Nel segno della civiltà, secondo la Chiesa
1 Febbraio 2008
Gianluca Scroccu
L’Italia è uno strano paese, dove ad un governo in agonia (rimpiangeremo molto Romano Prodi, uno dei pochi uomini di Stato rimasti, uscito con grande dignità da tutta la vicenda della crisi della sua maggioranza) un cattolico osservante come Mastella, che dovrebbe essere contrario all’eutanasia, ha staccato la spina. La mia non è una semplice boutade. Del resto, il clima in cui stiamo vivendo è carico di contraddizioni; in un momento di grande crisi internazionale, dove coordinate e punti di riferimento sono sempre più evanescenti e drammaticamente ambigui, passiamo giornate a discutere della proposta di Giuliano Ferrara sulla moratoria (sic!) sull’aborto. La stessa vicenda della Sapienza viene strumentalizzata e presa come spunto di riflessione per inutili dibattiti nelle tante arene televisive, con la banalizzazione tra clericali e anticlericali che finisce per fare solo il gioco delle televisioni berlusconiane.
Ciò che colpisce è che la linea del cardinale Ruini (che oramai, a differenza di quanto accadeva sotto Giovanni Paolo II, è il vero ispiratore delle scelte del Vaticano) oscura e banalizza tormenti, domande e riflessioni che pure non mancano tra i fedeli e le stesse gerarchie (penso a personalità di grande spessore come i cardinali Martini e Tettamanzi o a sacerdoti impegnati con forza nel sociale e nelle zone e nelle realtà dove regnano esclusione, malaffare, criminalità ed emarginazione).
Si afferma così una chiesa che non si limita a far sentire la sua voce e a dare il suo legittimo parere su alcune grandi questioni, ma che si fa parte in causa dell’arena politica intervenendo non a caso in contemporanea ai segretari di partito. Esemplare in tal senso il suo atteggiamento in occasione del referendum sulla fecondazione assistita dove si spese non per il no ma, molto astutamente, per l’astensione, legittimando così l’esistenza di una legge punitiva e malvagia, nel senso che arreca del male fisico e morale alle coppie, ma in primis alle donne, e che per fortuna in questi mesi è stata duramente colpita nel suo impianto come dimostrano le recenti sentenze dei tribunali di Cagliari e Firenze e del Tar del Lazio (si è mai preoccupato il cardinale Ruini di parlare o ascoltare la disperazione delle mamme costrette all’impianto obbligatorio degli embrioni?)
Del resto, è proprio sulla questione della piena parità di genere che la Chiesa Cattolica dimostra le proprie debolezze d’analisi: la società del XXI secolo sarà quella in cui le pari opportunità saranno la norma, per cui ogni spazio umano, sia esso politico o religioso, come ha scritto Ralph Dahrendorf, non potrà più essere declinato in maniera esclusivamente maschile.
È perfettamente legittimo che le gerarchie cattoliche siano contrarie alla RU 486, al testamento biologico o alle coppie di fatto, ma questo non può impedire ad uno stato laico ed indipendente di legiferare in maniera autonoma per permettere ai suoi cittadini di avere la libertà di poter scegliere come vivere meglio la propria vita privata. Di fronte alle leggi dello stato non c’è nessun cardinale che può dettare l’agenda: è la Costituzione che regola la vita civile.
Recentemente, sul quotidiano online “Altravoce.net” del 22 gennaio, la sociologa Anna Oppo metteva in evidenza, con grande lucidità, la perdita di influenza della chiesa istituzionale rispetto alla vita quotidiana dei cittadini di questo paese e il consolidarsi del processo di secolarizzazione (testimoniato dalla bassa frequenza alla messa domenicale, dall’aumento del matrimonio civile e dal divorzio, sino ad arrivare ai figli nati da famiglie di fatto). Un fenomeno ampiamente sviluppato nel resto d’Europa che infatti da anni legifera su questi temi (la Spagna di Zapatero è solo l’ultima di nazioni come la Francia, l’Olanda, i paesi scandinavi, la Germania).
Questo accade perché nel resto del Continente la politica, di destra e sinistra, riesce ad affrontare queste questioni trattandole come assolutamente normali. In Italia, invece, una certa debolezza culturale porta a pensare che il parlare di questo argomenti sia poco importante e comunque un’eccezione fastidiosa da riservare alle ultime righe di un programma elettorale. Si tratta, invece, di questioni fondamentali di democrazia e di costruzione di un tessuto civico collettivo; ma la politica, regredita ad una dimensione sempre più personalistica, è oramai lontana dalle domande dei cittadini, e si fida solo dei sondaggi che misurano quante possibilità sussistano di vincere un’elezione (e questo anche nel campo progressista: conosco diverse persone che non comprendono la necessità di dare priorità a battaglie per la modifica e il superamento della legge 40).
Che tristezza vedere un uomo della statura intellettuale di Ratzinger che si accontenta di essere difeso dagli atei devoti, impresentabili già dal nome! Con Giovanni Paolo II, probabilmente, tutto questo non sarebbe successo, perché egli aveva compreso come il posto dei cattolici dovesse essere nel mondo e non limitato ad uno sterile arroccamento su una limitata prospettiva nazionale (se non altro per il fatto che del miliardo di cattolici presenti nel mondo gli italiani sono oramai una piccola porzione, a differenza di quanto avviene in Sud e ora anche in Nord America grazie agli ispanici). Benedetto XVI invece è sembrato intrappolato nelle spire del nuovo “partito romano” guidato da Ruini, per richiamare il gruppo che negli anni Cinquanta e Sessanta era guidato dai cardinali conservatori Siri e Ottaviani e che si opponeva a Giovanni XXIII e Paolo VI. Schiacciato sulle beghe politiche italiane, appiattito sulle provocazioni di un Giuliano Ferrara, il pontificato di Benedetto XVI rischia, sotto questo profilo, di essere alla lunga perdente sia sotto il profilo pastorale che sotto quello di un confronto sereno e di dialogo con il mondo laico.
Una chiesa del no, che rifiuta il confronto e che arriva a farsi strumentalizzare da un Berlusconi che invece è proprio una delle cause, con le sue tv, di quella decadenza dei valori e di quel senso di responsabilità e solidarietà tra i cittadini che è uno dei capisaldi del cattolicesimo.
Ecco perché la chiesa cattolica deve uscire da questa fase di conservazione e deve decidere, per riprendere il titolo di un bel libro di Alberto Melloni, se essere madre (e quindi confrontarsi e convivere serenamente con una società e uno stato laico, accettandone le leggi), o una matrigna autoritaria ma alla lunga lontana dal cuore e dai problemi quotidiani delle donne e degli uomini.