere dalla padella alla brace. Non vorrei che i vent’anni di populismo berlusconiano fossero sostituiti da ulteriori decenni di populismo antipartitico ed antidemocratico. Questo non significa essere clementi nei confronti di coloro che hanno sbagliato, che devono essere assicurati alla giustizia, e che non possono più amministrare la cosa pubblica. I fatti di questi giorni dimostrano inequivocabilmente che non è più rinviabile la riforma del sistema dei partiti! La crisi del sistema politico impone la costruzione di nuove regole, richiede il massimo rigore nella gestione delle risorse, derivanti dal finanziamento pubblico ai partiti, induce ad essere intransigenti nel combattere le dinamiche della corruzione, della concussione, dell’infiltrazione mafiosa e camorristica.
Sostenere questa tesi non significa, però, buttare via il bambino con l’acqua sporca, perché con altrettanta serietà bisogna riconoscere che le democrazie più avanzate si reggono grazie al sistema dei partiti. Inoltre, la storia dell’umanità è chiarissima, e ci insegna che prima dell’avvento delle democrazie partitiche esistevano le monarchie assolutistiche. Ancora oggi, in tutti i regimi autoritari, viene negata la libertà di espressione, di associazione e di manifestazione, e la condizione delle categorie sociali più deboli ( lavoratori dipendenti e pensionati ) non è minimamente paragonabile a quanto ottenuto nei sistemi democratici, grazie all’elaborazione dei partiti e la Legiferazione del Parlamento. Per questa ragione voglio rimanere alla larga dagli urlatori, dell’ultima ora, che sono bravissimi a fare l’elenco delle cose che non vanno bene, ma che dimostrano di essere superficiali, di non avere proposte e di essere privi di prospettiva. Il nostro paese ha un grande bisogno di persone che, oltre ad avere la capacità di evidenziare gli aspetti negativi, siano in grado di dire che cosa vogliono fare per correggere le storture denunciate. Per questa ragione, ciascuno di noi, nel rispetto delle varie sensibilità e convinzioni ideali, deve dare un contributo per far emergere, all’interno dei singoli partiti, una classe dirigente regionale e nazionale di qualità. Lo dico con chiarezza, partendo da una considerazione microeconomico, io sono stanco della superficialità delle analisi e delle enunciazioni banali! Non mi basta la semplice constatazione sull’andamento economico negativo della nostra regione. Non mi accontento di sentire la solita cantilena sul decremento del PIL, sulle difficoltà del sistema industriale isolano, sull’arretramento del settore turistico e dei servizi. Sono anni che si fanno analisi che cadono, puntualmente, nel dimenticatoio! Io voglio capire che cosa, la nostra classe dirigente ed il sistema dei partiti, intendono fare per correggere quelle lacune, più volte denunciate, che rendono debolissimo il sistema produttivo della Sardegna. Mi piacerebbe confrontarmi con una classe dirigente regionale in grado di stabilire, concretamente, quali settori economici intende sostenere e sviluppare e con quale tempistica pensa di migliorare la condizione infrastrutturale regionale, tema che ho abbondantemente trattato in occasioni precedenti.
Dico questo perché non abbiamo più tempo da perdere! Abbiamo bisogno di proposte e di coerenza applicativa per creare condizioni di base in grado di arrestare la crisi, di favorire lo sviluppo e attrarre investimenti in Sardegna. Sé non si agisce rapidamente andiamo incontro al peggiore disastro sociale del dopoguerra. Questo vale per le politiche regionali e nazionali. Non mi basta sentir dire, dai nuovi urlatori di piazza – giovani ed anziani, che la situazione del paese è drammatica, che esiste la corruzione, che esiste la mafia, che i tesorieri dei partiti si sono intascati i soldi pubblici, hanno acquistato diamanti e lingotti d’oro, in spregio alle più elementari regole di serietà. Rilevo, semplicemente, che su tutti questi temi, non si devono fare sconti, ed è giusto incoraggiare la magistratura affinché la giustizia possa fare il suo corso, nel minor tempo possibile. Tuttavia queste denunce e la conseguente indignazione, non è sufficiente, di per sé, a garantire un futuro migliore ai giovani ed agli anziani. Insisto nel dire che chi si candida a governare il paese deve spiegare che cosa vuole fare per aggredire la crisi, rilanciare la nostra economia, ridurre il divario tra ricchi e poveri e produrre un incremento della ricchezza diffusa. Chi vuole governare il paese deve dire che cosa intende fare per migliorare il sistema previdenziale, per dare certezze ai pensionati di oggi, per garantire un futuro dignitoso ai pensionati di domani e con quali risorse pensa di operare. Governare le dinamiche sociali significa evitare le strumentalizzazioni e spiegare, per es., che cosa si intende fare per ridurre la precarietà del lavoro, per razionalizzare le 43 tipologie contrattuali, che negano il futuro a milioni di persone, per garantire la giusta flessibilità derivante dal fenomeno della stagionalità e dei picchi produttivi. Governare il paese significa avere le idee chiare sullo stato sociale e sul sistema universalistico dei servizi, essere in grado di fare proposte serie e concrete per migliorare la condizione della scuola pubblica e della sanità, identificando le risorse da utilizzare, restituire dignità, celerità e certezza della pena al sistema della giustizia. Ancora, governare il paese significa salvaguardare i Principi Fondamentali della Costituzione Repubblicana e del Diritto del Lavoro, ponendosi il problema della tutela dei più deboli e della garanzia delle pari opportunità, dichiarare che cosa si vuole fare per ridurre la pressione fiscale e per combattere l’evasione e l’elusione fiscale, sostenendo una vera patrimoniale. Ecco perché non si deve cadere nella trappola di coloro che vogliono scalare le gerarchie sociali, che vogliono indebolire il sistema democratico e pensano di poterlo fare parlando male della democrazia partitica, senza avere proposte per il futuro e le giuste competenze per amministrare la cosa pubblica. Non ho mai nascosto la mia allergia nei confronti degli urlatori di piazza e dei grilli parlanti. Rimango persuaso del fatto che per uscire dalla crisi, e rimanere un grande paese civile, abbiamo estremo bisogno del massimo delle competenze, delle migliori intelligenze e di un sistema politico plurale, che si confronta e che si alterna alla guida del paese. Il populismo dei ricconi sostituito dal populismo dei grilli parlanti, condanna l’Italia al declino ed alla deriva autoritaria. Ecco perché non si deve cadere dalla padella alla brace!