La questione del Centro – Sardegna
1 Aprile 2017Amedeo Spagnuolo
Il declino economico – sociale del territorio barbaricino non è un fenomeno recente, se ne parla in maniera diffusa da oltre quindici anni. Convegni, tavole rotonde, mobilitazioni dei cittadini, tante sono state le iniziative attraverso le quali si è cercato di attirare l’attenzione, su questo grave problema, dei diversi governi regionali che si sono succeduti negli ultimi vent’anni. Il fatto è che qualsiasi iniziativa è destinata a fallire se ci si trova di fronte al muro di gomma degli esponenti politici eletti alla Regione Sardegna negli ultimi anni, infatti, tutte le coalizioni, indistintamente, un minuto dopo aver occupato le comode e redditizie poltrone della giunta regionale, hanno smesso di colloquiare con la base territoriale che li aveva eletti e hanno cominciato a eseguire, come dei bravi scolaretti, le direttive politiche dei loro padrini politici romani ai quali devono, in grande misura, la loro elezione.
È evidente che non si possono scaricare tutte le responsabilità del disastro economico – sociale barbaricino sulla giunta guidata dal governatore Pigliaru, però la sensazione che si ha nell’osservare il percorso politico sin qui seguito dall’attuale giunta regionale è quella di un governo che, seppur in maniera non esplicita, ovviamente, ha fatto una scelta politica ben precisa ovvero sacrificare le zone interne dell’isola a favore di una crescita “forzata” delle aree più densamente popolate e più sviluppate economicamente. È la solita vecchia e dirompente strategia capitalista – colonialista che considera gli esseri umani dei numeri e non delle persone per cui se ne sacrificano alcune decine di migliaia per favorirne altri, ma soprattutto per consentire alle caste politiche ed economiche della Regione Sardegna di continuare a sopravvivere incuranti del fatto che continuando a mortificare una parte della popolazione si proseguirà ad alimentare quel tragico processo di spopolamento che un giorno, inevitabilmente, a causa della logica “cannibalista” che guida il liberismo sfrenato dei nostri giorni, andrà a colpire anche quelle aree che oggi sembrano inattaccabili da questo punto di vista.
A conferma di tutto ciò c’è proprio la scelta, nel febbraio del 2014, di candidare e far eleggere non un politico bensì un tecnico. La storia recente c’insegna, infatti, che quando s’intendono attuare politiche volte a favorire lo sviluppo di una parte a scapito di un’altra è preferibile che si abbia a che fare con una classe dirigente poco avvezza all’utilizzo di visioni politiche ampie e inclusive, meglio una visione tecnica e dunque, per forza di cose, “parziale”. Per essere più chiari basti pensare ai disastri che il governo guidato dal supertecnico Monti ha causato al nostro paese (tanto per fare un “piccolo” esempio pensiamo alla devastante legge Fornero) e che stiamo pagando e pagheremo ancora per chissà quanti anni. Purtroppo in Italia parlare di visione politica da preferire a quella tecnica è molto rischioso giacché, a causa del pessimo esempio fornito da una parte non trascurabile del nostro ceto politico, tale affermazione viene confusa con l’atteggiamento truffaldino e opportunista di tanti politici nostrani.
Tornando alla realtà sarda, all’indomani dell’insediamento della giunta Pigliaru, tutte o quasi le aspettative sono andate deluse anzi in questi tre anni di governo abbiamo assistito non solo al disinteresse per le aree interne della Sardegna ma, cosa ancora più grave e intollerabile, alla pervicace volontà di smantellare pezzo dopo pezzo la struttura economico – sociale della Barbagia e dei territori limitrofi, qualche esempio? Il depotenziamento e i durissimi tagli che hanno dovuto subire gli ospedali del nuorese; la chiusura di numerosi istituti scolastici che presidiavano in maniera “eroica” gli esausti territori dell’interno; la soppressione di tanti uffici pubblici; la rete stradale abbandonata a se stessa e considerata tra le più pericolose d’Italia. L’elenco potrebbe continuare a lungo, ma non aggiungerebbe molto alla rabbia che da tempo si diffonde in maniera preoccupante nel territorio nuorese. Forse, però, l’aspetto veramente intollerabile riguarda la totale sudditanza del governo regionale sardo ai diktat provenienti da Roma e da pseudopolitici che non conoscono nemmeno geograficamente la Sardegna.
Bene questa la pars destruens, ma la pars costruens di tutto questo ragionamento qual è? Denunciare, infatti, è certamente un momento fondamentale all’interno del dibattito politico di un paese democratico, la denuncia però, quando non è seguita dalla proposta, rischia di perdere la sua carica propulsiva e di produrre, a lungo andare, l’effetto opposto ovvero causare anche nelle persone più tenaci e battagliere un senso di spossatezza intellettuale e di rassegnazione.
Quale dunque potrebbe essere una risposta forte allo stato di cose presenti? La mobilitazione popolare, una mobilitazione che dovrebbe essere guidata dalle numerose organizzazioni di base che operano sul territorio come ad esempio i comitati in difesa della Costituzione; le associazioni che tutelano i diritti delle donne; le organizzazioni ambientaliste che si battono contro le scorie nucleari ecc. Tutte queste entità potrebbero dar vita a un forum organizzato dal quale far partire impulsi e proposte che spingano la popolazione del Centro – Sardegna a realizzare una forte e unitaria pressione democratica sul governo regionale. La creazione di un tale movimento che parte dal basso dovrebbe avere la forza sufficiente per superare i campanilismi barbaricini al fine di raggiungere un obiettivo più alto ovvero la salvaguardia di un popolo e di una civiltà che seppur non caratterizzato dai grandi numeri è comunque informato da una importante tradizione culturale e civile che non può e non deve essere sacrificata sull’altare di quel terribile moloch capitalista che da decenni, non dimentichiamolo, spazza via impietosamente tutte quelle civiltà poco redditizie dal punto di vista di una delle forme peggiori in cui si manifesta il male assoluto: la sordida accumulazione di capitale!