La democrazia
1 Ottobre 2007
Marco Ligas
Nel mese di ottobre sono previsti alcuni appuntamenti importanti: la consultazione unitaria dei lavoratori e dei pensionati sul protocollo d’intesa tra il governo e i sindacati, la manifestazione del 20 ottobre a Roma perché sia rispettato il programma che l’Unione ha presentato alle elezioni politiche e il referendum regionale sulla legge statutaria. Tre appuntamenti che avranno conseguenze rilevanti nella vita dei lavoratori e al tempo stesso influenzeranno le scelte delle forze politiche sia su scala nazionale che in Sardegna.
La prima scadenza, forse la più importante, sembra la meno partecipata: non si ha la sensazione, almeno nella nostra isola, di un adeguato impegno dei sindacati perché lavoratori e pensionati prendano parte attivamente, attraverso le assemblee, alla consultazione sul protocollo d’intesa. Se questa percezione è vera bisogna dire che non si tratta di un buon segnale: la democrazia sindacale non viene rafforzata attraverso comportamenti astensionistici. Non credo sia stata una buona scelta quella di arrivare al negoziato col governo con una piattaforma non discussa preliminarmente dai lavoratori ma elaborata esclusivamente dai gruppi dirigenti. Questa procedura evoca un metodo di formazione del consenso che non si discosta dal vecchio centralismo democratico, sempre criticato da tutti, ma poi assunto nella pratica da chi si preoccupa che le regole della democrazia partecipata possano capovolgere le decisioni dei gruppi dirigenti. Ancora oggi, alla vigilia della consultazione, è presente in alcuni vertici sindacali un atteggiamento che tende a colpevolizzare il dissenso e a presentarlo come un comportamento teso a minare sia l’unità del sindacato che la stabilità del governo. Eppure nella richiesta di molti lavoratori e soprattutto della Fiom sono presenti rivendicazioni che non possono certo definirsi estremistiche o provocatorie, limitandosi a ribadire l’urgenza del superamento del lavoro precario, la necessità di regole che disciplinino la contrattazione e il miglioramento delle condizioni di vita di tutti, soprattutto dei pensionati.
Con la manifestazione del 20 ottobre promossa dai due quotidiani il manifesto e liberazione si sollecita la realizzazione del programma presentato dall’Unione nel corso dell’ultima campagna elettorale. Anche in questo caso le ragioni dell’iniziativa non sono provocatorie né estremistiche ma richiamano i partiti del centro sinistra, soprattutto quelli che intendono dimenticarsene, al rispetto degli impegni assunti. Questi impegni – è stato detto dagli organizzatori – non sono facoltativi, validi al momento della richiesta del voto e non più vincolanti quando occorre rispettarli; meritano la massima considerazione perché riguardano milioni di cittadini: anziani, lavoratori, giovani occupati e no che hanno il diritto di costruirsi una prospettiva di vita serena. Per queste ragioni, come previsto nel programma dell’Unione e come sottolineato dai promotori della manifestazione del 20 ottobre, bisogna modificare gli attuali contratti di lavoro che devono diventare a tempo indeterminato riducendo le tipologie del lavoro flessibile e cancellando quelle che prevedono il precariato. Nel protocollo d’intesa tra sindacati e governo è soprattutto il carattere distributivo della manovra che risulta iniquo: colpisce infatti la sproporzione fra quanto è stato assegnato alle imprese e quanto viene concesso ai lavoratori. E l’ultima decisione comunicata dal presidente Prodi di non tassare le rendite finanziarie conferma la scelta unidirezionale del governo tesa a privilegiare gli interessi dei ceti medio alti. Non meno importanti sono le questioni legate alla pace e alla laicità dello stato. L’illusione di essere impegnati in missioni di pacificazione quando la guerra incalza ci condiziona nell’interpretazione delle operazioni militari e rende più difficile la fuoriuscita dai conflitti. E intanto le spese di queste missioni aumentano e sottraggono risorse che potrebbero essere utilizzate diversamente, per esempio nel sostegno ai paesi che vivono in condizioni di arretratezza drammatica.
In Sardegna è in atto uno scontro politico sulla forma istituzionale della Regione. La conflittualità è nata in seguito all’approvazione della legge statutaria, da molti ritenuta autoritaria, non idonea a garantire un’adeguata partecipazione dei cittadini alla vita democratica della regione e a tutelare l’autonomia dell’organo legislativo. Abbiamo espresso più volte la nostra opinione su questa materia. Siamo del parere che la legge statutaria attribuisca al governatore dei poteri eccessivi senza che questi trovino dei contrappesi adeguati nelle funzioni del Consiglio Regionale. Riteniamo che anche il conflitto di interessi non possa essere regolamentato in modo neutrale in quanto il fiduciario, nominato da un governatore/proprietario, sarà sempre condizionato nelle sue funzioni. Il dibattito su questo tema, come spesso accade nel nostro paese, ha preso però un’altra direzione. Il referendum abrogativo che si terrà il 21 ottobre non sembra più una consultazione sulla legge statutaria. In certi momenti si assiste ad una lite dissennata per cui se vincerà il NO – si dice – si tornerà irrimediabilmente indietro di 20 anni con tutta la vecchia nomenklatura di nuovo al potere. Noi che non stimiamo quella classe dirigente ci preoccupiamo che questo avvenga. Ma sarà davvero così? E se invece vincerà il SI avremo davvero un futuro di progresso con la crescita, per esempio, dell’occupazione (di quella vera, non quella che considera occupato chi lavora tre ore in una settimana)? E quale sarà la sorte dei beni comuni, i nostri siti minerari verranno di nuovo messi all’asta, magari questa volta con la possibilità di essere venduti?
Ritengo che, pur conservando i propri convincimenti, sia utile e possibile approfondire temi che a volte rimangono latenti. Forse aver considerato la governabilità più importante della rappresentatività (la famosa dicotomia presidenzialismo/proporzionalismo) non è stata una buona scelta. Con le nuove leggi elettorali nei consigli comunali non esistono più o sono sempre meno influenti le opposizioni e le giunte si comportano spesso come consigli di amministrazione di società private. Ecco, collegare la critica alla legge statutaria alla valutazione delle esperienze dei Consigli Comunali nati in seguito alle nuove leggi elettorali potrebbe aiutare a capire meglio le ragioni del NO. Nel corso di questa campagna referendaria partiti sostenitori del presidenzialismo come Forza Italia e AN si sono espressi per l’abrogazione della legge statutaria. Si tratta evidentemente di una scelta strumentale, fatta col lo scopo di ostacolare l’attività della giunta regionale da parte, peraltro, di quel centro-destra che ha espresso il peggior governo regionale dal dopoguerra in Sardegna. Sappiamo tutti come questi partiti siano lontani dagli obbiettivi della democrazia partecipativa e come considerino le istituzioni come comitati di affari, idonei al consolidamento degli interessi dei gruppi di potere a cui sono legati. Sbagliano pertanto i sostenitori del SI nel voler legittimare la loro scelta presentando l’altro schieramento ambiguo oltre che eterogeneo. Non ricordano che nella storia parlamentare della Repubblica Enrico Berlinguer e Giorgio Almirante votavano spesso nello stesso modo, diverse però erano le motivazioni; né che la sinistra di classe si sia sostanzialmente schierata, pur recependo alcuni possibili correttivi, con il sistema proporzionale.
Tutte queste ragioni ci inducono, al fine di difendere la democrazia, a confermare i due NO alle prossime consultazioni (protocollo d’intesa tra governo e sindacati, legge statutaria) e a partecipare alla manifestazione del 20 ottobre.
1 Ottobre 2007 alle 20:34
C’è qualcosa che non va. Montezemolo dice che “non c’è
nessun margine per modifiche” all’accordo del 23 luglio, Dini e i
neocentristi ne reclamano la “immodificabilità”: mi basterebbe
questo per dire No, d’istinto, a quell’accordo.
Ma dico No per un’altra ragione, meno impulsiva: il protocollo
d’intesa tradisce non solo le aspettative degli elettori di sinistra
(fra i quali mi annovero) ma anche le istanze congressuali
dell’ultimo congresso della Cgil (di cui faccio parte). A
proposito, non c’è solo la Fiom a marcare il dissenso, c’è anche
un’altra parte della cgil, quella dell’area programmatica di
“Lavoro e Società”.
Ho paura che sul referendum consultivo quella che per te è una
sensazione sia per me una amara certezza. Le “maggioranze”
stanno lavorando per costruire il più ampio consenso. Lavoro
sotterraneo, anziché una discussione democratica con i
lavoratori e con i pensionati.
A Roma ci sarò. Organizzerò l’assemblea nel mio posto di
lavoro e voterò No. Per la statutaria vediamo. Per il momento mi
spinge ancora l’istinto: quello antipresidenzialista.
6 Ottobre 2007 alle 11:55
[…] e gli espulsi dal mondo produttivo hanno costituito il filo conduttore dell’incontro. Da Marco Ligas a Angela Azzaro e poi Massimo Mele leader del movimento omosessuale sardo. breve , ma incisivo […]