La mano dei tarocchi
1 Dicembre 2008
Marcello Madau
Non sappiamo se la legislatura sia finita, se Renato Soru distribuirà di nuovo le carte dopo averle fatte calare. Allora parliamo di cultura: una prima lettura d’assieme della giunta sui beni culturali può dare indicazioni significative, perché essi hanno costituito una parte rilevante della sua azione. Il filtro mette in evidenza gioie e dolori di questa esperienza, e permette di proporre una critica ‘da sinistra’ su elementi di programma e riferimenti sociali.
Partiamo col dire che mai è stata attribuita tanta importanza ai beni culturali. Non sono mancati, in tutta la storia della Regione Autonoma, episodi significativi, sino a quel piano del lavoro proposto da Luigi Cogodi che cercò di legare in una struttura evoluta e coerente cultura, occupazione virtuosa nel territorio, produzione di ricchezza, ma l’esperienza della Giunta Soru ha posto al centro dell’attenzione beni culturali e ambientali in maniera costante ed organica. Aver riconosciuto la loro centralità è stato un progresso non discutibile, che ha permesso un’evoluzione della critica proveniente del nuovo lavoro di natura cognitiva, una realtà in evoluzione: non c’era mai stato uno sciopero dei gestori delle aree archeologiche e dei musei. La proposta del piano triennale l’ha causata, e non solo per difese corporative. Nei nuovi assetti, comunque unificanti, il lavoro si organizza e risponde. Non sarà un caso che una delle punte avanzate del lavoro cognitivo, la più forte associazione nazionale degli archeologi (ANA), si sia formata nei cantieri TAV dove per la prima volta gli archeologi lavorarono fianco a fianco a centinaia.
Politica regionale inedita, abbiamo detto: riordino e inserimento in sistemi di qualità della rete museale, interventi sulle aree archeologiche, legge sulla cultura, le statue di Monti Prama, impegni su Tuvixeddu, lancio dei poli museali, valorizzazione delle aree di archeologia industriale, Corpus dei materiali archeologici ‘pregiati’ (bronzetti nuragici, reperti fenici, manufatti romani), per citarne alcuni. Da ultimo, il tentativo di fare sistema su aree archeologiche e musei.
Ma nelle proposte leggiamo una linea generalmente subordinata a criteri di formalismo estetico e di efficientismi economici, mentre uno dei valori più forti dell’identità, il lavoro cognitivo nato e sviluppatosi nei territori, viene sanzionato e minacciato di catene. Dei corpora nuragici e fenici non c’era un reale bisogno (altre le emergenze: guardate dentro i magazzini delle soprintendenze e dei musei. Questi gli scavi, questo il lavoro). La bella idea del Betile non vuole emendare l’errore, nel rapportare antichità e contemporaneità, di restringere la preistoria artistica, e le lunghe correnti identitatarie al solo episodio nuragico. La battaglia sacrosanta per Tuvixeddu, per togliere la necropoli punica più importante del Mediterraneo dal dannoso accordo di programma del 1991, ha visto una serie straordinaria di errori amministrativi e il grave errore di dare sponda ad un progetto Clement in ogni caso non convincente.
Le logiche economiche e organizzative del turismo – risorsa importante e certo da associare alla rete culturale – rendono secondari i valori della tutela e dei saperi. Così l’emergere di proposte e produzioni artistiche e progettuali dal basso non appare favorito, il sistema parchi è smontato ma i ‘Cambales’ sembrano calzari che non sopravvivono alle alluvioni.
L’attenzione al pregio del bacino minerario si è associata al grave tentativo di vendita di un patrimonio: sventato, corretto e infine assegnato (Monteponi) a un altro ‘grande nome’ (Herzog) dell’architettura con prospettive poco condivisibili. Ma l’area mineraria non è stata ancora catalogata come bene culturale!
L’esperienza della Giunta sembra chiudersi con il Piano triennale dei musei e delle aree archeologiche. Un giusto tentativo di modernizzazione, ma i bandi inseriti nella Finanziaria per l’assegnazione di gestori provinciali (modello razionalizzante obsoleto e basato su un’organizzazione territoriale per province aspramente criticata dallo stesso Soru) per la gestione di aree e musei rischiano di regalare all’esterno la nostra identità. Bisogna lottare perché in essi, sia per la gestione che per le figure professionali, appaia requisito di assoluta importanza l’esperienza pluriennale maturata e svolta nel territorio. Potenti associazioni, fondazioni e federazioni culturali preparano da tempo lo sbarco. La calorosa vicinanza del Ministro Bondi alle assemblee di Civita e Federculture, la nomina di un bocconiano paninaro a super manager dei musei appare significativa. Ma rischia di trovare sponda nella politica regionale ed inserirsi entro la più generale accelerazione verso potenti Fondazioni per il controllo del sistema nazionale della conoscenza.
Neanche una parola di condanna da parte della Regione sull’accorpamento delle Soprintendenze sarde, da noi più volte letto come tentativo di avere una strada ancora più facilitata per il ‘passaggio di competenze’ nel governo dei beni culturali. Il patrimonio culturale e paesaggistico sardo, vettore formidabile di identità, non può essere gestito solo dallo Stato, del quale restano però irrinunciabili le competenze primarie (“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”, art. 9 della Costituzione). Perchè assecondare chi vuole minare il sistema pubblico della tutela, lasciando alle regioni solo oneri e risparmiando sulla spesa pubblica nazionale? Se il passaggio successivo (che mi pare già in atto) sarà lo smantellamento di tale sistema, ci troveremo a gestire (in parte) la valorizzazione dei beni culturali come da devolution senza che essi siano protetti. Non mi pare un gran risultato
L’efficienza è necessaria. Se declinata insieme ad una piccola ragioneria di entrate e uscite che non coglie il valore in sé della cultura e della presenza nei luoghi, e promette un eventuale successivo ‘benessere’, è tipico segno liberista. Spetta perciò ad un programma di cultura democratico ed alle forze del lavoro cognitivo unirsi per effettuare un’azione diretta e critica a quella prevalente. Ma l’assenza del riconoscimento di tale centralità nelle forze di centro-destra e in quelle del centro-sinistra ‘antisoriano’ rende impossibile persino la critica, che non può esercitarsi sul nulla. Anche questo fatto comporterà necessarie e fredde riflessioni su proposte, scelte e schieramenti.
2 Dicembre 2008 alle 11:08
“Ma l’assenza del riconoscimento di tale centralità nelle forze di centro-destra e in quelle del centro-sinistra ‘antisoriano’ rende impossibile persino la critica, che non può esercitarsi sul nulla” …già, caro professore, perfettamente d’accordo… il rischio è proprio di tornare al nulla. A mio parere.