Là dove ci sono i fantasmi
1 Novembre 2009Natalino Piras
Via Gradoli, quella di Piero Marrazzo ma pure i fantasmi dell’ “Affaire Moro”: e che la terra sia lieve a chi questa tragedia seppe narrare, compartecipe e denunciante il potere, il maestro Leonardo Sciascia, scomparso il 20 novembre di vent’anni fa. Via Gradoli sembra pure vivere come luogo di fantasmi, realtà e apparenza, money e ombre, in una piece teatrale di Mario Vargas Llosa, scritta tra il 2002 e il 2008, “Appuntamento a Londra”. Due i personaggi in scena in una suite di lusso all’Hotel Savoy della capitale britannica: il ricco uomo d’affari Chispas Bellatin, cinquantuno anni, sicurezza e gesti “di chi sa molto bene chi è e cosa vuole dalla vita”, e il coetaneo Pirulo Saavedra che si presenta come Raquel Saavedra, la di lui sorella. Il dialogo tra i due sarà rivelatore di tante storie e trasformazioni, private e pubbliche, a partire dal tempo dell’adolescenza, da quando Chispas dette un pugno in bocca a Pirulo perché questi tentò di baciarlo. La verità rivelata è subito incalzata e fagocitata da un’altra verità sino al finale dove è davvero l’ombra della morte a presentarsi in tutta la sua capacità di mistificazione. Ma il finale vero e proprio è riservato ai banchieri inglesi maniaci della puntualità, altro che il nostro premier, al fatto che Chispas e Pirulo sono in fondo al loro servizio e per questo, per guadagnare capitale, devono uscire in fretta di scena, “con le cartelle e gli scartafacci” e “le loro voci e i passi si perdono in lontananza e torna a risuonare il brusìo di aeroporti, aerei, e hotel”. Il titolo originale dell’opera è “Al pie del Tamesis”, reso in italiano da Ernesto Franco pure traduttore, insieme a Fulvia Bardelli, della “Neve dell’Ammiraglio” del colombiano Álvaro Mutis, maestro nel raccontare la risalita di un fiume nella selva. Coincidenza letteraria vuole poi che anche l’incomparabile “Cuore di tenebra” di Conrad, sia una navigare il fiume Congo, arteria scintillante, e i suoi orrori prodotti dal colonialismo e imperialismo europei. Il “Coro de iskurikore” conradiano inizia proprio con lo yacht da crociera “Nellie” ai piedi del Tamigi. Anche tutta questa congerie fantasmatica ritorna a via Gradoli che è, prendo da un mio libro sulle streghe, campo brujo: luogo di Inquisizione, di processo forte, di paesaggi neri, di devastante guerra di religione e civile. Il pubblico che assiste è anch’egli fondamentale componente del Sant’Uffizio aggiornato al terzo millennio. Via Gradoli è un luogo dove ballano i fantasmi che come nell’atto unico di Vargas Llosa si fanno sopraffare da verità molteplici, una incatenata all’altra. Ci sono i medium di trentun anni fa che indicarono in un appartamento di via Gradoli il luogo dove le Br tenevano prigioniero Aldo Moro e i media di oggi che mettono un uomo a nudo. Costui è Piero Marrazzo, giornalista Rai e uomo politico del partito democratico, presidente della Regione Lazio, filmato insieme a un trans, in un appartamento di via Gradoli. Quattro carabinieri che per questo lo ricattavano vengono arrestati e dopo iniziali dinieghi da parte del presidente viene fuori che le storie coi trans andavano avanti da tempo: come una verità che ne scopre un’altra e sono tutte scorticanti. L’uomo a nudo è uno che ebbe potere, derivatogli anche dall’essere un uomo dei media e del loro utilizzo. Uno che abusò del potere? Qualunque sia la risposta, l’uomo a nudo è uno che adesso paga di persona, a differenza di altri che il potere utilizzano per non pagare di persona. L’uomo a nudo è uno che fa i conti con i phantasmata della propria coscienza e immagine e che pure deve rispondere al tribunale mediatico che da lui pretende autodafè: specie certa stampa di regime. Ma è giusto che Piero Marrazzo paghi pure per chi la stampa di regime sostiene? Insieme all’atto unico di Vargas Llosa sovviene un altro monologo teatrale interpretato da un grande Lino Banfi, sì proprio lui, l’attuale nonno Libero arrivato a essere tale ( è stato pure partigiano nella finzione resa da un attore di idee diverse), dopo che fu professore e preside di accento barese, perennemente in fregola, checca vero o presunto, ma pure mitico nella parte dell’allenatore nel pallone Oronzo Canà. Insomma una maschera che più italiana non si può. Nel monologo “Vespro della Beata Vergine” (1995) di Antonio Tarantino, Lino Banfi indossa la maschera tragica. È un padre meridionale che va a Milano a riprendersi il figlio morto, un trans, un povero uomo da marciapiede perdutosi nella inumanità della metropoli. Il disarmante dolore del padre riscatta la storia del figlio femminiello, ne rivela il frustrante quotidiano, l’abiezione contro cui nulla si può se si è poveri, meridionali, senza potere: “sono la pecora sono la vacca che agli animali si vuol giocare”, canta la “Princesa” di Fabrizio De Andrè. Ma per un padre un figlio è un figlio. E il governatore democratico del Lazio chi è per l’aggiornato tribunale dell’Inquisizione? Un uomo messo a nudo, in campo brujo, ha diritto alla pietas del padre meridionale nella metropoli del nord, forse alla dimenticanza, al Lete come pena, come contrappasso dallo scandalo che pretende vendetta. A meno che non perduri lo scandalo, lo si faccia continuare. Questa via Gradoli non bisogna darla ai gossipari che tanto se la prendono da sé. Bisogna farne teatro tragico, compararla magari all’incomparabile Don Chisciotte, uno dei massimi personaggi della letteratura, Don Chisciotte che proprio nella dimenticanza rinsavisce dall’ossessione che lo ha condotto alla pazzia errante. Forse non è un caso che Mario Vargas Losa abbia dato il cognome Saavedra al suo personaggio doppio in “Appuntamento a Londra”. Miguel Cervantes, autore del “Don Chisciotte”, è Miguel de Cervantes Saavedra.