La sinistra e la voglia di unità
1 Gennaio 2018[Ottavio Olita]
Per due giorni consecutivi, nelle drammatiche ultime settimane del 2017 che hanno visto la scomparsa in successione di tre indimenticabili protagonisti sardi dell’impegno socio politico, si sono avuti segnali significativi della volontà di ricerca di unità – sul terreno di un comune progetto politico, non di spartizione delle poltrone – delle tante e ricche anime della sinistra. Una ricerca di motivi di incontro, non di scontro o vituperio e disprezzo: il 27 dicembre al funerale di Francesco Cocco (l’ultima delle tre gravissime scomparse; le altre sono state quelle di Primo Pantoli e Vincenzo Pillai); il 28 dicembre, in occasione della presentazione del saggio di Gianni Cuperlo dal titolo “Sinistra, e poi…”, edito da Donzelli.
Francesco Cocco ci ha fatto sentire tutti compagni, tutti dalla stessa parte della società, confidando completamente nel ruolo della politica e della cultura. Era riuscito a conseguire questo difficilissimo obiettivo ragionando, argomentando, ascoltando per tutta la vita; è riuscito nella stessa impresa anche dalla sua bara, circondato dall’affetto e dal dolore della moglie Anna Maria, di tutti i familiari, delle centinaia di persone che hanno voluto dargli l’ultimo saluto riconoscendogli il ruolo storico svolto nell’attività politica in Sardegna. Chi ha parlato ha espresso commozione, gratitudine, dolore, affetto; gli sono stati riconosciuti il rigore, l’onestà, la frugalità, il rifiuto di ogni ostentazione, l’umiltà e la disponibilità dimostrati per tutta la vita; Giorgio Macciotta ha individuato in tre dettati gramsciani – conoscere, sentire, comprendere – il filo conduttore della sua esistenza.
Non le appartenenze, ma gli ideali d’impegno; non la messa all’indice di chi non la pensa come te, ma un dialettico confronto di idee; non quella pervicace e devastante mentalità ‘ad escludendum’ che si è affermata nella vita dei partiti, anche di quello che si definisce ‘democratico’, ma l’instancabile sforzo di trovare le ragioni di un impegno comune. Tutto questo il mondo culturale e politico, dalle provenienze più diverse, ma saldamente ancorato a una volontà di progresso democratico, ha sempre trovato in Francesco Cocco, nella sua voglia di accoglienza, nella volontà di dare sempre un contributo, un consiglio, un’indicazione. Anche per le cose apparentemente meno importanti, come è accaduto a me, con i miei romanzi, da quando ho scelto la narrativa, perché da vero intellettuale capiva che ogni strumento dovrebbe essere utilizzato per migliorare il mondo, non per peggiorarlo, a partire dalla conoscenza e dalla riflessione.
Non dissimile il segnale di voglia d’unità che si è tratto dalla partecipazione – molto meno emotiva, più razionale e curiosa -, di decine di persone alla presentazione dell’ultimo saggio di Gianni Cuperlo, nei locali della fondazione Enrico Berlinguer. Un libro che l’autore si è sforzato in ogni frase – a volte graffianti come aforismi – di offrire come ponte, per tradurre nell’elaborazione e nella proposta quel che è scritto sulla fascetta che lo avvolge: “Il nodo non sarà dentro e fuori. Sarà piuttosto come lasciarsi alle spalle un inverno lungo e doloroso”. Questo nella convinzione che “la sinistra è un torrente e per fortuna continua a scorrere. Biografie, scontri, una devozione complessa perfino da capire. Quella sinistra è riemersa sempre, quando minacciata da un avverabile attentato alla sua vitalità. A quel punto, come la coda delle lucertole, ricresceva nelle pieghe della cronaca. Quindi mai data per sepolta. Perché non lo è”.
Per spiegare che cosa ha prodotto quell’”inverno duro e doloroso”, Gianni Cuperlo svolge un’approfondita analisi delle cause economiche e politiche degli ultimi decenni, degli errori di valutazione e di scelte, anche a livello europeo, che hanno prodotto la drammatica situazione politica che si sta vivendo nel Continente: dai neonazisti in Germania, all’ultradestra xenofoba al governo in Austria, alle chiusure delle frontiere contro gli emigranti nei Paesi dell’est. Molti errori che hanno riguardato anche i governi italiani, come la sciagurata scelta dell’accordo con la Libia sui lager di contenimento dei profughi, il jobs act o la cosiddetta ‘buona scuola’. Così come altre scelte politiche che hanno scaricato “sugli ultimi colpe non loro e sovvertendo fino al confine di casa un ordine morale destinato a dare alla sinistra un’anima e non solo una percentuale nei sondaggi”.
Dopo aver criticato il ‘fiscal compact’ e la decisione di inserire in Costituzione, con la modifica dell’articolo 81, il pareggio di bilancio, Cuperlo rilancia l’idea di una ‘patrimoniale’ sui redditi più alti e poi suggerisce di “ridistribuire le risorse con equità facendo dei diritti, a partire da quelle a un salario degno, la bussola da seguire: insomma guardare il mondo con gli occhi di chi ha patito, togliendosi le lenti di chi ha lucrato”.
Programma politico quasi completamente condivisibile, ma con un interrogativo al quale per ora, in questa vigilia elettorale, neppure Cuperlo può dare una risposta: se questo fosse stato il progetto complessivo del Pd, qualcuno avrebbe mai spinto per l’ennesima diaspora? E fino a quando lo stesso Cuperlo, intellettuale e politico rispettabilissimo, accetterà la logica dei dirigenti del suo partito che operano in direzione ‘ostinata e contraria’ alla sua e che – comunque – utilizzeranno la sua idealità come fiore all’occhiello, ma soltanto quando farà comodo?
12 Gennaio 2018 alle 00:06
Mi soffermo sull’ultimo paragrafo. Intellettuale vabbè, ma politico lasciamo perdere.