La lingua biforcuta dei partiti italiani in Sardegna
16 Novembre 2023[Francesco Casula]
I partiti italiani in Sardegna hanno la lingua biforcuta, segnatamente in occasione delle elezioni: per ottenere il consenso, parlano demagogicamente un lessico filo sardo.
È addirittura successo che la candidata a Presidente della Regione per il centro-sinistra, ha modificato il suo profilo Facebook contornando la sua immagine con i Quattro Mori; a Roma ne parlano uno contrapposto: centralista, filo italico e filo romano. Ma non si tratta di un semplice malvezzo bensì di una precisa scelta e strategia elettorale, segnatamente in occasione delle elezioni regionali.
Il linguaggio filo sardo, parlato nell’Isola serve loro per accalappiare i voti dei sardi; il linguaggio centralista per ottenere l’investitura neofeudale da parte degli imperatori di turno e dei loro pretoriani : romani o milanesi poco importa.
La condizione per avere l’investitura a emissari e amministratori delle succursali locali o la nomina a parlamentari (nel caso di elezioni politiche) e la candidatura per le elezioni regionali (e persino a sindaco, per le grandi città) è una fedeltà canina. Una obbedienza ac cadaver. Senza neppure batter ciglio.
Sanno infatti che, poiché non contano niente, il loro potere, i loro privilegi, le loro prebende, i loro benefici derivano esclusivamente dalla loro “investitura” dal centro. Non contano niente a tal punto che i Partiti, con i loro capi, a Roma decidono persino chi deve essere il candidato a Presidente della Regione (nel cosiddetto centro-sinistra come centrodestra) in base alle “spartizioni” dei singoli Partiti a livello italiano.
Ripeto: il meccanismo è quello della fedeltà canina, in una sorta di condiviso criterio medievale: a chi procura truppe da combattimento sul territorio delle periferie dell’impero, vanno le candidature per le elezioni oltre i benefici e le prebende.
Già letto sui libri di storia: per chi ha studiato. Naturalmente. E i bisogni dei Sardi? E gli interessi della Sardegna? Cestinati. Interrati. Dimenticati. E la Sardegna con i suoi immani problemi? Cancellata, derubricata dalle agende dei Governi italiani: da sempre. Da sempre considerata e utilizzata come una colonia d’oltremare: base di servizio per industrie nere e inquinanti; per basi e servitù militari e oggi come servitù energetica.
La vicenda delle pale eoliche ha più di un’analogia con l’industrializzazione, segnatamente quella petrolchimica, imposta dallo Stato con la complicità e, talvolta persino col consenso aperto, delle classi dirigenti sarde: come quella, anzi più di quella viene imposta dall’alto, senza il coinvolgimento né consenso delle popolazioni: anzi, spesso contro la loro volontà.
L’industrializzazione – peraltro clamorosamente fallita, anche rispetto ai fini principali che diceva di proporsi: l’occupazione – significò devastazione e inquinamento del territorio. E con esso esportazione dei semilavorati nel Nord per produrre là ricchezza profitti e lavoro, con le seconde e terze lavorazioni e la chimica fine: proseguendo con quel meccanismo coloniale dello scambio ineguale. Con cui la Sardegna continua a esportare nel Nord materie prime e semilavorati, pagati pochissimo, mentre continua a importare dallo stesso Nord prodotti finiti pagati moltissimo. Di qui il nostro impoverimento progressivo da una parte, e dall’altra l’arricchimento ulteriore dello stesso Nord. Aumentando il divario e la forbice nello sviluppo.
In maniera , per così dire per molti versi analoga, succede con le Pale: alla Sardegna rimane sa palla e issos si pigant su ranu. Calchi sisinu, pocos soddos alle popolazioni che ospitano i mostri di ferro e profitti milionari agli speculatori, segnatamente a quelli delle multinazionali.. Alla Sardegna fra 20/30 anni tonnellate di ferro arrugginito da smaltire e al Nord energia bella, pronta e pulita. Perché occorre ribadirlo l’energia prodotta dal vento (e dal sole) sardo non è per noi ma per loro. Come i semilavorati della chimica. Per creare, ancora una volta, la loro ricchezza. Alle nostre spalle.
Una Sardegna dunque ridotta allo sottosviluppo, macellata economicamente e socialmente. Ma anche, culturalmente e linguisticamente.
C’è da chiedersi: usque tandem? Fino a quando potranno abusare della nostra pazienza, che viepiù sta diventando stupidità e autolesionismo?