La parola crea il mondo, nel bene e nel male

1 Settembre 2021

[Arnaldo Scarpa]

La realtà sociale in cui viviamo, con tutte le sue contraddizioni e le sue negatività, è un dato ineluttabile al quale dobbiamo necessariamente sottometterci o, invece, possiamo considerarla il prodotto di un gran numero di fattori, tra i quali predomina il nostro comportamento relazionale personale o di gruppo?

E, se la realtà dipendesse in buona misura dalle nostre modalità comunicative e, in ultima analisi, dal nostro essere profondo? Violenza e guerra sono due modalità inevitabilmente associate al vivere umano o sono superabili a partire da un radicale cambiamento del nostro rapporto con gli altri?

In altre parole, una comunicazione nonviolenta e inclusiva può dar vita a prassi e organizzazioni sociali della stessa natura? Esperienze di enorme portata sociale, di livello planetario, come il processo portato avanti da Ghandi per la liberazione dell’India dalla dominazione britannica e la lotta per la parità degli afroamericani, di Martin Luther King, dimostrano che ciò è possibile a livello macro.

Entrambi sono stati capaci di creare e trasformare identità e relazioni, determinare nuove realtà interpersonali, ribaltare prassi e organizzazioni sociali, grazie ad eccezionali capacità di comunicazione inclusiva ed empatica, profondamente coerenti con le loro personalità e con le finalità della loro azione politica.

Ma, ognuno di noi potrebbe fare l’esperienza di vedere radicalmente trasformati i propri conflitti qualora si sforzasse di applicare nella propria vita il motto dello stesso Mahatma Ghandi, “sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”.

Il valore della parola (e della mente) nei processi di trasformazione sociale è stato messo in evidenza da sempre nella storia del pensiero umano, fino ad attribuirgli addirittura la forza di creare il mondo, come possiamo leggere, nel prologo del Vangelo di Giovanni, dove si sostiene che la Parola ha generato tutta la realtà fisica, biologica, psichica e sociale.

Naturalmente, si tratta di un’affermazione che va oltre ogni spiegazione scientifica e il cui approfondimento rimane appannaggio della teologia ma che esprime benissimo come il valore creativo della Parola-Verbum-Logos fosse riconosciuto fin dall’antichità. Attualizzando, non viviamo oggi in una realtà sociale e culturale creata e ricreata continuamente dalle infinite parole emesse dalle grandi centrali di comunicazione giornalistica, commerciale e politica?

Non siamo forse sottoposti ad un continuo bombardamento mediatico che influenza i nostri processi cognitivi e finisce per condizionare gran parte dei nostri comportamenti?

D’altra parte, è principalmente grazie alla parola che gli individui costruiscono la propria rete di relazioni, definiscono le proprie identità e si costruiscono una rappresentazione di quelle degli altri. Si potrebbe anche dire che gli individui sono comunicazione in quanto, come ha ben detto Paul Watzlawick, “non si può non comunicare”.

Per Carl Rogers, alla base dei processi di comunicazione efficace, nonviolenta e profonda, c’è l’empatia, la possibilità di sperimentare su di sé lo stato psicologico di un altro individuo e, nel 1995, un gruppo di ricercatori italiani, coordinato da Giacomo Rizzolatti, ha scoperto le basi biologiche di questa innata capacità, individuando degli speciali neuroni motori (neuroni specchio) che, nel cervello dei primati, si attivano in maniera corrispondente a ciò che l’individuo osserva direttamente di un altro individuo o viene a conoscere attraverso un racconto orale, filmico o di altro genere.

L’empatia fa sì che gli altri entrino veramente a far parte di noi, perciò, in definitiva, essere aggressivi verso gli altri, significa aggredire sé stessi e le proprie basi mentali.

Come spiega molto bene il recentissimo libro di Milena Santerini, La mente ostile – Forme dell’odio contemporaneo, la capacità di odiare è legata alla necessità evolutiva di essere pronti a reagire di fronte a pericoli che si ripetono ma ciò non significa che l’umanità debba continuare a vivere in balìa di questo sentimento, adesso che cultura e razionalità sono così sviluppate. Invece, proprio ora che i mezzi di comunicazione hanno reso il mondo un unico villaggio globale, le conseguenze dell’odio e della comunicazione aggressiva, che pure hanno sciaguratamente determinato le due guerre mondiali, sono ancora più evidenti e immediate.

Nel ‘97 e nel 2016, l’Unione Europea ha emanato delle Raccomandazioni a proposito degli hate speech (discorsi d’odio) che, purtroppo hanno preso sempre più piede attraverso Internet, grazie all’enorme diffusività di questo strumento ma, oltre a questi tentativi a livello normativo, non mancano iniziative dal basso, probabilmente più incisive: «Clean Face» è il nome della campagna lanciata nel 2011 dal gruppo sardo del Movimento Internazionale «Giovani per un Mondo Unito»; «ReThink» è un’applicazione informatica lanciata da una tredicenne indiana nel 2013; la «Mappa dell’Intolleranza» è pubblicata annualmente in Italia dall’Osservatorio italiano sui Diritti, dal 2014; il «Manifesto per una comunicazione non ostile» è il decalogo proposto da un’associazione costituitasi nel 2016 tra esperti nel campo della comunicazione professionale impegnati a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla violenza delle parole.

Tutto porta a concludere che la realtà intorno a noi dipende in grande misura da come orientiamo la nostra comunicazione e da quanto essa è coerente con il nostro sentire profondo.

La realtà di ogni giorno, le tragiche notizie che provengono dal Medio Oriente e dall’Africa, le polemiche sui vaccini, la stupida e inutile aggressività della politica nazionale ma, ancor di più, il pantano sociale e ambientale in cui si trova la nostra Sardegna (insieme a buona parte della penisola), ci dicono che è sempre più urgente, prendere in mano il nostro destino e orientare verso la pace e il benessere sociale ogni nostra azione personale, sociale e politica. A partire dal riconoscere che la nostra felicità non può prescindere dalla cura dell’ambiente – casa di tutti – e non può esistere indipendentemente da quella degli altri. Perciò, per essere felici, dobbiamo rendere felici gli altri, in uno scambio capace di generare benessere immediato ma, soprattutto, di costruire un futuro migliore per noi e per i nostri figli.

Nell’immagine: Un murale a Er-Riadh, in Tunisia

Scrivi un commento


Ciascun commento potrà avere una lunghezza massima di 1500 battute.
Non sono ammessi commenti consecutivi.


caratteri disponibili

----------------------------------------------------------------------------------------
ALTRI ARTICOLI