La sinistra e le manette

21 Aprile 2018
[Roberto Loddo]

La sentenza di ieri sulla “trattativa Stato Mafia” ha liberato i peggiori istinti manettari di certa sinistra. Dai social media alla stampa alternativa molti influencer della sinistra sono andati addirittura ben oltre l’entusiasmo della sentenza e si sono spinti a chiedersi perché Mori e Dell’Utri sono stati condannati e Berlusconi ancora no. Non so se altre manette avrebbero spento la loro sete di giustizia ma è curioso notare come la storica sensibilità garantista e libertaria della sinistra oggi sopravviva solo in poche voci minoritarie e inascoltate.

Questa sete di carcere e manette è diventata virale tra l’opinione pubblica, perché nonostante siano ben quattro le sentenze che hanno assolto Mori sulle vicende della trattativa a fare la differenza su questo processo mediatico sono gli articoli e i libri scritti dagli stessi magistrati. Oggi la sinistra non è immune da questo virus perché ha abbandonato il suo originario sistema di valori basato sull’emancipazione sociale e si sta accontentando di considerare il diritto come strumento di trasformazione della società. La storia ha dimostrato più volte che i guai della politica possono essere sanati solo dalla stessa politica ma oggi la “terza repubblica” del movimento cinque stelle sembra andare nella direzione opposta, accompagnata anche da quella sinistra che considera la legalità come il potere di chi non ha potere.

Quando Enzo Tortora fu arrestato, imputato di associazione camorristica e traffico di droga e poi condannato in primo grado il senso comune delle sinistre istituzionali e extraparlmentari non si lasciò mai andare a brindisi o peggio ancora ad applausi da circo in aula. Ma erano tempi diversi, il qualunquismo di Giannini era solo un brutto ricordo e la repressione dello Stato contro i movimenti sociali era all’ordine del giorno e le pulsioni giustizialiste erano limitate a chi, come i missini e i democristiani, difendeva l’ordine e la sicurezza contro il disordine del terrore rosso.

La relazione tra la sinistra e la giustizia oggi può essere ben rappresentata dall’immagine di un cane che si morde la coda. In Italia c’è un opinione pubblica fortemente forcaiola che ha una concezione autoritaria, irrazionale e fondata sulla vendetta del processo penale e del carcere. Dai tempi bui di Tangentopoli l’opinione pubblica è sempre stata più forcaiola della politica che evocava manette come soluzione finale, dei magistrati Robespierre e del giornalismo fondato sul populismo giudiziario. Il cronista giudiziario Frank Cimini mi aveva spiegato che l’opinione pubblica viene creata dal modo di agire la politica, il giornalismo e la giustizia, appunto, il cane che si morde la coda. Purtroppo questa dinamica perversa ha fatto talmente tanta strada finendo per compromettere non solo lo stato di diritto ma tutta la cultura della sinistra.

Sembrano lontanissimi i tempi di Soccorso Rosso, che forniva sostegno agli operai nelle lotte delle fabbriche, ai militanti colpiti dalla repressione e assistenza legale, economica alle persone della sinistra extraparlamentare nelle carceri. Era una modalità innovativa di agire il conflitto sociale, purtroppo oggi abbandonata. La sinistra è veramente sinistra se oltre alla difesa delle garanzie collettive, dei diritti sociali e dell’uguaglianza difende anche i diritti individuali e le libertà, infatti ha ragione Luigi Manconi quando scrive che per la sinistra moderna le libertà personali, le garanzie del singolo e tutto ciò che rimanda all’autonomia individuale vengono, nella migliore delle ipotesi, dopo la conquista dei diritti collettivi.

Quei tempi non sono così lontani, perché la repressione dello Stato non è mai finita, ora grazie a Minniti e alla legge Bossi Fini si concentra solo sui poveri e sui migranti. Eppure molto presto potrebbe arrivare a casa nostra.

2 Commenti a “La sinistra e le manette”

  1. Gianni scrive:

    Non conoscendo le carte, sarebbe giusto essere quantomeno prudenti. Una cosa è certa, è una sentenza di primo grado. Un’altra certezza, il PM del processo è stato osannato nella convention -parola che non mi piace- dei gestori del primo classificato alle elezioni del 4 marzo. Un’altra certezza, lo stesso PM ha ritenuto di chiosare la sentenza entrando così nel dibattito politico.
    Parlare di sinistra in tutto questo mi sembra improprio. Forse si può dire che prima del 4 marzo, certo per la scelta di campo dei vari soggetti, c’è stato l’oscuramento della sinistra come la intendo io, mentre dopo le elezioni e fino a tutto oggi niente fa sperare in un risveglio e in qualche iniziativa tesa a entrare in contatto almeno con quanti hanno, pur nella situazione a dir poco difficile, tenuto duro pur di garantire un presidio sia pur ridotto nelle istituzioni.
    Sarebbe giusto, anche per chiarezza e per la comprensione di chi legge, quando si usa, se lo si ritiene, il termine sinistra, attribuirlo in modo inequivocabile ai soggetti a cui ci si riferisce indicandoli per nome. Si eviterebbe così il rischio di caricare di accuse per avere determinato tutto il male del mondo solo una realtà che in parlamento è presente con ben 18 parlamentari su 945.

  2. Andrea Pubusa scrive:

    Caro Roberto,

    il tempo può aver annebbiato la mia memoria, ma non mi risulta che il Soccorso rosso venisse in aiuto di persone in odore di mafia o di relazioni pericolose con la malavita organzzata.
    Vorrei ricordare che le indagini sono state avviate da magistrati di grande profilo giuridico e democratico. Forse anche di sinistra (Ingroia). Non vedo manettari, sono magistrati che hanno difeso la Costituzione anche il 4 dicembre.
    Forse oggi il socorso rosso ci vorrebbe per questi magistrai, tutti sotto scorta non certo per difenderli dai garantisti …incavolati.
    Di Matteo viene applaudito nella Convention della Fondazione Casaleggio, perché ormai molti sono passati nell’altrra sponda, quella del malaffare.
    Il tuo commento mi pare non solo imprudente, ma poco meditato.
    Da garantisti rispettiamo questa sentenza e aspettiamo quella d’appello. Certo è che in questo caso, con Pasolini, si può dire che noi democratici capiamo quel che è successo, anche se non possiamo fornire le prove, che sono da esibire e valutare nel processo.

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