La Sardegna del silenzio
1 Luglio 2017Graziano Pintori
La Sardegna è stata definita l’Isola del Silenzio da Gesuino Fenu nel suo famoso libro; in Sos Sinnos di Mialinu Pira il silenzio profondo è un suono onomatopeico: tumbu-tumbu, tumbu-tumbu tumbu-tumbu. La primavera, scriveva Grazia Deledda, risveglia la Sardegna abitata da folletti e percorsa da cavalieri, figure fantastiche che la scrittrice coglieva dal silenzio e dai colori che dominavano il paesaggio. Oggi il trambusto domina su buona parte del territorio che un tempo apparteneva al silenzio del paesaggio, oggi i rumori dominano sui suoni. Sono i rumori della sconfitta dei nostri paesi, piccoli e grandi, Nuoro ivi compresa.
E’ la sconfitta del nostro essere sardi, cioè popolo culturalmente, linguisticamente, economicamente originale, il quale pare aver rimosso dal suo sentire la cosiddetta “costante resistenziale… una cultura di resistenza oppostisi, secolo dopo secolo, alle tante colonizzazioni” (G. Lilliu). Il dono che si fece a Berlusconi della bandiera sarda sotto il nuraghe Losa, due simboli dell’identità dei sardi, fu un gesto di resa; come pure la mercificazione della nostra identità passa con certo folclore festaiolo e domenicale fine a se stesso, mentre il virus dello spopolamento completa l’opera del dissolvimento identitario.
Secondo l’antropologo Pietro Clemente, però, non siamo ancora alla resa definitiva, al capolinea. Egli cita, lontano dalle barbagie, la buona prassi di Armungia, in cui la “ricapitalizzazione del patrimonio della memoria in era globale, in cui anche i piccoli paesi dove ci sono più televisori che abitanti si può costruire futuro per le differenze culturali, per i saperi della natura, per le cose dotate di uno stile”. “Il patrimonio culturale immateriale” continua l’antropologo “sta vivendo un tempo fecondo. Lo può essere in tutti i paesi che hanno diritto a resistere ed esistere se si è in grado di puntare sull’unicità dei luoghi, perché nel mondo globale interconnesso la narrazione di sé è diventata una grande risorsa”.
Parlavo del silenzio pensando a Lollove, frazione di Nuoro, il villaggio pastorale quasi integro che l’approvazione del PRG del capoluogo inserì in zona A, centro storico: un modo per riconoscere le potenzialità legate alla sua storia, parallela a quella di Nuoro e Orune. Inevitabilmente parlando di Lollove si pensa ai 280 paesi in agonia a causa dello spopolamento e al calo demografico di circa 350 mila abitanti, che la nostra isola subirà fra qualche decennio. Per arginare questo fenomeno ben vengano le mille e mille idee affinchè la nostra terra non sia destinata a essere terra di soli rumori, per giunta importati: i chiassosi fast food, il bailamme d’elite smeraldina o nazional popolare, rumori di grancasse e di guerre simulate.
Pertanto bisogna pensare a Lollove in modi diversi dai soliti, pensare a qualcosa di dirompente senza creare traumi allo spirito pastorale che ancora alita su quel villaggio, il quale agevolerebbe l’indispensabile simbiosi con il capoluogo, con i suoi luoghi letterari rendendoli palpabili. “Nuoro (Lollove) è città letteraria”, diceva Marcello Fois, in essa il visitatore/lettore della Deledda o dei Satta non sempre riescono ad assaporare quel gusto letterario che trasmette L’Eremo Colle di Leopardi, la Trieste di Svevo, le Langhe di Pavese ecc. Il che richiama gravi responsabilità di certi operatori o animatori culturali e di chi amministra la pubblica cultura, la cui azione politica/culturale non può essere circoscritta alla sola gestione dei centri di lettura o celebrazione di anniversari, presentazione libri, riviste ecc.
Tornando a Lollove, ma pensando anche ad altre comunità, l’idea è l’albergo diffuso e il silenzio come risorse: si tratta di un’idea di sviluppo economico/culturale connesso al recupero della nostra identità dell’essere sardi, compresi i nostri luoghi letterari. Si potrebbe procedere da un lato prendendo a modello Armungia di cui ho già riferito, dall’altro Anghieri (AR) dove è attiva l’Accademia del Silenzio. L’Accademia conta circa mille associati che promuovono e seguono convegni di studio e laboratori dello scrivere autobiografico. Cultura del silenzio significa rispetto dei luoghi e meditazione interiore, sentire il piacere a re-imparare e ri-ascoltare suoni, voci, natura; significa creare, comporre, scrivere, camminare, leggere, pensare, dipingere, fare giardinaggio. Il luogo del silenzio nasce anche per sperimentare un linguaggio del silenzio: quello delle pause, del giusto tono, dell’alternanza di ascolto e comunicazione, comprensione e relazione reciproca.
L’Accademia si rivolge anche a chi ha necessità del silenzio in relazione a stress emotivi e disagi esistenziali. Si prevedono soggiorni, manifestazioni artistiche e culturali, incontri con autori e professionisti del silenzio, spazi collettivi, laboratori distinti per sezioni scrittura e lettura, grafica e pittura, comunicazione e linguaggio, filosofia e religione, escursionismo e natura. L’Accademia nasce per dire: No al rumore Si all’ascolto, No all’eccesso verbale Si alla comunicazione, No alla fretta, No alla distrazione, No all’ascolto superficiale. Voglio aggiungere: Si a riappropriarci, ascoltando il silenzio, della costante resistenziale e delle radici dell’essere sardi.