Valeria Piasentà
Il governo che si sta formando fra Pd, Pdl e Scelta Civica, non piace a tanta base del Partito democratico e soprattutto ai suoi giovani, che da nord a sud protestano con assemblee permanenti e occupazioni delle sezioni. Come a Torino dove, dopo una manifestazione in piazza Carignano di fronte al primo parlamento nazionale, si sono riconosciuti nel ‘patto della Pallacorda’ evocando l’assemblea del terzo stato poi rappresentata dal David, il pittore della Rivoluzione francese. Hanno proposto 3 punti per rifondare il partito: no al governo con Berlusconi, ricambio della dirigenza nazionale e regionale, congressi aperti. Il 25 aprile l’occupazione è terminata con un documento dove si chiedono al Pd, in questo clima di straordinarietà, scelte forti in un governo di servizio con l’ingresso di rappresentanti territoriali come Chiamparino, e che fra un anno si torni al voto. Perché il patto del partito col suo elettorato era chiaro e condiviso: mai al governo con Berlusconi! era anche il patto con Sel, che si è dissociato passando all’opposizione.
Ci sono interessi personali ma anche gli interessi superiori dei cosiddetti ‘poteri forti’, come sostiene Vendola, dietro la scelta di un governo di larghe intese. Il sospetto è che l’accordo di una parte sostanziosa (quei 101 che non hanno votato la candidatura Prodi) del Pd col Pdl, sia stato concertato da tempo e a tavolino, così come l’affossamento della dirigenza Bersani. Da Crocetta, a Prodi, a Vendola, sembra che tutti conoscano i nomi dei 101: «magari i veri traditori diventeranno ministri» (Civati). Tuttavia, nel Pd non è il voto dei 101 anonimi ad essere sotto accusa, ma la posizione di chi giudica criticamente l’accordo – per Grillo l’inciucio – soprattutto se certi ministeri verranno assegnati a personaggi poco graditi dagli elettori. Riproporre Gelmini all’Istruzione creerebbe una sollevazione degli studenti; inquieta l’ipotesi di Berlusconi o Brunetta all’Economia; che dire poi di accettare quel Gasparri che, uscito dalla Camera dopo la rielezione di Napolitano, ha riso beffardo mostrando il dito medio ai cittadini che manifestavano disapprovazione.
I dissidenti sono passibili di espulsione dal Pd come sostengono Franceschini, e Boccia: «Ci sono delle regole che vanno rispettate ed è chiaro che chi non dovesse votare la fiducia al governo sarebbe fuori dal partito». Il giovane deputato milanese Civati risponde ironicamente dal suo blog: «Almeno il 25 aprile non parliamo di espulsioni. Chi non è d’accordo va ascoltato, non espulso. Io per esempio ascolterei volentieri i 101 che non hanno votato Prodi. Davvero. Sarei felicissimo di conoscerli, oltretutto. E anche di raccogliere, in un instant book, le loro motivazioni. Titolo: il Pd, franco tiratore di se stesso».
Per cercare di comprendere cosa sta accadendo dentro il Pd e la direzione che prenderanno alcune sue componenti, abbiamo posto qualche domanda alla senatrice Laura Puppato che, dopo le primarie del centrosinistra, è stata eletta in parlamento da quel nord-est leghista dove era consigliera regionale e sindaco molto apprezzato – a Montebelluna, in provincia di Treviso – anche da Grillo che l’ha giudicata «primo sindaco a 5 stelle». Le risposte rivelano qualche sorpresa, e la determinazione a restare nel partito per rappresentare tanti elettori insoddisfatti dal nuovo corso politico del Pd.
D: Secondo lei, perché il Pd non ha votato una candidatura vicina alle sue origini come quella di Rodotà?
R: È mancato il coraggio. Ho tentato in tutti i modi di portare il Pd su Rodotà. Anche dopo che il nome di Prodi è stato bruciato, e questo è stato un grave errore, perché il profilo internazionale della sua candidatura lo rendeva il più interessante. Non ci sono riuscita. Rodotà era disponibile a ritirarsi per far convergere i voti su Prodi, molti dei 5 Stelle la valutavano come un’ipotesi ragionevole, ma poi è arrivato il niet di Grillo. Alla fine hanno vinto i personalismi e non solo…
D: Il M5s, prima rifiutando l’offerta di Bersani poi con la candidatura a Presidente della Repubblica di un ex Presidente del Pds, ha volutamente influito sulla crisi nel Pd di Bersani e il conseguente rafforzamento di Berlusconi?
R: Sicuramente l’atteggiamento del M5S è stato oltranzista. Tuttavia credo che Grillo sia il sintomo di una malattia, non la malattia. Detto questo, sono ancora convinta che il dialogo con il M5S vada coltivato. Sarebbe un errore interromperlo adesso, perché su molti punti possiamo interloquire in maniera proficua. Per quanto riguarda Berlusconi, penso anch’io sia il vero vincitore: rimanendo fermo, ha ottenuto che un presidente come Prodi o come Rodotà non venisse eletto e quindi che il Pd non avesse il coraggio di andare fino in fondo, contribuendo alla crisi della nostra segreteria. Il governo di larghe intese non deve costituire un punto di arrivo, ma un esito da scongiurare. Possiamo considerare necessario un governo di scopo ma la crisi del Pd in questa fase non aiuta.
D: Dopo il vasto scontento sociale creato con le elezioni del Presidente, è probabile una linea d’intesa a sinistra dell’attuale Pd che salvaguardi anche quei cittadini oggi non rappresentati in parlamento?
R: A sinistra del Pd lo spazio è davvero ristretto. Non vedo molti margini, ma il tema della rappresentanza di chi oggi non trova voce in Parlamento è reale. Una parte dei temi ‘di sinistra’ sono stati risucchiati da Grillo, altri il Pd deve metterli a fuoco meglio, soprattutto quelli relativi al lavoro. In ogni caso, quanto accaduto nei giorni scorsi interroga il nostro rapporto con la base, con gli iscritti ed elettori del Pd e con quel territorio dove non riusciamo a porgere il nostro orecchio.
D: Una scissione nel Pd con ritorno alle due origini identitarie, di matrici cattolica e socialista, potrebbe alla fine sbloccare la politica di un Paese inchiodato alle vicende giudiziarie di un singolo cittadino?
R: Farò di tutto perché il Pd non si divida ma invece riesca a liberarsi dell’arroganza e dei tatticismi, e risponda finalmente e interamente allo statuto. L’altro giorno, per consolarmi rispetto al futuro, pensavo che la Chiesa è riuscita nel rinnovamento, partendo da problemi non meno gravi dei nostri. Perché non dovremmo farcela noi? Penso a Don Milani, che la Chiesa non l’ha mai lasciata, ma anche al card. Romero che è caduto martire del suo coraggio avendo portato avanti la ‘teologia della liberazione’. E’ stato considerato troppo progressista ma oggi è ricominciata la sua beatificazione. Pur con tutti i problemi, con tutte le criticità, voglio continuare a far parte del Pd.
Dopo la sparatoria davanti a palazzo Chigi rientra il dissenso interno al Pd. Resiste solo Civati: www.ciwati.it
Questo articolo è stato pubblicato
mercoledì, 1 Maggio 2013 alle 01:25
e classificato in Inchieste.
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2 Maggio 2013 alle 21:27
Puppato un caso eclatante di “ipocrisia” politica a scopi carrieristici. Puppato si spaccia per ambientalista, difensore dei diritti delle donne ed amica del M5s, ma le prime due affermazioni sono in contraddizione con quello che in realta’ combina e la terza e’ puro opportunismo. Un cambio politico e sociale in Italia passa anche attraverso lo sbarazzarsi di simili personaggi.