La memoria, le memorie

1 Febbraio 2014
RENE-MAGRITTE-MEMORY
Gianfranca Fois

Chi, dopo tutto, parla oggi dello sterminio degli Armeni? Così Adolf Hitler il 22 agosto 1939 a proposito dell’invasione della Polonia. E, infatti, per decenni la memoria del tentativo dei “Giovani Turchi” di Ataturk, fondatore della Turchia moderna, di eliminare quella parte del popolo armeno che risiedeva da secoli in Turchia, ha taciuto, vivendo solo nel ricordo delle migliaia di Armeni che riuscirono a scappare e a rifugiarsi soprattutto in Europa e nel Nord-America.
Soltanto in questi ultimi anni si incomincia a testimoniare, a ricostruire quanto è successo nella quasi indifferenza delle altre nazioni e addirittura con la complicità di alcune.
E però all’interno della Turchia lo sterminio degli Armeni non può essere menzionato, ricordato, pena processi e severe condanne per chi osa “portare vilipendio all’identità nazionale turca”.
Anche noi Italiani esercitiamo una memoria molto selettiva, pensiamo al fatto che un film del 1981 come Il leone del deserto che narra la lotta agli inizi degli anni ’30 di Omar al-Mukhtar che guidò la rivolta dei Libici in Cirenaica contro la riconquista italiana della Libia non poteva essere proiettato in Italia perché “lesivo dell’onore dell’esercito italiano” e fu trasmesso ufficialmente su Sky solo nel 2009 in occasione della visita del dittatore libico Gheddafi quando serviva strumentalmente agli accordi con la Libia che includevano i vergognosi “respingimenti”.
A questa censura possiamo unire l’autocensura di storici, politici, giornalisti, intellettuali che ha impedito che in Italia non solo non venissero fatti i conti con la nostra avventura coloniale ma che si continuasse a credere nel mito “Italiani brava gente”. Questo al punto che Indro Montanelli, che pure partecipò ai combattimenti, smentì lo storico Angelo del Boca che aveva raccontato le atrocità commesse dagli Italiani in Africa sotto la guida di Rodolfo Graziani, e soprattutto l’uso dei gas proibiti (iprite e arsine) contro la popolazione civile e l’esercito etiope. Del Boca però è riuscito a provare le sue accuse e Montanelli costretto a ricredersi e a scusarsi sulle colonne del Corriere della Sera.
Come si può quindi facilmente capire la memoria non è scontata, dobbiamo accenderla, farla vivere, se vogliamo capire il mondo e dargli un senso. Dobbiamo rileggere il passato sia per costruire il presente sia per guardare al futuro contribuendo a dargli forma.
In Italia, nonostante siano passati quasi 70 anni dalla fine della guerra non solo non c’è una memoria condivisa, ma addirittura spesso, come abbiamo visto, si fa un uso strumentale e politico della storia.
Questo è successo anche con il Giorno del Ricordo il 10 febbraio, istituito il 30 marzo 2004, che commemora i massacri delle foibe e l’esodo giuliano-dalmata.
La giornata, così come è stata istituita su iniziativa del governo Berlusconi ma adottata quasi all’unanimità dal Parlamento, è sradicata completamente dal contesto storico, dai dati di quanto accaduto, dalle diverse testimonianze e ricostruzioni storiche che ci sono state e ci sono. Per cui un evento doloroso e drammatico come quello delle foibe e dell’esodo degli Italiani dall’Istria viene dimezzato e ridotto a propaganda e strumento politico.
Questa memoria la ritroviamo così decontestualizzata e banalizzata, nello spettacolo “Magazzino 18! del cantante Simone Cristicchi e del giornalista Ian Bernas.
Dal servizio sullo spettacolo su canali del servizio pubblico (RAI) e dalla testimonianza da parte di chi l’ha visto si rimane allibiti per la quasi totale mancanza di contestualizzazione storica, una contestualizzazione che avrebbe invece fornito strumenti agli spettatori per comprendere la vicenda, che, come tutte le vicende storiche, è complessa.
Eppure proprio la lettura dei testi del famoso scrittore italiano di lingua slovena, Boris Pahor, avrebbe potuto aiutare a ricostruire ciò che gli sloveni italiani ebbero a soffrire dal regime fascista (distruzione dei loro centri culturali, delle scuole, divieto di utilizzare la propria lingua, esodo all’estero di migliaia di Italiani di lingua slovena).
Ugualmente sarebbe stato utile, per comprendere, ricordare le atrocità commesse dagli Italiani quando occuparono la Slovenia durante la seconda guerra mondiale, dal 3 aprile 1941 al settembre 1943 35.000 vittime slave, torturate e uccise o fatte morire di stenti o di malattie in oltre 60 campi di internamento per civili sparsi in tutta Italia e nella famigerata isola di Arbe che registrava una mortalità giornaliera superiore al lager nazista di Buchenwald.
Non per assolvere, semplicemente per conoscere quanto è accaduto. E non è questo il ruolo della memoria e, soprattutto, della storia? altrimenti si tratta di parole vane, di esercizi di retorica che non aiutano a capire e riflettere.
Se i nostri politici decisero, alla fine della guerra, di sorvolare sulle foibe in cambio della rinuncia della Yugoslavia a far processare come criminali di guerra i generali, gli alti ufficiali dell’esercito italiano e gli alti dirigenti politici e statali che operarono durante l’occupazione della Slovenia questo non deve minimamente interessare le nostre coscienze e noi dobbiamo esercitare la nostra memoria su tutto, sia quando siamo state vittime che quando siamo stati carnefici. Una comunità nazionale si costruisce anche nel modo in cui riesce a condividere la memoria, a organizzare intorno ad essa le tradizioni, i discorsi, le parole.
La memoria infatti è una ricostruzione storico-emotiva che crea un nesso identitario tra il trauma originario e la vicenda successiva della comunità-vittima. Questo aspetto però si incrocia col fatto che oggi spesso avvenimenti, personaggi vengono divulgati attraverso i media non da storici ma da giornalisti, documentaristi, registi, attori ecc. In questa spettacolarizzazione vengono saltati i nessi causali, usati dalla storiografia, per prediligere invece l’emozione. Cristicchi, di fronte alle critiche ricevute, sostiene che non gli interessa la politica (?) ma che vuole fare didattica della memoria, a maggior ragione quindi avrebbe dovuto utilizzare un certo rigore storico.
Per concludere vorrei citare le parole che “l’ebreo” Moni Ovadia ha detto in occasione della Giornata della Memoria e che penso si possa applicare anche al Giorno del Rnicordo: “La giornata deve diventare “delle Memorie” per rilanciare, attraverso l’edificio della memoria, un’azione comune per portare pace, uguaglianza sociale e applicazione vera dei diritti. Una condizione universale dell’esistere dove ogni persona sia libera di circolare nel mondo senza restrizione di diritti e di dignità”.

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