La strada maestra e le scorciatoie della storia

1 Luglio 2010

tronci

Francesco Tronci

Tutte le occasioni sono buone per la riflessione e la progettazione politica. Anche le recenti e disertate elezioni provinciali. Purchè non si trasformino i mulini a vento in giganti. La terrificante situazione nella quale ci troviamo a vivere non è frutto della casualità. Essa ha a che fare con avvenimenti di grande portata (caduta del Muro, implosione dell’URSS, scomparsa dei partiti egemoni nella prima repubblica, ecc.) che hanno provocato il trionfo, su scala planetaria, del modello capitalistico di produzione, il prevalere della forma della speculazione finanziaria sulla produzione di merci, l’egemonia del pensiero unico che ritiene superate la conflittualità e la lotta di classe. Su tale eredità negativa del Novecento poche e prive di effetti sono state, finora, le analisi e le proposte. Molti intellettuali, ivi compresi gli ex dirigenti politici di peso, hanno preferito sottrarsi alla fatica dimenticando il passato o rinnegandolo e navigando a vista in mezzo all’aria fritta e alle proposte di poco credibili nuove aggregazioni politiche. La costruzione di una proposta alternativa accettabile, sia sul piano teorico che su quello pratico, non è tuttavia pensabile senza la riproposizione del carattere conflittuale e ineguale della società capitalistica riassumibile nelle opposizioni classiche: padroni vs lavoratori, ricchi vs poveri, diritti (personali e sociali) vs dominio di classe. I nuovi strumenti di conoscenza e di trasmissione del sapere a disposizione (rete telematica, Internet, motori di ricerca,ecc.) possono essere messi al servizio di un progetto di costruzione di una nuova fase politica. Allo stesso modo, urge una prospettiva  internazionalista capace di impedire che gli sfruttati dei paesi più svantaggiati diventino anche strumento di dominio del capitalismo. I recenti fatti di Pomigliano sono davanti agli occhi di tutti. Navigare nel mare tempestoso qui succintamente delineato significa, non possiamo negarcelo, pensare a figure di dirigenti politici molto più agguerrite che non in passato e capaci di sviluppare modi di aggregazione ricchi di consapevolezza critica e di capacità di pratica dell’obiettivo sconosciuti alle nomenclature sopravvissute in nuove o vecchie formazioni politiche. Una delle scorciatoie, come spesso avviene, è offerta dal culto e dalla sopravvalutazione del paesaggio socio-politico più prossimo, sia esso il villaggio o la ‘piccola patria’ che accomunerebbe, come è noto, tutti gli appartenenti ad etnie, comunanze linguistiche, fratellanze di sangue. il sardismo nostrano non si comporta diversamente quando fonda le sue ragioni su una lettura mitizzante della storia, quando si sottrae al dovere di misurare la propria cultura con le grandi costruzioni scientifiche e ideologiche della modernità e della contemporaneità, quando sorvola sull’articolazione della società in classi. Dov’era la borghesia imprenditoriale sarda in questi anni di saccheggio del territorio e di distruzione di quel che resta del tessuto industriale dell’Isola? L’idea del ‘già visto’, consiglierebbe ai cultori di sogni di indipendenza una rilettura del nostro passato recente. L’ondata sardista degli anni Ottanta del secolo scorso portò, se ben ricordo, la crescita del Partito sardo d’azione intorno al ventidue per cento dei votanti e un sardista alla guida del governo regionale. Non è passato molto tempo da allora. A quel momento di gloria seguì, a liberare dalle illusioni, una pulviscolare frantumazione del movimento. Come testimonia l’opportunismo del PSd’AZ e il velleitarismo delle forze minori.
P.s. Le obiezioni di Madau e Cau mi sembrano non di poco conto e condivisibili.

Scrivi un commento


Ciascun commento potrà avere una lunghezza massima di 1500 battute.
Non sono ammessi commenti consecutivi.


caratteri disponibili

----------------------------------------------------------------------------------------
ALTRI ARTICOLI