La mattanza di Santa Maria Capua Vetere

16 Luglio 2021

[Graziano Pintori]

Un pestaggio è stato inferto a trecento detenuti del carcere di Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile 2020 dalla polizia penitenziaria, cioè da chi dovrebbe assicurare la loro integrità fisica, e garantire che la pena sia estinta nel rispetto della Costituzione.

Video, foto, racconti vissuti dalle vittime, costituiscono prove inconfutabili contro tutte le guardie carcerarie, sia quelle interne e sia quelle esterne intervenute a dare manforte, che hanno partecipato alla crudele pestata. Misure cautelari, sospensioni, interdizioni sono i primi provvedimenti assunti dalla magistratura nei confronti di coloro che con manganelli, pugni, schiaffi, calci e ginocchiate hanno colpito persone inermi affidate alla loro custodia, accentuando la sfiducia nei confronti delle istituzioni da parte dei carcerati, delle loro famiglie e della società. Tutto questo si è verificato non in un mattatoio per vitelli, così definiti i detenuti dai bulli in divisa, ma in una struttura dello Stato, dove dovrebbero vigere il rispetto delle persone e l’educazione alle regole democratiche, indispensabili per il ritorno in società. La bastonatura fattasi incubo si è verificata in una struttura carceraria che su 809 posti disponibili ospita oltre 900 reclusi, di cui 210 sono rinchiusi in un reparto di alta sicurezza; i reclusi con condanna definitiva sono 440, gli stranieri 195, i malati psichiatrici, in perpetuo isolamento, sono 20.

Dai rubinetti sgorga acqua torbida dal sapore ferroso, naturalmente non potabile; il reparto isolamento è incolore e freddo, con brande di ferro inchiodate al pavimento, servizi igienici in alluminio e la televisione, la radio, le attrezzature per la cucina sono assenti, come i contatti umani. Nelle sale ricreative c’è il tavolo da pingpong, però non c’è la pallina, c’è la biblioteca, però è chiusa. Questa fotografia potrebbe accomunare, per un verso o per l’altro, tutte le istituzioni carcerarie della Repubblica. In questi luoghi è ossessivo il controllo nei confronti dei detenuti, perché la sicurezza prevale sulla funzione educativa e di recupero, nonostante l’art. 27 della Costituzione. In altre parole, senza generalizzare oltre il dovuto, in questi luoghi non si tende alla redenzione delle persone che hanno offeso la società, ma si modellano esseri sottomessi all’obbedienza verso i loro custodi senza se e senza ma, esseri incapaci di eseguire certe azioni se non ricevono il consenso dagli stessi sorveglianti. I corpi dei prigionieri, infatti, vivono in un ambiente segregato, avvilente e in continuo conflitto con i loro custodi, poiché la limitazione della libertà già da se, qualunque sia il motivo, è un atto di violenza che nelle carceri si sente nelle celle blindate , si nota negli sguardi e si respira con l’aria. Il recluso può pensare tutto, eccetto quello di trovarsi in un luogo di recupero e tanto meno trovarsi in un luogo dove sono garantite le incolumità fisiche e psichiche.

I fatti di S. Maria Capua Vetere assumono una gravità inconsueta non solo per il tipo di violenza esercitata sui reclusi, ma anche per l’ostentata sfrontatezza dei picchiatori davanti alle telecamere che riprendevano le loro azioni da “garage olimpo” dei vari Videla, Agosti e Massera. Sfrontatezza che trova la sua forza dove l’ “omertà nelle corporazioni è considerata una virtù. Ancora di più nelle corporazioni di tipo militare … ragion per cui, se nessuno parla diventa molto difficile indagare (L. Manconi – sociologo). La questione carceraria rientra nel problema generale del sistema giudiziario, infatti, se consideriamo seriamente i dati forniti dal Dipartimento di giustizia, secondo il quale solo il 10% dei reclusi sono definiti socialmente pericolosi, nelle carceri dovrebbero essere rinchiuse solamente le persone che rientrano nella percentuale appena citata.

Per la restante popolazione ristretta invece dovrebbero essere applicate le sanzioni già previste per legge: lavori socialmente utili, azioni risarcitorie nei confronti delle vittime e della società, condanne pecuniarie e/o misure interdittive. In pratica si tratta di applicare la legge e organizzare la società, civilmente e culturalmente, ad accogliere questi cittadini che nonostante tutto possono essere reintegrati nella vita civile, pur non avendo vissuto l’esperienza carceraria. I dati su questo fronte sono assai eloquenti: il 69% di chi sconta la pena interamente in carcere reitera i reati, un dato che si riduce al 20% se la condanna si sconta con pene alternative al carcere. Addirittura si riduce al 2% se la pena è espiata ai domiciliari. Purtroppo il pestaggio di S. Maria Capua Vetere è stata inflitta a questo tipo di popolazione carceraria, molto più vulnerabile di quel 10% dove sono presenti i grandi boss della malavita nazionale e internazionale, le cui organizzazioni criminali sono in grado di proteggerli, molte volte, anche dentro le mura dei penitenziari.

Mutare il sistema basato sulla restrizione e sorveglianza del carcerato significa dover impostare nuove tecniche mirate alla formazione delle guardie carcerarie, le quali devono avere sempre presente il concetto di uguaglianza delle persone e rispettarle a prescindere dalle storie personali, o pubbliche che siano. Formazione che deve tenere la barra fissa verso i principi democratici e costituzionali che regolano la vita della nostra Repubblica, in cui il concetto di servitore dello Stato significa essere al servizio della Costituzione per essere applicata in tutti i contesti.

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