La solitudine dei lavoratori
16 Settembre 2013Gianfranca Fois
Bastano solo alcune delle ultime notizie sul fronte del lavoro (vedi l’Ilva di Taranto o il trasferimento in un paese dell’Est europeo dei macchinari di una fabbrica attuato di nascosto dal padrone durante l’assenza per ferie degli operai) per mostrarci ancora una volta il volto del capitalismo italiano, rozzo e straccione, naturalmente con le dovute eccezioni,
In Italia nessun modello renano, ma numerosi padroni dai metodi ottocenteschi e senza nemmeno il tentativo di salvarsi la coscienza creando istituzioni filantropiche, insomma un capitalismo arcaico che di “moderno” ha solo l’obiettivo del profitto a tutti costi, in linea con la suprema legge di quello che Gallino ha chiamato “finanzcapitalismo”.
Di fronte a questa situazione, non contrastata ma anzi talvolta favorita dai governi degli ultimi decenni, la sinistra e il sindacato italiani non riescono a trovare parole, idee e progetti per difendere i diritti che i lavoratori hanno conquistato con dure lotte nel secondo dopoguerra, addirittura alcuni hanno introiettato l’idea (diffusa ad arte dai teorici del neoliberismo) che il debito pubblico sia stata determinato da condizioni di lavoro favorevoli e da un welfare insostenibile e impensabile ai nostri giorni e non piuttosto dal sistema finanziario e dalle sue storture avallati da scelte politiche.
Né, tanto meno, riescono a ideare modi nuovi per affrontare la crisi e ripartire con una visione del mondo e del lavoro adeguata ai tempi moderni ma non subalterna agli interessi del mondo padronale, anche qui con le dovute eccezioni.
Anzi se c’è una cosa che caratterizza oggi i lavoratori, le donne e gli uomini in generale è proprio la solitudine, e in particolar modo in Italia dove appunto un lungo periodo di tempo, almeno vent’anni, è stato caratterizzato dal ripiegamento di ognuno su se stesso, da modelli di vita non solo individualistici ma soprattutto dominati da un pensiero gretto, egoista in cui certe parole, come ad esempio lavoro, solidarietà o venivano tenute lontano dal discorso politico o addirittura irrise, determinando insomma quella situazione in cui il cittadino, come scrisse Tocqueville, può avere il senso della famiglia ma gli è scomparso il senso della società. Le persone sono quindi sole, mentre quando negli anni 70, nel milanese, ci furono le grandi ristrutturazioni industriali era presente almeno un tessuto di relazioni tra le persone e con le amministrazioni.
Nel frattempo la crisi economica mondiale, la incapacità e mancanza di volontà di pensare, progettare, programmare e attuare politiche economiche, industriali, fiscali, sociali e culturali da parte dei vari governi Berlusconi hanno gettato il nostro paese in una situazione drammatica, tra le più gravi d’Europa e per di più con un welfare arcaico e poco incisivo a confronto con quello delle grandi democrazie.
Eppure esistono alcune piccole realtà che possono aiutare ad iniziare a cambiare questa situazione, realtà che partendo dal tentativo di andare incontro ai bisogni più immediati possono indicare e aprire la via ad un capovolgimento dell’ideologia presente ponendo le basi per una cultura nuova, solidale che rimetta al centro le persone, i loro bisogni, le loro speranze.
Vorrei citare almeno qualcuno di questi tentativi perché penso sia utile che oltre alle notizie sulla disoccupazione, sugli omicidi sul lavoro, sulla disperazione di tanti lavoratori, condividiamo notizie e pratiche positive.
Il libro “Il tempo senza lavoro” scritto dai lavoratori di Agile ex Eutelia e da Massimo Cirri narra non solo le lotte dei lavoratori contro la gestione banditesca dei manager dell’impresa, condannati infatti dalla magistratura, ma attraverso il racconto della propria vicenda ognuno sperimenta l’uso terapeutico della scrittura e della condivisione di sentimenti, paure (Cose brutte che questa storia lavorativa mi ha portato), ma anche di aspetti positivi (Cose belle che questa storia ……..).
Il lavoro è stato portato avanti anche con la collaborazione della Camera del lavoro di Milano e, in particolare, di Corrado Mandreoli, già impegnati, insieme a Radio popolare, a mettere insieme i lavoratori che hanno perso il lavoro, formare dei gruppi di auto-aiuto che servono non solo come “sfogatoio” ma soprattutto a imparare a reimpostare la propria vita (spesso infatti perdita di lavoro significa perdita della casa, della famiglia, disturbi fisici e/o mentali), ad affrontare colloqui di lavoro
I lavoratori di un’impresa di Reggio Emilia hanno invece deciso di tagliare i loro salari non per mantenere il posto di lavoro per tutti , cosa che succede anche in altre realtà, ma per consentire nuove assunzioni.
Si tratta, come si vede di esperienze molto marginali anche se probabilmente più diffuse e varie di quanto immaginiamo ma che non conosciamo.
Come poco conosciamo quanto avviene in Spagna dove nei barrios delle città le persone si riuniscono per discutere e per trovare soluzioni comuni su come tirare a campare o quanto avviene da qualche tempo in Argentina dove i lavoratori hanno recuperato le fabbriche che gli imprenditori avevano chiuso e abbandonato, portando via il capitale, al momento del crollo del modello neoliberale del 2001. Dopo circa 10 anni sono già più di duecento e danno lavoro a circa diecimila lavoratori, lo stesso esperimento si sta facendo in Uruguay. Spesso queste fabbriche diventano anche centri importanti per la vita sociale, culturale e politica della comunità.
Insomma tutte queste esperienze penso ci insegnino che è possibile trovare nuovi strumenti e modi che rimettano insieme le persone, unica possibilità per affrontare positivamente il presente e il futuro. Sembra ormai assodato infatti che nei paesi occidentali la ripresa economica non significherà nuova occupazione, si rende così necessario e inevitabile impostare in modo del tutto nuovo il lavoro, i rapporti sociali, politici ed economici.
16 Settembre 2013 alle 11:35
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