La Maddalena, quale futuro?
30 Aprile 2007Costantino Cossu
Gli americani alla Maddalena sono arrivati per la prima volta nel 1822, quando una squadra navale entrò nel Mediterraneo per dare la caccia ai pirati berberi. La monarchia sabauda concesse un approdo in Sardegna solo per la durata dell’operazione. Non erano ancora tempi d’alleanze strategiche con gli Usa. Arrivarono dopo, quei tempi, quando nacque la Nato e scoppiò la guerra fredda.
Il 20 ottobre del 1954 l’ambasciatrice americana a Roma, Clare Boothe Luce, e il ministro degli Interni italiano, Mario Scelba, firmano il “Bilateral infrastructure agreement”, un’intesa formale in base alla quale l’isola della Maddalena diventa un sito d’assistenza portuale e di deposito di carburanti per la Sesta Flotta. E’ il primo capitolo della storia. Il secondo si apre l’11 agosto del 1972, quando l’amministrazione americana stipula con il governo italiano (presidente del consiglio è Giulio Andreotti), un patto che modifica il “Bilateral infrastructure agreement” e concede alla Us Navy la piccola isola di Santo Stefano, ad est della Maddalena, come approdo su cui impiantare una base per il ricovero e l’assistenza di sommergibili nucleari. L’operatività è immediata. Nel giro di poche settimane arrivano prima i sottomarini e poi la nave appoggio Fulton. Le strutture a terra sono costruite a tempo di record. Andreotti firma un accordo segreto e illegittimo. Illegittimo perché segreto. Viene infatti violato l’articolo 80 della carta costituzionale, che stabilisce che i patti internazionali debbano essere resi noti al Parlamento e da questo ratificati. Al momento attuale ancora non si conoscono i termini di quell’accordo, nonostante le tante richieste di trasparenza che negli anni sono arrivate da partiti, da singoli parlamentari e, da ultimo, dal presidente della giunta regionale sarda, Renato Soru.
Quando la base nasce, nel 1972, la guerra fredda è un po’ meno guerra che negli anni Cinquanta. Proprio nel maggio dello stesso anno Richard Nixon e Leonid Breznev hanno sottoscritto i primi accordi sulla limitazione degli armamenti strategici (Salt 1). Le due superpotenze dialogano, ma il confronto per il predominio è ancora aperto su tutto lo scacchiere mondiale. Mosca tiene sotto pressione le strutture della Nato. Sul fianco sud dell’Alleanza atlantica l’insidia maggiore è rappresentata dai sommergibili nucleari sovietici a propulsione e ad armamento nucleare. Grandi squali d’acciaio che solcano le acque del Mediterraneo portandosi appresso testate missilistiche atomiche. L’azione di contrasto e di dissuasione è affidata ai sottomarini nucleari della Us Navy, che hanno necessità di un approdo sicuro. Tra le diverse possibilità, la scelta del Pentagono cade sull’arcipelago della Maddalena per le caratteristiche naturali del luogo. Tante isolette di granito che formano quasi un labirinto, con passaggi stretti e difficili; l’ideale per scoraggiare l’azione d’infiltrazione e di spionaggio in cui i sovietici sono maestri. I fondali bassi e insidiosi, le secche, i corridoi angusti e obbligati fanno dell’arcipelago sardo un luogo molto sicuro, specialmente contro i sottomarini di Mosca. E’ perciò che, con il sostegno dei governi italiani, l’amministrazione americana difenderà la sua base in Sardegna da tutti i tentativi di mettere in discussione l’accordo stipulato con l’esecutivo presieduto da Andreotti. Un’offensiva pesante viene lanciata dall’opposizione ancora comunista nel 1977. Alle prime luci dell’alba del 22 settembre di quell’anno il sommergibile atomico Uss Ray arriva a Santo Stefano con la prua squarciata; durante la notte precedente è andato a sbattere contro gli scogli dell’isola di Serpentara, poco a largo della costa sud-occidentale della Sardegna. Secondo i protocolli di sicurezza che devono essere applicati in caso d’incidente a sottomarini atomici, l’imbarcazione danneggiata dovrebbe essere riparata in alto mare. Ma ciò non avviene. Uss Ray viene ospitato e assistito a Santo Stefano. Le denunce di rischi alla salute per un possibile inquinamento radioattivo non sortiscono alcun effetto: le autorità americane e l’ammiragliato dicono che è tutto a posto, che non c’è pericolo. E a Roma il governo conferma. La base Usa non si tocca, qualunque cosa accada.
Poi però arriva un altro settembre, quello delle Torri Gemelle. Il mondo è cambiato. Il Muro è caduto da un pezzo e l’orso sovietico ha tirato le cuoia. Il Grande Nemico sono gli Stati canaglia e il fondamentalismo islamico. Di sottomarini sovietici da controllare nel Mediterraneo non ce ne sono più. La base della Maddalena ha gradualmente riconvertito il segno strategico delle attività delle forze militari che vi sono impiegate. Niente più caccia al Grande Ottobre Rosso e invece missioni al largo delle coste maghrebine e dell’Africa atlantica, alla ricerca di basi di Al Qaeda. Un tipo di impegno che non richiede più né la propulsione nucleare (indispensabile su rotte lunghe oggi non più battute) né l’armamento atomico. E’ un servizio, quello che ora viene richiesto, che possono svolgere benissimo anche sottomarini che si muovono spinti da normali motori diesel, scafi enormemente più economici rispetto ai mastodonti atomici, ognuno dei quali costa al contribuente americano trentacinque milioni di dollari l’anno. Cifre elevatissime, che vanno ad incidere su un bilancio del Pentagono appesantito dalla guerra infinita cominciata da Gorge Bush in Afghanistan e proseguita in Iraq. All’interno dell’amministrazione Usa si fa strada un partito che chiede che i rami secchi vengano tagliati e che le difese diventate inutili, come quelle innalzate contro la presenza sovietica nel Mediterraneo, vengano smantellate. Autorevole portavoce di questa linea è Edward Luttwak, uno dei consiglieri più ascoltati da Bush. Alla linea Luttwak resiste la struttura del Pentagono, appoggiata, dentro lo Studio Ovale, dal ministro della Difesa Rumsfeld. Le alte gerarchie militari sostengono che la base della Maddalena svolge ancora un’ importante funzione strategica di presidio del lato sud del Mediterraneo, Perciò non solo non va smantellata ma, al contrario, va resa più sicura e va ampliata. Per tutta una fase quest’impostazione passa. Su proposta del presidente Bush, il Congresso degli Stati Uniti approva uno stanziamento consistente che serve a rendere la base meno vulnerabile dagli attacchi terroristici. Viene anche finanziato un aumento di cubature delle strutture a terra, che di fatto porterebbe, se attuato, a triplicare l’area attuale della base. I cantieri vengono aperti e si comincia a lavorare.
Poi, il 23 novembre 2005, il colpo di scena. Martino vola a Washington convocato da Rumsfeld e il ministro della Difesa americano annuncia che dalla Sardegna la Us Navy se ne andrà. Ha vinto la linea Luttwak. A far pendere l’ago della bilancia dalla parte della chiusura della base è stato Bush in persona. Lo sforzo militare in Iraq è al culmine e richiede un impegno finanziario massiccio. Tutto ciò che non serve a uscire subito e bene dal pantano iracheno va messo in secondo piano o eliminato. Perciò gli Usa vanno via dalla Maddalena.
Cosa accadrà ora nell’arcipelago, sede dell’unico parco nazionale sardo funzionante dopo che la giunta Soru ha affossato quello del Gennargentu? Regione e Comune puntano alla riconversione turistica. Ma, dicono, di qualità. Niente villaggi e seconde case, invece alberghi a cinque stelle e, al posto dell’Arsenale, un porto turistico per super yacht. Il gruppo immobiliare che fa capo al costruttore Ligresti ha presentato nei giorni scorsi un piano di ristrutturazione delle case dove abitavano i marinai americani per farne hotel di lusso. La Regione ha dato l’ok, chiedendo una riduzione delle volumetrie.
Tutto bene? No di certo. Le questioni aperte sono due.
La prima è che nessuno ancora ha spiegato come si farà a far convivere il Parco, zona di tutela naturalistica e paesaggistica, con il porto turistico, destinato a diventare uno dei più grandi del mediterraneo, e con gli alberghi di Ligresti e soci.
La seconda è che alla Maddalena, anche se al sindaco Comiti non piace che lo si dica, esiste un problema grave e urgente di bonifica. Per decenni la Marina degli Stati Uniti ha scaricato in mare acqua radioattiva. Il rischio sanitario è ben descritto dallo studio recentemente svolto dall’ESA, consorzio temporaneo d’impresa Epidemiologia Impresa Sviluppo, su incarico della Regione. “Non giova fingere d’ignorare – ha fatto opportunamente notare Gettiamo le basi – il disastro sanitario, non giova fingere d’ignorare che nelle acque antistanti la base statunitense ricercatori indipendenti hanno rilevato torio radioattivo 234, cobalto radioattivo (indagine Greenpeace-Cortellessa), plutonio (indagine Aumento). Gli agenti patogeni devono essere eliminati, chi ha ucciso e devastato deve essere individuato e deve pagare, il sito deve essere bonificato”.
Sono impressionati i dati rilevati dall’indagine ESA. Li riportiamo così come sono stati diffusi da Gettiamo le basi (tutti i dati sono rapportati alle medie nazionali):
LINFOMA NON HODGKIN
(in eccesso anche nelle aree coinvolte dai poligoni di Teulada e del Salto di Quirra)
Uomini + 177,8% mortalità, +147% ricoveri, +131,9% diagnosi principale; Donne + 37% mortalità.
LINFOMA HODGKIN ( in eccesso anche a Teulada)
Eccessi tra le donne nel ventennio 1981-01 con punte nel periodo 1994-98 di + 123%.
TUMORI AL SISTEMA LINFOEMATOPOIETICO (eccessi anche a Teulada e Quirra)
Uomini + 58% mortalità, + 73,9% ricoveri, +44,5% diagnosi principale.
Dal confronto locale “vengono confermati e rafforzati gli eccessi sui tumori linfoematopoietici”, dall’andamento temporale emerge un aumento costante, si passa da “un eccesso non significativo di + 29% nel 1981-83 a un eccesso significativo di +105% nel 1999-2001” .
Donne + 23,7% mortalità. “I tumori del sistema emolinfatico e il Linfoma Hodgkin mostrano sempre degli eccessi nel ventennio considerato con punte nel periodo 1994-98 (+ 150% e + 123% di eccesso per le due classi di cause)”.
TUMORE ALPOLMONE (forti eccessi a Teulada, soprattutto tra le donne, + 115% ricoveri)
Uomini + 43,6% ricoveri tutte diagnosi, +9% diagnosi principale; donne +7% mortalità.
MELANOMA (eccessi anche a Teulada tra gli uomini)
Uomini + 335% ricoveri.
Si può, con questi dati, far finta che il problema sanitario alla Maddalena non esista e pensare solo a costruire alberghi, porti e campi da golf?
E ancora. Ottenuta una parzialissima dismissione dei beni militari sull’area di Cagliari, basta accontentarsi di chiedere (senza peraltro ottenerlo) il ritiro da Teulada usando Quirra come moneta di scambio? Anche di Quirra, come di Teulada, si dovrebbe chiedere la chiusura. E invece sono già state decise dal governo Prodi, dal ministro Parisi, politiche di potenziamento di Quirra, senza che da Cagliari si sia levata alcuna voce di dissenso.
Costantino Cossu