La marcia sarda per la pace

1 Dicembre 2007

BANDIERE DELLA PACE
Franco Uda

Si è svolta lo scorso 4 novembre la sesta edizione della Marcia Sarda per la Pace che, come ogni anno, si tiene tra Gesturi e Laconi e viene organizzata dalla Tavola Sarda della Pace. L’edizione di quest’anno ha presentato alcune peculiarità organizzative e politiche su cui vale la pena soffermarsi.
I primi cinque anni sono stati quelli del modello Perugia-Assisi: una grande marcia che, coinvolgendo migliaia di cittadini in un gesto simbolico, alzasse il velo di normale sottovalutazione che da un lato i mass media e dall’altro ancora ampi strati di popolazione hanno sul tema della pace; un percorso tra i ventidue chilometri che separano i due centri della marmilla che diedero i natali a due uomini di pace, Sant’Ignazio e Fra’ Nicola; la mattina una messa a Gesturi, un pranzo comunitario a metà percorso, alla sera l’arrivo a Laconi con i saluti finali delle organizzazioni partecipanti. Tuttavia la necessità di una contestuale occasione nella quale discutere le urgenze del momento, l’esigenza di analizzare i temi propri che caratterizzano la marcia, il bisogno di fare il punto tra tutto il pacifismo sardo che non fosse condizionato dalla stanchezza fisica, ha spinto gli organizzatori a ripensare l’impianto generale e a modificarlo in direzione di una partecipazione che non fosse per forza “o tutto o niente” ma che potesse essere modulata a seconda delle esigenze. Così, dopo la tradizionale messa, nel centro culturale di Gesturi si è tenuta una grande assemblea plenaria, dal significativo titolo “Le ragioni della pace oggi, in Sardegna”, che ha coinvolto oltre duecento rappresentanti del pacifismo sardo, delle istituzioni, dei sindacati e del mondo della politica per discutere insieme e per dare un orizzonte di senso al nostro agire. Ospite di questa edizione è stato don Albino Bizzotto, fondatore dei Beati costruttori di pace e impegnato in prima fila tanto nelle grandi manifestazioni di movimento (dalle mobilitazioni per lo smantellamento missilistico a Comiso negli anni ’80, alle iniziative contro l’occupazione irachena degli scorsi anni), quanto nelle significative vertenze locali ultime (da Aviano a Vicenza contro il raddoppio della base Dal Molin). Suo il compito di “glocalizzare” il dibattito, di chiudere le sinapsi virtuali tra l’introduzione di uno dei tre portavoce della Tavola Sarda della Pace, maggiormente incentrata sui contenuti locali senza tuttavia tralasciare elementi di merito più generali, e la situazione complessiva italiana e globale.
Uno dei punti focali della discussione è stato il concetto di pace, non più inteso come assenza di guerra, tacere delle armi, orizzonte culturale: “la Pace è un progetto politico”, lo sosteneva Tom Benetollo, ed è una delle tante cose che mi sono rimaste di lui. Come ogni progetto politico va agito attraverso la trasformazione delle condizioni che lo rendono attuabile. L’evidenza di tale affermazione è ormai passata dal ristretto gruppo degli addetti ai lavori a una vasta porzione di senso comune. Non è un caso che gli ultimi i due Premi Nobel per la Pace sono stati dati a Muhammad Yunus e Al Gore: il primo economista del Bangladesh fondatore della Grameen Bank è stato l’inventore del microcredito per quei soggetti che generalmente vengono definiti “non bancabili”, senza garanzie patrimoniali ma con un progetto di utilizzo credibile; il secondo ex Vicepresidente Usa per il suo impegno e divulgazione ambientalista. Appare chiaro come a Oslo abbiano voluto declinare la pace attraverso la possibilità di puntare il dito sulle cause che la rendono impossibile: lo spaventoso disequilibrio economico presente nel pianeta che genera miseria e povertà, la violazione dei fondamentali diritti umani, l’accesso limitato ai beni comuni come l’acqua e la terra; lo stato ambientale preoccupantissimo in cui versa il pianeta a causa di un livello di consumi insostenibile e di uno sfruttamento delle risorse naturali dissennato e non più ripristinabile.
Agire la pace in Sardegna significa aver cura di tutto ciò detto finora su scala regionale e manifestare il proprio impegno sui terreni che in maniera più esplicita sono centrali nella promozione della pace e contro le guerre: la lunga battaglia intrapresa per la liberazione della terra e del mare sardi dalle basi e servitù militari e la richiesta di verità e giustizia per tutti coloro che sono caduti in tempo di pace vittime di armi come l’uranio impoverito. Infatti, se la partenza degli americani da La Maddalena apre un nuovo capitolo sul ruolo della volontà popolare rispetto ai trattati internazionali e, sul piano istituzionale, sul rapporto Stato-Regione in materia di sovranità del territorio (quella realmente agita anche se non esplicitamente dichiarabile!), non si deve dimenticare che nel resto dell’Isola è tutto un brulicare di eserciti di diverse nazionalità che di volta in volta utilizzano i poligoni messi gentilmente a disposizione dallo Stato Italiano per allenare la propria capacità bellica e sperimentare nuove e più micidiali armi o, come a Quirra, dove si sta procedendo verso un ampliamento dell’aeroporto militare. Basi e poligoni che, se dismessi, dovranno essere sottoposti a una seria e costosissima bonifica ambientale. Inoltre l’elevato numero di militari, e soprattutto di civili, vittime dell’uranio impoverito impone un generale innalzamento dell’attenzione proprio per la volontà di minimizzare se non occultare i singoli casi: su questo tema la Tavola Sarda della Pace ha già annunciato un convegno internazionale a Cagliari nel mese di dicembre.
Il pranzo comunitario nella borgata di Crastu, gli ultimi cinque chilometri a piedi, il concerto finale in piazza del Municipio a Laconi, danno modo a tutti di poter partecipare e sono gli ultimi elementi di una sesta edizione con delle novità che hanno destato interesse e consenso.

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