La rivoluzione di Pintor

16 Maggio 2013
Roberto Loddo
Come redazione del manifesto sardo abbiamo ritenuto che a discutere di Luigi Pintor non fossero solamente le compagne e i compagni che lo conobbero. Questa è proprio la ragione per cui i compagni della generazione precedente alla mia, come il direttore del manifesto sardo Marco Ligas, hanno ritenuto importante che dovessi presentare io questa giornata. Io non ho mai conosciuto Pintor, e questa scelta che mi coinvolge molto, vuole rappresentare la rottura di un vecchio schema e al tempo stesso assumere l’aspetto della continuità con il pensiero di un compagno che non è stato solamente un intellettuale, ma un uomo politico di rilievo. Un uomo politico prima di tutto comunista.
Luigi Pintor rappresenta ancora un patrimonio di idee utili per comprendere criticamente il presente e importanti per tutte le donne e gli uomini che si impegnano per la trasformazione dell’ordine delle cose esistenti. Un patrimonio di idee che si connetteva anche prima della nascita del manifesto con un nuovo modo di intendere il comunismo, dentro il grande corpo appesantito ma ricco del vecchio Pci e fuori dal partito, tra la galassia delle nuove sinistre, tra i movimenti extraparlamentari generati da quell’orizzonte di partecipazione critica contro il dogmatismo del Pci, dalla rivolta di Budapest alla primavera repressa di Praga. L’obbiettivo della giornata di oggi non è commemorativo. Non vogliamo limitarci al ricordo, alla memoria e alla testimonianza di chi l’ha conosciuto. E ha ragione Luciana Castellina quando scrive che Luigi Pintor non rappresenta l’immagine di un profeta sconfitto. Pintor è stato il leader politico che sosteneva la necessità di una rivoluzione culturale in tutta la sinistra, a partire dai rapporti tra le persone, nella società, dentro noi stessi.
“Dicono che sei uno degli uomini più settari che ci sono in Italia”, – gli domanda provocatoriamente la giornalista in una delle sue rare interviste video che proietteremo oggi, aggiungendo quali fossero le virtù di un settario. Pintor gli rispose: “Perché devo contraddire chi dice questo, se viene detto che io sono settario, ci sarà una ragione. A volte settario viene usato come sinonimo di coerenza, e di colui che mantiene delle posizioni di principio. Uno anticonformista è settario perché si isola. Ho il sospetto che chi accusa l’altro di settarismo difenda i propri vizi. Gli opportunisti hanno tutto l’interesse a dire che l’altro è settario”.
Riflettevo su queste parole che fotografano un pensiero ostinato, dubbioso e scettico. Dopo le macerie lasciate dalle ultime elezioni politiche Che cosa è rimasto della sinistra oggi in Italia e in Sardegna? Se la sinistra esiste ancora, possiamo dire che c’è ma non ha parole. Il suo silenzio è rappresentato dalla mancanza di coerenza come denunciava Pintor. Le sue continue mutazioni genetiche in forme partito più leggere, più controllabili dal vertice e sempre più simili a comitati elettorali, hanno prodotto ben poco. Forse allora era meglio essere un po’ più settari e provare ad uscire dall’incapacità di parlare al Paese. Provare a uscire dalla gabbia neoliberista in cui siamo attualmente costretti. Una gabbia che non cancella solo le conquiste sociali delle tutele nel mondo del lavoro, ma attacca anche i diritti civili e le libertà individuali, i corpi delle persone. Ci troviamo di fronte ad uno scenario radicalmente mutato. Se nel Novecento la storia della sinistra, del movimento operaio è stata scritta dai partiti e sindacati, oggi il ruolo della sinistra è in crisi proprio perché il ruolo della dimensione sindacale e della dimensione partitica è fortemente ridimensionato. Il conflitto sociale è sempre più generato da soggetti non rappresentati e non organizzati. L’incapacità di rappresentare e ricostruire un idea comprensibile di cambiamento e trasformazione della società non si percepisce solo dopo i risultati elettorali. Il vero cataclisma che ha colpito la sinistra è il non essere più riconosciuta da chi vive sulla propria pelle la povertà e l’esclusione sociale. Di fronte ad una progressiva riduzione dei redditi e dei diritti, di fronte ad un aumento della disuguaglianza sociale dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sono sempre più poveri, la crisi dei nostri giorni ha messo in luce le contraddizioni della globalizzazione neoliberista. C’è una tendenza culturale che ci vorrebbe da soli, ognuno per conto suo, all’interno di una dimensione egoista e individualista legata alle logiche del patriarcato e del capitalismo. Ed è per questo che abbiamo bisogno di un nuovo metodo di lettura e di ricerca nella costruzione del conflitto per stanare queste contraddizioni. Nella visione politica della sinistra di Pintor non c’è differenza tra persone e militanti politici. Essere rivoluzionari significa ricercare una nuova scala di valori, un nuovo modo di vivere, di produrre, di e di consumare. Un nuovo modo di fare politica che rompe con gli schemi autoritari, verticistici e slegati dalla realtà sociale. Una svolta fondata sulla ricerca di pratiche quotidiane individuali prima che collettive. Pratiche che legano le idee che si professano con la vita che si conduce. Pratiche basate sulla partecipazione diretta e sull’autogestione dal basso. Ed è così che immaginiamo la nuova sinistra.

C’è una ragione per cui abbiamo deciso di organizzare questa giornata proprio qui, nella sala consiliare del Comune di Cagliari coinvolgendo direttamente l’amministrazione. Pensiamo che l’amministrazione di Cagliari sia dotata della sensibilità e della capacità di valorizzare la storia di Luigi Pintor. La valorizzazione di questa esperienza può rappresentare una risorsa culturale importante e autorevole, per questi motivi, auspichiamo che l’amministrazione porti avanti questo percorso di riconoscimento della memoria di questo intellettuale scomodo.

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