La necropoli di Tuvixeddu. Karaly e Cartagine
1 Marzo 2008
Piero Bartoloni
La necropoli di Tuvixeddu è ben nota al mondo scientifico poiché è stata edita, anche se in modo non del tutto soddisfacente per quel che riguarda l’apparato illustrativo, fin dai primi anni del secolo scorso. Ci si riferisce in questo caso all’eccellente studio di Antonio Taramelli, che ancora oggi risulta per molti aspetti un punto di riferimento imprescindibile, anche perché è stato necessario attendere circa novanta anni per ottenere grazie a Donatella Salvi una serie di lavori parimenti attendibile su un settore di questa necropoli. Con ciò intendo dire che, oltre allo scavo e alla pubblicazione, lo studioso curò in modo particolare la sistemazione e l’inventario del materiali, con precise indicazioni che risultano ancora oggi fondamentali per il loro studio. D’altra parte, non ci si poteva attendere di più per una tipologia di materiali che spesso venivano indicati con la definizione di “comuni”, poiché quello che destava interesse era soprattutto la ceramica di origine greca o campana.
L’impianto funerario situato sul colle di Tuvixeddu fu aperto dagli abitanti della città di Karaly nella prima età punica, all’alba della conquista cartaginese della Sardegna. Infatti, l’attuale capoluogo isolano fino agli ultimi anni del VI secolo a. C. ebbe una dimensione metropolitana minore e un ruolo di mercato di frontiera nei confronti di partners ricchi e socialmente ben strutturati, quali erano le popolazioni nuragiche del basso Campidano. Con la conquista cartaginese la città probabilmente fu designata ad assolvere alla funzione di principale collettore dei beni della parte meridionale della Sardegna, soprattutto in virtù della sua posizione affacciata sul Canale di Sardegna.
Da quel momento Cagliari conobbe una nuova e felice stagione, fondata sulle sue funzioni, tra le quali forse quella di sede primaria dei nuovi governanti. In effetti, il braccio di mare su cui è affacciata Cagliari corrisponde all’itinerario più breve tra Cartagine e l’Isola. Il centro di Sulcis non era in grado di offrire le stesse caratteristiche, poiché il cui pur vasto retroterra probabilmente non corrispondeva alle esigenze della metropoli nord-africana. Ciò senza tenere in conto che in questo periodo, per tutto il V secolo e per una parte di quello successivo, la città sulcitana fu profondamente colpita da una forte recessione.
Ad avvalorare l’ipotesi di Karaly quale capoluogo dell’epicrazia cartaginese nella Sardegna meridionale sta l’indubbia ricchezza che traspare dai materiali relativi a questo periodo, rinvenuti soprattutto nella sua necropoli. Infatti, la nuova opulenza di Cagliari si percepisce appieno dall’esame degli ipogei del colle di Tuvixeddu e dei corredi rinvenuti al loro interno. Le strutture architettoniche delle tombe, pienamente rispondenti ai parametri in uso a Cartagine e nella provincia nord-africana, dimostrano un vasto impiego di mezzi economici, ampiamente profuso per la loro realizzazione all’interno del consistente calcare della collina. Le dimensioni delle camere sepolcrali dimostrano la loro natura di tombe di famiglia, realizzate per i due coniugi. I corredi tombali, ricchi di per sé, palesano che era raramente in atto la pratica del reimpiego degli ipogei e quindi favoriscono l’impressione che, nelle famiglie, ogni nuova generazione realizzasse per sé sola la propria ultima dimora con consistente reiterato dispendio. La presenza culturale cartaginese scaturisce anche dalla presenza di decorazioni pittoriche tombali, realizzate soprattutto in colore rosso, il colore della morte, ma anche in policromia, secondo un gusto ed un rituale che ci collegano con l’elemento berbero punicizzato della chora cartaginese.
Sempre grazie all’indagine dei corredi tombali scaturisce la constatazione di un ulteriore incremento dello status economico della città a partire dalla prima metà del IV secolo a. C., documentato dalla sempre maggiore presenza di ceramica vascolare di importazione e di provenienza soprattutto dall’Attica con la mediazione della metropoli nord-africana.
Le vicende storiche dell’impianto funerario di Tuvixeddu seguono quelle della città: infatti, ad un progressivo spostamento del cuore di Karaly verso est, corrisponde l’altrettanto progressivo abbandono della necropoli a favore del nuovo impianto sorto sul colle di Bonaria, in prossimità del nuovo porto. L’area di Tuvixeddu è utilizzata in qualche misura anche in età romana, ma solo perché, secondo il costume romano, i sepolcri erano allineati lungo le strade di approccio al centro abitato. Infatti, quella che attualmente è la via di Sant’Avendrace, anticamente era la strada principale della Sardegna che proveniva dai territori a nord e a ovest del capoluogo.
L’enorme valore storico-artistico e culturale della necropoli punica di Tuvixeddu consiste nella sua sopravvivenza attraverso i secoli. Sopravvivenza travagliata – si ricordi che almeno due terzi dell’impianto funebre sono stati letteralmente polverizzati da un cementificio attivo tra gli anni ’50 e ’60 del secolo scorso – che comunque non ha impedito che alcuni lembi importanti della necropoli giungessero fino a noi. Attualmente nessuna capitale che conserva vestigia del mondo punico, antica o moderna che sia, può vantare la presenza di tali testimonianze. Infatti, nella madrepatria libanese le necropoli monumentali sono scomparse da centinaia di anni, a Cartagine la maggior parte delle tombe non è più visibile ed è ormai irrecuperabile e a Palermo si conserva a fatica e con ampia profusione di mezzi un piccolo lembo della necropoli fenicia e punica. In Sardegna solo la necropoli di Sulky, attuale Sant’Antioco, può competere con l’impianto funerario cagliaritano, che costituisce una testimonianza irrinunciabile della comune storia collocata nel cuore dell’attuale abitato.
15 Agosto 2014 alle 05:06
[…] capirci, come sanno bene gli archeologici, la necropoli della stessa Cartagine è ridotta a ben poca cosa, mentre qui sono […]