La scuola ai tempi del Minculpop
1 Marzo 2010Angelo Morittu
Il poeta scrittore Frantziscu Masala nei suoi ricordi d’infanzia descrive molto bene lo stato d’animo degli scolaretti sardi ai tempi del MinCulPop: “Gai, totus sos pitzinnos de ‘idda, intraiant in iscola abistos e allirgos e nde bessiant tontos e cari tristos”, trad.: “quindi tutti i bambini del paese, entravano in classe allegri e svegli e ne uscivano stupidi e tristi”. È una descrizione impietosa del disastro culturale imposto dalla scolarizzazione italiana, dove i bambini venivano obbligati a seguire le lezioni in una lingua diversa da quella parlata nella loro comunità. Il senso di inadeguatezza comportamentale ha marcato a fuoco intere generazioni di Sardi che da allora sono diventati nell’immaginario collettivo esotistico: taciturni, melanconici e scontrosi nei rapporti col mondo civilizzante egemonico. Nella migliore delle ipotesi e con benevola commiserazione, la scarsa socievolezza dei sardi è stata attribuita ai lunghi secoli di isolamento della Sardegna dal mondo civile continentale, riuscendo a trovare anche spiegazioni fisiognomiche nell’osservazione della natura dell’isola dove, piante piccole, animali piccoli, uomini piccoli non potevano che avere anche un cervello sottosviluppato e selvaggiamente portato a compiere le più basse attività umane. Di tutto questo il nostro auto-razzismo ha fatto virtù, siamo diventati orgogliosamente furbi, la proverbiale testardaggine è diventata “costante resistenziale”, e, cosa sempre di gran moda, infaticabili e superdotati amatori della Giamaica a portata di traghetto. L’aspetto deprimente della faccenda è che non facciamo nulla per sottrarci a questi odiosi stereotipi, anzi, come ha dichiarato amabilmente il nostro Governatore ai suoi ospiti, le nostre particolarità etniche sono un problema limitante per noi e per gli altri, ergo non ci resta che prostituirci o impiccarci, nel caso non avessimo a portata di mano un par di aragoste o un porceddu per riempire le ganasce dei viveurs di Terra-magna. Eppure, mai, in nessuna Regione, in nessun Paese Civile, un Presidente ha usato parole talmente offensive nei confronti dei suoi abitanti, come ha fatto Cappellacci, senza essere stato costretto alle dimissioni. Ma non è del travet Cappellacci che mi voglio occupare, che non fosse un tipo particolarmente brillante se n’era accorto anche il suo principale durante la campagna elettorale visto che normalmente non gli faceva aprir bocca in pubblico, se non all’ora di pranzo. Mi allarma di più pensare alle parole di Tiu Frantziscu e a quanto poco faccia ancora oggi la nostra scuola per creare cittadini informati e consapevoli della realtà e della società dove dovranno vivere, se prima ne uscivano tristi e stupidi oggi ne escono col paraocchi e col collo torto a destra, a destra dove c’è l’Italia l’unico topos degno dell’attenzione dei libri e degli insegnanti dei nostri figli. Nei libri di testo delle elementari e delle medie la Sardegna per i bambini della Sardegna non c’è, è un non-luogo, uno spazio bianco che non può occupare i “preziosi” minuti dell’insegnamento, da riempire tutt’al più con un “progetto” pagato in extra al volenteroso docente. I maestri dei vostri figli vi risponderanno che il programma ministeriale non consente “divagazioni” (sic!), che le ore son poche, che la Gelmini e la Moratti stanno distruggendo la scuola, oppure che la preside aziendalista non permette che si fotocopino due paginette da aggiungere al sussidiario. Molte cose vere, ma anche molte scuse per camuffare il fastidio di occuparsi della storia e della cultura del proprio luogo che è cosa ben diversa dal folklore delle tradizioni popolari, di cui ormai ne abbiamo piene le tasche. Evidentemente dalla stragrande maggioranza dei nostri insegnanti conoscere e insegnare la storia e la cultura della Sardegna è ritenuta cosa “provinciale” molto meglio seguire pedissequamente i testi scritti da Italiani per Italiani e lasciare che i Sardi continuino a non sapere nulla di loro stessi.
6 Marzo 2010 alle 19:00
Tirannia
Dunque tutta questa ribellione contro la tirannia dell’ideale, tutte queste scritture polemiche goccianti giù assiduamente dai torchi, vanno intese nel senso loro.- Non è già che i combattenti vogliano la testa del nemico, non è che in nome della fotografia vogliamo bruciare le madonne del beato Angelico, o in nome della sensazione rinnegare il sentimento.- No. Ma anzi quelli non sospetti di meteorismo ideale.- Ma tutto questo accade perché anche nell’arte si è voluto distinguere nell’uomo la materia dallo spirito, l’anima dalla carne, mentre l’uomo è uno; ed è perciò che noi lo vogliamo rappresentato tutto intero nella bellezza e nella deformità, negli istinti sublimi e nei bassi, come è, come l’hanno fatto i tempi, le religioni,le virtù ed i vizi.- Vogliamo insomma essere del nostro tempo, e se il tempo non è bello, non lo abbiamo fatto noi e non ne abbiamo colpa.-