La giunta Zedda tra spartizioni e trasformismo
16 Luglio 2016Marco Ligas
Il trasformismo non è un fenomeno recente. Forse ci siamo abituati alla sua presenza sino all’assuefazione e tendiamo a sottovalutarne gli effetti. Eppure le competizioni elettorali a cui partecipiamo, sia nella fase della formazione delle coalizioni sia immediatamente dopo quando si analizzano i risultati delle consultazioni, sono caratterizzate sempre più frequentemente dal trasformismo. Non approfondiamo abbastanza questo aspetto perché abbiamo il timore di ammettere quanto sia inquinata la politica e quanto sia difficile correggerne la tendenza.
Si, non è recente questo fenomeno e non è neanche apprezzato, eppure viene praticato ancora; i primi segnali della sua nascita si registrano subito dopo l’Unità d’Italia e già negli ultimi decenni dell’ottocento assume una dimensione di una certa rilevanza. Storici e politici sono d’accordo nel ritenere A. Depretis, presidente del Consiglio in quegli anni, colui che diede alla politica una connotazione trasformistica. Lui non disdegnò questo giudizio ed è significativa la risposta che diede a coloro che lo accusavano di avere stravolto il programma della sinistra accogliendo nella sua coalizione persone e proposte della destra rappresentata allora da Minghetti: “Se qualcuno vuole entrare nelle nostre file, diceva Depretis, se vuole accettare il mio modesto programma, se vuole trasformarsi e diventare progressista, come posso io respingerlo?”. Già, non poteva, soprattutto perché intendeva non solo tutelare ma anche consolidare i posti di comando raggiunti; e per ottenere questo risultato capiva come fosse necessario allargare il consenso.
Naturalmente questa scelta aveva bisogno di una forte motivazione: la presenza di forze politiche ritenute antisistema sia nell’area della destra che in quella della sinistra fu la motivazione fondamentale usata per condurre un’operazione politica tesa al superamento degli schieramenti tradizionali e garantire al tempo stesso quella che veniva definita la nuova area della legittimità, insomma una nuova maggioranza, (a conferma di come sia ripetitiva e talvolta premonitrice la storia!).
Così, con l’uso strumentale di parole risonanti o eversive (le componenti antisistema), si indicavano già da allora le motivazioni e i percorsi che avrebbero caratterizzato la vita politica del Paese.
C’è una relazione tra questa valutazione, naturalmente semplificata, e quel che avviene attualmente nella nostra società soprattutto in concomitanza con le scadenze elettorali? Mi sembra innegabile e faccio qualche rapida considerazione su Cagliari, a partire dall’esito del voto di giugno.
L’amministrazione della città, è stato affermato subito dopo la vittoria di Massimo Zedda al primo turno, ha bisogno di un progetto chiaro che tenga conto dei bisogni fondamentali dei cittadini. Un’affermazione più ovvia e banale di questa sarebbe stato difficile trovarla. È stata comunque accompagnata da una dichiarazione di intenti che però non ne corregge il carattere formale e demagogico: quel progetto, è stato sottolineato, sarà possibile perché è stata netta la vittoria del centrosinistra che ha le competenze e le potenzialità per realizzarlo!
Queste assicurazioni, ripetute con enfasi e seppure sorrette dal successo elettorale, risultano prive di un esame approfondito dei problemi della città e delle modalità con cui affrontarli; delineano un’attitudine all’improvvisazione e soprattutto all’apparire piuttosto che al fare, tanto più se si esaminano con obiettività e con senso critico le opere incompiute o trascurate nella passata legislatura, una per tutte il recupero delle aree urbane degradate.
E non è un caso che ancora oggi, a distanza di oltre un mese dalle elezioni, emergano aspetti contradditori durante la formazione del nuovo esecutivo cittadino.
Risulta in primo luogo evidente come questa giunta non sia di centro sinistra come è stato sottolineato con superficialità dopo il voto di giugno. Il Partito Sardo d’Azione, nel corso di questi anni, ha praticato con eccessiva disinvoltura la politica delle alleanze libere partecipando indifferentemente sia a coalizioni di centrodestra che di centrosinistra sulla base delle convenienze contingenti. Non c’è una ragione particolare per ritenere che la scelta attuale rappresenti una garanzia di stabilità per la giunta. Come abbiamo sottolineato in altre occasioni, lo stesso segretario cittadino di questo partito non ha espresso alcun ripensamento sulla sua precedente esperienza amministrativa. È stato assessore con Forza Italia e con la stessa ispirazione lavorerà nella giunta guidata da Massimo Zedda. Nel corso delle trattative per la formazione della giunta attuale ha chiesto e ottenuto l’assessorato ai lavori pubblici, un incarico importante ma non estraneo, per chi pratica il trasformismo, alle politiche clientelari.
Ecco, il clientelismo è l’altro aspetto preoccupante emerso durante la formazione della giunta, accompagnato, secondo il manuale Cencelli, dalla spartizione degli assessorati sulla base delle appartenenze alle diverse correnti presenti nei partiti della coalizione.
Penso che abbiano provocato non poco fastidio le notizie che di volta in volta comunicava la stampa locale: “la componente cabrasiana del pd rivendica due assessorati, la stessa richiesta viene fatta anche dalla componente soriana, ma in tal caso rimarrebbe fuori quella diretta dall’onorevole Fadda. Come si può superare questa fase difficile? E i partiti minori della coalizione che ruolo avranno?”. Davvero scoraggiante tutto ciò, tanto più che non sono mancati i riferimenti sarcastici sul ruolo svolto dalle amicizie e dalle parentele dei diversi candidati con i vari leader delle coalizioni.
È evidente come un esecutivo che nasce in un clima di sospetti e di conflittualità per il controllo delle aree di potere, dedicherà un’attenzione più accentuata agli equilibri interni piuttosto che ai bisogni reali dei cittadini.
Ma di una giunta del genere Cagliari non ne ha proprio bisogno.