La lotta per la sanità pubblica in Sardegna non si ferma
16 Novembre 2021[Graziano Pintori]
Sabato 13 novembre si è replicata la giornata di lotta per la sanità, come nella precedente, il 23 ottobre scorso, si è svolta su due tronconi: da una parte CGIL, CISL, UIL, “Vivere a Colori” e altre associazioni, dall’altra quella organizzata dalla marcia per la salute con i sindaci provenienti soprattutto dal Mandrolisai.
Una divisione che non ha condizionato la partecipazione di migliaia di cittadini e cittadine, perciò il punto che bisogna cogliere è la determinazione dei manifestanti a difendere il diritto alla salute e denunciare la malasanità, l’inconcludenza politica e l’incompetenza amministrativa dei politici regionali. La sintesi della lotta contro la sospensione del diritto alla salute sta nella cifra: 311.642 (1), ossia il numero delle prestazioni pianificate dal sistema sanitario regionale il 31 dicembre 2019, prima che l’emergenza sanitaria causata dal COVID mettesse in luce i limiti (diciamo così per non dire sfascio) della nostra sanità.
La cifra, di cui sopra, nei dettagli denuncia: 87.207 sono le prestazioni cardiologiche sospese; 34.903 le visite gastroentorologiche in attesa di essere completate; 31.063 i pazienti in lista d’attesa dai reparti di oculistica dell’ATS; 77.021 in attesa di risonanze magnetiche, TAC, mammografie ed ecografie mammarie. A questi dati si aggiungono i pazienti di Oristano oltre 38.00, i quasi 25.000 di Lanusei e i 22.500 di Carbonia, gli oltre 15.000 di Olbia, di Nuoro quasi 12.500 e infine Sanluri con quasi 9.000 cittadini in lista d’attesa. Si tratta di una tragica fotografia della sanità sarda, una regione che fa parte di uno di quegli Stati occidentali che sono sbarcati nell’oriente per esportare civiltà e democrazia. Ma quale civiltà! Quale democrazia! I dati sanitari sopra riportati sembrano diffusi da Emergency dal profondo Afghanistan o dall’Iraq, luoghi in cui Gino Strada prestava la sua opera in continua emergenza sotto le tende, nei campi devastati dalle guerre.
E’ noto che la sua attività non si svolgeva nelle moderne strutture ospedaliere occidentali, non si svolgeva negli ospedali di un’isola come la Sardegna, in cui il sistema sanitario regionale assorbe quasi il 50/% (circa 3,7 miliardi di euro) dell’intero bilancio annuale destinato a tutti i sardi. Considerate le radici politiche dei governanti sardi “poltronificati” in quel di Cagliari, c’è da chiedersi cosa intendono per “Autonomia”, poiché si vuole affiancare a questo termine quello di “Insularità”, cioè una caratterizzazione geografica su cui gravano oggettive difficoltà, per cui si chiede il riconoscimento di questi limiti nella Costituzione italiana. Un tentativo che nella realtà mira a “fare cassa” e, allo stesso tempo, nascondere la mediocrità della classe politica isolana, palesemente incapace di interpretare e applicare la vera Autonomia riconosciuta nello Statuto Sardo.
Di quanto affermato è sufficiente leggere le dichiarazioni dell’Assessore alla sanità sarda Nieddu, quando dice: “Che condivide i motivi delle proteste di Nuoro, però dovrebbero essere rivolte contro il governo di Roma, e non contro la regione sarda”. Come a dire che la Regione Autonoma della Sardegna, trattandosi di regione a statuto speciale, con responsabilità diretta sulla spesa sanitaria, può spendere e spandere quei fondi come meglio crede, e lasciare al governo centrale i problemi della malasanità dovuti all’inconsistenza della classe politica cui appartiene il Nieddu. Come a dire più semplicemente “Pietro paga e Paolo fotte”.
Comunque, sta di fatto che il sistema sanitario sardo, con le sue storture, improntato sul modello privatistico e liberista è fallito, perciò è necessario ricostruire il tessuto della medicina territoriale e preventiva e superare le disuguaglianze territoriali nell’erogazione dei servizi sanitari e riorganizzare le piante organiche dei medici e paramedici. Nel concreto è necessario rivalutare e riappropriarsi del Servizio Sanitario Nazionale, quello, per intenderci, promosso dall’allora ministra della sanità Tina Anselmi, democratica cristiana e partigiana, che nel 1978 riferì alla Camera dei deputati che il Servizio Sanitario doveva essere caratterizzato da quattro principi: “Globalità delle prestazioni, universalità dei destinatari, eguaglianza del trattamento, rispetto della dignità e della libertà della persona”.
Sicuramente una grande lezione sul significato intrinseco della nostra Costituzione, una lezione che oggi sicuramente è ignorata da chi tratta la sanità come la pallina di una partita a ping-pong. Infatti, i cittadini sardi assistono al triste torneo sportivo sulla sanità, prima con il centrosinistra che si adoperò, durante il precedente mandato politico, a sostituire le ASL con un “pachiderma” sanitario denominato ATS (Agenzia Tutela Salute), governato da un’unica dirigenza regionale. Poi arriva il centrodestra che, in tempi brevi, con ferma decisione, demolisce l’ATS per ripristinare le vecchie ASL e tutto il contorno finanziario che ne consegue. Naturalmente, a fine partita, il trofeo dei 311.642 cittadini in attesa del diritto alla salute nessuno lo vuole, molto meglio che la pallina del ping-pong continui a essere palleggiata nel triste torneo contro il diritto alla salute.
Gino Strada aveva capito molto bene e fino in fondo come funziona la sanità in generale, e quanto potere si può esercitare in nome e per conto della salute pubblica. Nel senso che di pubblico sono solo le malattie, mentre le cure sono di tipo privatistico, in cui prevalgono disparità, privilegi e interessi. Non a caso Gino Strada amava ricordare: “I diritti degli uomini devono essere di tutti gli uomini, proprio di tutti, sennò chiamateli privilegi”.
(1) la Nuova Sardegna del 7 novembre 2021